Su IlLibraio.it il punto di vista del presidente dell’Associazione Librai Italiani sulla legge Levi e le conseguenze che avrebbe (avuto) la sua abolizione per le realtà indipendenti, sul gigante-Amazon, e sulla possibile (e molto discussa) acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori (nel giorno dell’atteso Cda in via Rizzoli, e dopo che il premier Renzi si è detto “non preoccupato” per l’operazione)…

È proprio vero che in Italia il sistema editoriale è attraversato da anomalie. Anomala è la ben nota verticalizzazione, che vede molti produttori di libri in una veste “trina” (editori, distributori, dettaglianti ), anomalo è il fatto che la distribuzione alle librerie fisiche sia più lenta di quella attraverso gli operatori online, anomala infine è la vendita dei libri di testo, in cui vige un antico sistema di esclusiva territoriale che sembra valere ormai solo per le malcapitate librerie indipendenti.

Tutto ciò premesso, in questi giorni assistiamo ad altre due anomalie che rendono o potrebbero rendere la vita delle librerie ancor più complicata.

Il nostro Paese è l’unico paese europeo, tra quelli che hanno scelto il cosiddetto “prezzo fisso”, ad avere una norma estremamente “generosa” (tetto del 15% di sconto, contro il 5 di Francia e lo 0 della Germania) e soprattutto con una quantità di eccezioni e di possibilità di “interpretazioni creative” che di fatto lo rendono lo sconto praticamente libero.  Ciò nonostante alcuni nostri solerti parlamentari, consigliati da alcuni campioni del liberismo in salsa italiana, ritengono che questa legge sia incompatibile con la libera concorrenza e perseguono l’obiettivo della sua cancellazione con una pervicacia sconosciuta in altri ambiti ben più importanti.

Poco importa che una volta abolita la legge Levi si realizzerà in tutta la sua pienezza l’evidente posizione dominante di un solo operatore online, che per di più tende a non pagare le tasse in Italia; poco importa che la limitazione dello sconto abbia il primario obiettivo di garantire a tutti uguali punti di partenza, come avviene anche negli Stati Uniti, attraverso una legislazione che rovescia la prospettiva (tetto massimo di sconto di cessione applicato a qualsiasi rivenditore), ma tende a raggiungere gli stessi obiettivi: quello che preoccupa veramente è la totale indifferenza (in buona fede?) di questi soloni alle conseguenze di quanto con veemenza sostengono. In realtà, infatti, essi non sostengono il prezzo libero, cosa che potrebbe essere anche coerente con i loro principi, ma lo sconto libero, che è una cosa ben diversa. Inoltre, non considerano, o non vogliono considerare, che le librerie del territorio non possono vivere solo di “accoglienza, servizi aggiuntivi, atmosfera”, ma anche di vendita di libri, e magari non solo quelli di catalogo, ma anche quelli che si vendono o si potrebbero vendere in parecchie copie.

I campioni del liberismo arrivano addirittura a sostenere che la vendita online è la frontiera per lo sviluppo della lettura in Italia, partendo evidentemente dal presupposto (o pregiudizio) che le librerie indipendenti non fanno quotidianamente e in maniera quasi del tutto gratuita promozione della lettura, oppure che non sono all’altezza di tale compito. Non nego che in taluni casi e in alcune zone del Paese si sia rimasti indietro, ma ormai da anni i librai hanno intrapreso la strada della formazione permanente e del rinnovamento e molte realtà sono esemplari del grande cambiamento che è in atto.  E poi, riusciamo a immaginare uno scenario in cui le librerie indipendenti scompaiono dalle città, nel quale i libri vengono acquistati solo attraverso un computer e dove al rapporto con il libraio viene sostituto un algoritmo?

La seconda anomalia riguarda la prospettiva dell’acquisizione della Rcs libri da parte di Mondadori. Non voglio entrare nel merito delle questioni finanziarie che hanno portato Mondadori a formulare questa “manifestazione di interesse”, ma desidero esprimere il disagio di fronte a una prospettiva di tal genere. È vero che, a eccezion fatta per alcune sigle, come Adelphi e Marsilio, e altre minori, non c’è più da tempo la figura dell’editore in carne e ossa, e quindi i vari marchi sono in mano a editor, generalmente competenti, che garantisco l’autonomia del progetto editoriale, ma a noi librai indipendenti spaventa la dimensione di una tale aggregazione. Noi siamo degli artigiani e questa dimensione artigianale è il nostro vero vantaggio competitivo. Rapportarci con un colosso industriale del genere ci mette automaticamente, dal punto di vista commerciale, in una posizione di inferiorità, a prescindere dalla proposta editoriale che potrà continuare ad essere diversificata.

Tuttavia anche sotto questo ultimo profilo c’è qualche perplessità, soprattutto per quanto riguarda il mondo dei tascabili, dove la concentrazione arriverebbe a livelli del 70% di quota di mercato. Già i nobilissimi tascabili Bompiani, nel contesto della Rcs libri, secondo il mio punto di vista soffrono da tempo di “crisi d’identità”, ma cosa ne sarebbe dei due capisaldi dell’editoria italiana come gli Oscar Mondadori e la Bur Rizzoli? Quante sovrapposizioni di titoli, soprattutto di autori fuori diritti, necessiterebbero di “razionalizzazioni”? Come mantenere vivi e implementare due patrimoni della cultura italiana?

Come è evidente questa aggregazione non solo toccherebbe gli aspetti più squisitamente commerciali e di libero mercato, ma anche quelli relativi alle scelte editoriali. Per questo mi permetto sommessamente di dire che se questa idea trae origine dalla necessità di competere da una posizione di forza nei mercati globali (anche se quello del libro italiano non è un grande mercato), forse questa posizione forte la si può ottenere più semplicemente pubblicando buoni libri e sostenendo buoni autori.

*L’autore, libraio indipendente, è presidente dell’Ali

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