Anche un maschio colto (uno scrittore) che vive nella città più emancipata e post-femminista del mondo (New York) può essere maschilista: su ilLibraio.it la scrittrice Giusi Marchetta racconta “Amori e disamori di Nathaniel P.”, romanzo di Adelle Waldman (nella foto) che mette alla berlina l’ambiente letterario/editoriale della Grande Mela

Quando per la prima volta ho letto il libro di Adelle Waldman mi è sembrato un piccolo miracolo di acume per la profondità di sguardo e l’ironia tagliente con cui l’autrice ha affrontato la “questione sentimentale” promessa nel titolo e la brillante capacità di rappresentazione e messa alla berlina dell’ambiente letterario/editoriale newyorkese. Subito, quindi, è diventato uno di quei libri che ho inflitto a più riprese ad amici e conoscenti per costringerli a leggerlo. Nel caso delle amiche, poi, mi capitava sempre la stessa cosa. Io cominciavo a descrivere il personaggio di Nate e loro tiravano un gran sospiro: lo avevano riconosciuto.

“Non era il tipo d’uomo che sparisce dopo essere andato a letto con una, tantomeno se il preservativo si rompe. Al contrario: Nathaniel Piven era il prodotto di un’infanzia post-femminista e gli anni Ottanta, e di un’istruzione universitaria politicamente corretta negli anni Novanta. Sapeva tutto del privilegio maschile. Come se non bastasse, era dotato di una coscienza perfettamente funzionante che, a dire il vero, non perdeva occasione di mettersi in mezzo. Pensate, quindi, cosa dev’essere stato per lui. (…) La versione ufficiale – spiegava agli ascoltatori – è che a lei, in quanto donna, era toccata la parte peggiore. E ovviamente era così. Ma anche per lui non era certo stata una passeggiata.” 

Adelle-Waldman-Amori-e-disamori

Nathaniel P è uno scrittore trentenne con un contratto in tasca per la pubblicazione del suo primo libro, un paio di bozze di articoli sui massimi sistemi da proporre a qualche grande testata, un appartamento sporco e in perenne disordine, un gruppo di amici e conoscenti dell’ambiente editoriale a cui è indispensabile piacere e allo stesso tempo apparire più colto, pagato e di successo, una sfilza di ragazze affascinate da  tutte queste cose.

Nate non è bello, ma è appena entrato in un’età in cui giovani donne brillanti e istruite desiderano un legame che vada oltre la leggerezza delle prime cotte e sia più solido e profondo degli amori consumati all’università. Insomma, molte sue coetanee eterosessuali cercano una relazione matura e fanno lo stupido errore, imbattendosi in un individuo all’apparenza interessante del sesso opposto, di credere di averla trovata. Qualsiasi tentativo però di costruire qualcosa con Nate, per quanto invaghito delle suddette, sembra destinato al fallimento: Elisa è noiosa, Kirsten è troppo impegnata e banale, Michelle non è abbastanza attraente e Juliet impossibile da frequentare senza impegno dopo quella improvvisa quanto sfortunata necessità di abortire. Insomma, pare proprio che non esista una donna bella, intelligente, sensibile, colta, che possa vincere l’urgenza di Nate a cercarsi qualcosa di diverso. Questo finché non avrà la fortuna di conoscere Hannah. O finché lei non avrà la sfortuna di conoscere lui.

 “Era felice di aver incontrato una donna così ragionevole, così non ridicola, una donna che gli ispirava una stima pari al desiderio.”

Hannah non è perfetta ma lo sembra. I due si frequentano, la storia comincia a diventare più seria e impegnativa ed è a questo punto che, come sempre, Nate si tira indietro. Dopo aver fatto una bellissima apologia delle relazioni e della loro importanza nella nostra vita (l’interazione umana più intensa che ci possa essere. Ti trovi a valutare una persona per capire se valga il tuo tempo e la tua attenzione e lei fa lo stesso con te. È la meritocrazia applicata al livello personale ma nessuno è chiamato a rispondere di ciò che fa) Waldman ci avverte che non giochiamo tutti con le stesse regole perché l’altro potrebbe non volere quello che vogliamo. Ma questo, per quanto triste, è normale. Si può, quindi, in tutta onestà, giudicare con severità un Nate che non ricambia i nostri sentimenti e ci spezza il cuore? Si può, eccome.  

