“Una delle cose importanti della letteratura è che ci aiuta a connetterci con l’umanità delle altre persone. Ecco perché, ad esempio, un romanzo scritto in Uganda può parlare a qualcuno in Svezia che non ha mai viaggiato in quel paese…”

L’esordio della scrittrice Ayòbámi Adébáyò – che ilLibraio.it ha intervistato – racconta il difficile destino di una giovane donna nel disperato tentativo di diventare madre, nel contesto patriarcale della Nigeria degli anni ’80. Romanzo premiato e acclamato, mette a nudo la sofferenza provocata dalle costrizioni sociali su famiglia e ruoli di genere

Cosa è in grado di sacrificare una donna pur di diventare madre? E quanto dolore può generare una simile cieca abnegazione? Adombrata da questi interrogativi si dibatte l’esistenza di Yejide, la protagonista di Resta con me, il romanzo d’esordio di Ayòbámi Adébáyò (La Nave di Teseo, traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini – la foto della scrittrice è di Tomiwa Ajayi, ndr). Vincitore di The Baileys Women’s Prize for Fiction, Ayòbámi (classe 1988, nata a Lagos, Nigeria) grazie a questo libro è stata una delle scrittrici più apprezzate nel 2017 a livello internazionale.

Yejide è una giovane donna orfana di madre, morta nel darla alla luce: “È un personaggio che conosce bene cosa sia la perdita, sin da bambina, per questo è alla ricerca di un luogo in cui sentirsi a casa”, come racconta l’autrice nigeriana a ilLibraio.it. Il dolore, nell’intera esistenza della protagonista, si ripropone più volte sullo stesso fronte affettivo – la mancanza di una figura materna che diventa desiderio ossessivo di maternità – e ha un particolare ruolo nel formare questo personaggio: “Sin da piccola Yejidi viene maltrattata dalle altre sue madri (la poligamia infatti è legale in Nigeria e gli uomini possono avere più mogli, ndr) e per quanto il padre la ami non sempre è in grado di proteggerla da loro”, continua l’autrice. Oltre alla madre assente di Yejide, le altre madri, sia quelle acquisite, sia la madre del marito Akin, appaiono come presenze femminili ingombranti e irruente con le loro aspettative, provocando l’ansia del ventre vuoto nella sposa e aumentando l’infelicità della giovane coppia. “Non vorrei dare un giudizio su quali madri siano migliori di altre. Per Yejide l’essere madre è fondamentale per la percezione che ha di sé stessa, e lei vuole disperatamente essere per i suoi figli ciò che lei non ha potuto avere da bambina, perché sa cosa significa vivere senza una madre”.

Adebayo Ayobami, Resta con me

L’esperienza della maternità appare lontana e irraggiungibile quanto più è desiderata, ma non è l’unica pressione sociale che la coppia è costretta a subire. L’accanimento non riguarda solo la natura riproduttiva femminile, ma è rivolto anche verso la figura maschile, che in questo romanzo vive una profonda inadeguatezza. A rinforzare questa percezione, la scrittura alterna i due punti di vista dei protagonisti, passando da una voce all’altra tra i diversi capitoli, anche se quella femminile rimane preponderante.

Adebayo stessa commenta a proposito del protagonista maschile: “Akin è incapace di sollevarsi al di sopra di ciò che ci si aspetta da lui e non è in grado di vivere una sua vita autentica, tanto è ossessionato dal realizzare quello che la società si aspetta. Siccome sei un uomo ti devi comportare così, etc. È così difficile accettare di non essere all’altezza di quello che la società vuole da lui, da ferire chi ha intorno e persino sé stesso”. Le aspettative sociali intorno all’essere genitori non danneggiano solamente le donne, dunque, anche se alla fine sono le azioni maschili a determinare le terribili conseguenze raccontate in questo romanzo.

Un destino che dipende anche dall’ambientazione storica e politica, in questo caso la società fortemente patriarcale della Nigeria degli anni ’80, che però è diversa da quella attuale, e ora, secondo Adebayo, per una donna senza figli è meno difficile imporsi alla famiglia: “Le cose sono migliorate. Le persone tendono a considerare opzioni diverse, come non accadeva nel passato, e sebbene ci sia margine per un miglioramento, le cose non sono più come negli anni ’80, c’è una maggiore informazione.” A prescindere dal contesto, questo libro prova a rappresentare un dolore universale e trasversale al tempo, come la perdita dei figli: “Sono molte le cose che mi hanno ispirato. Quando ero adolescente una mia amica è mancata e sono rimasta scioccata da quanto sua madre sia cambiata dopo aver perso la figlia. Per molto tempo ho continuato a pensare a cosa significhi per una madre soffrire questa perdita e sopravvivere un giorno dopo l’altro. Volevo comprendere questo tipo di dolore. Non l’avevo mai provato in prima persona, ma volevo esplorare e capire fino a dove possibile”. Grazie anche alla visibilità data dalla più nota connazionale Chimamanda Ngozi Adichie, la scena letteraria nigeriana sta vivendo un periodo molto vivace e per avvicinarsene Adebayo consiglia alcuni titoli: la raccolta di racconti What it means when a men fall from the sky di Lesley Nneka Arimah, poi i romanzi Season of Crimson Blossoms di Abubakar Adam Ibrahim, When we speak of nothing di Olumide Popoola e Everything good will come di Sefi Atta.

È il potere della narrativa che permette di avvicinare le persone a culture ed esperienze così lontane: “Una delle cose importanti della letteratura è che ci aiuta a connetterci con l’umanità delle altre persone. Ecco perché, ad esempio, un romanzo scritto in Uganda può parlare a qualcuno in Svezia che non ha mai viaggiato in quel paese, perché con la fiction puoi essere trasportato in quel luogo. È più facile non pensare a quelle persone come degli stranieri o sconosciuti diversi da te. Che si parli lingue diverse, che si viva ai capi opposti del mondo, alla fine dei conti siete entrambi umani.”

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