Hannah non è perfetta, dicevamo, ma lo sembra soprattutto quando sono soli. A Nate però questo non basta; lui la desidera, ma vuole vedere lo stesso desiderio negli occhi degli amici: la loro invidia lo renderebbe più convinto, più innamorato. C’è qualcosa nelle donne che lo attraggono che gli serve per sentirsi migliore o comunque in pari col mondo.

Come molti artisti che aspirano al successo, Nate sa che un giornale importante potrà rifiutare i suoi articoli, che non avrà sempre un contratto di un editore generoso a portata di mano per giustificare il fatto che non sta scrivendo nulla; sa che competere col talento degli altri è passeggiare in un cespuglio di rovi. Essere scelto da una donna che sia “palesemente figa”, una che gli altri vorrebbero ma che è disponibile solo a lui, è la sua piccola, mediocre rivincita sul mondo, la sua assicurazione sul futuro. Una fidanzata bella, vincente, desiderabile agli occhi degli altri è capace di bilanciare (sempre agli occhi degli altri) qualsiasi sconfitta. E potremmo quasi avere compassione di questa fobia da fallimento, se non sostituissimo la parola “donna” con “auto” e ci accorgessimo che per lui non c’è molta differenza.

A quanto pare dunque, anche un maschio colto che vive nella città più emancipata e post-femminista del mondo può essere maschilista. In un modo nuovo, meno sfacciato e sempre sulla difensiva.

Chissà come mai le donne credevano che gli uomini si sentissero minacciati quando una donna li sfidava, si chiede Nate a un certo punto con rara onestà, cancellando di colpo il senso di ogni discussione intavolata con loro. È una stilettata sottile ma significativa e ha a che fare con ogni tipo di competizione dal lavoro alla scrittura. Sarà un libro incredibile, dice ad Hannah che ha il blocco dello scrittore, sentendosi premuroso, maturo e felice di esserlo, ma quando sarà lei a consolare lui, Nate avvertirà che c’è qualcosa di sbagliato nell’essere la parte debole della coppia. Così come gli sembrerà ingiusto che per gli amici lei non sia così attraente (un sette, al massimo).


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Insomma, in modo leggero ma infierendo al momento giusto, Waldman ci mostra quanto nei rapporti conti la concezione delle donne da parte di uomini troppo politicamente corretti per essere apertamente maschilisti, ma che nelle scelte di cuore vengono guidati da un istinto inconfessabile: quello di avere una compagna da sostenere e in qualche caso da da guidare, da cui sia impossibile essere messi realmente in discussione (per quello ci sono sempre le amiche: intelligenti, affidabili, necessarie anche se un po’ troppo critiche). Nate preferirà dividere l’appartamento e la vita con una ragazza che non condivide le sue vere passioni e non capisce le sue speranze; una donna che non è in grado di intuire le sue paure o che non ha interesse a vederle. Una donna per cui non sia importante sforzarsi di essere migliore e a cui si può mentire per semplice omissione.

Rileggere il libro con il gruppo di lettura di Stream il mese scorso mi ha portato a confrontarmi con altre lettrici sulla “sindrome di Nate”, un complesso accumulo di dinamiche relazionali germogliate negli anni in individui tendenti al narcisismo e perennemente sorpresi dal dolore che sono in grado di arrecare quando calpestano i sentimenti altrui. Il “Nate” (uomo o donna che sia) tenderà a fare di tutto per conquistare e legare a sé la persona che al momento desidera puntando sulle sue debolezze, rendendosi all’apparenza indispensabile; quando poi riterrà di averne abbastanza se la lascerà alle spalle crogiolandosi nel senso di colpa quel tanto che basta per sentirsi profondo e, in fondo, in un modo oscuro e difficile da spiegare, anche lui vittima delle sue stesse azioni. E dunque, ciò che rende Nathaniel P irritante per le ragazze che lo hanno incontrato è anche quello che permette loro di riderne a distanza di tempo con le amiche o con un gruppo di ragazze conosciute una sera in libreria, quando, sfogliando il romanzo per la seconda volta vi ritrovano tutti quei piccoli tagli che, a distanza di anni, sono ancora in grado di sanguinare un po’ o la descrizione precisa del modo feroce in cui ci rapportiamo agli altri, usandoli o permettendo che ci usino finché non dimentichiamo e andiamo avanti, accogliendo timorosi l’amore in arrivo sperando che non sia doloroso e stupido come quello che lo ha preceduto.

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