“È una storia di famiglia dove quasi nessuno è allevato dai propri genitori. È una storia di ‘gender’ e ‘transgender’…”. Su ilLibraio.it un estratto da “La vita sessuale dei nostri antenati”, firmato dalla nota autrice di storie per ragazzi Bianca Pitzorno

Giugno 1979. A Cambridge, durante un congresso sulle discese all’oltretomba per interrogare i morti nei grandi poemi classici, la giovane Ada Bertrand, docente universitaria di letteratura greca, fa tre incontri che cambieranno la sua esistenza: un pazzo antropologo-sciamano che pretende di saper parlare con i morti, la sua giovane assistente-medium, che le ‘affida’, perdendolo e facendoglielo trovare, un simbolico anello, e un giovane e bellissimo sconosciuto che in un incontro fugace le regala il primo vero orgasmo della sua vita rivelandole l’unione indissolubile tra eros e thànatos.

Tornata in Italia con questa nuova facoltà visionaria anche se inconsapevole Ada si trova a ripercorrere la storia della propria famiglia, a partire dalla coppia che ha allevato lei e sua cugina Lauretta, orfane, la severa, aristocratica e sprezzante nonna Ada Ferrell e lo zio Tancredi Bertrand suo figliastro, medico, affettuoso, indulgente e originale.

Grazie a una serie di strane coincidenze Ada scopre antiche carte, dipinti, gioielli, diari, ritagli di giornale che tutti smontano e contraddicono la versione ufficiale e rispettabile della storia familiare tramandata dalla nonna con orgoglio, generazione dopo generazione.

Niente è in realtà come si era creduto e raccontato. Anche la vita quotidiana di Ada, donna colta ed emancipata, con un lavoro appagante e una tranquilla relazione di coppia dopo una giovinezza sessantottina un po’ turbolenta, comincia a mostrare delle strane smagliature, attraverso le quali trapela una realtà diversa che lei molto spesso non riesce o non vuole capire, nonostante i numerosissimi sogni pieni di simboli e avvertimenti che al risveglio annota scrupolosamente per riferirli all’analista presso cui è in trattamento da anni.

Le sue antenate, la lunga catena di donne da cui discende, con le loro esperienze, i loro desideri, gli errori, le battaglie per affermare sé stesse, i dolori, le sconfitte e le vittorie, stanno cercando di insegnarle qualcosa sul significato della vita?

È la trama del nuovo romanzo di Bianca Pitzorno, La vita sessuale dei nostri antenati, in libreria per Mondadori. L’autrice, punto di riferimento della letteratura per ragazzi, pubblica dunque un libro per adulti. Come racconta sul suo sito, la scrittrice, classe ’42, ha individuato un elemento costante nella sua scrittura: “L’attenzione per i personaggi femminili, unici protagonisti dei miei libri, e per i problemi relativi all’essere donna, ragazza o bambina nella nostra società contemporanea o nel passato più o meno lontano”. Sempre su biancapitzorno.it, a proposito del nuovo libro, Bianca Pitzorno sottolinea: “È una storia di famiglia dove quasi nessuno è allevato dai propri genitori. È una storia di ‘gender’ e ‘transgender’. E una storia di autoanalisi, dove Ada crede di essere donna ragionevole, e si lascia travolgere dall’irrazionale. Ci sono molti sogni importanti. C’è molto di quello che la mia generazione ha letto e amato al liceo classico. Ci sono pittori e pitture. Ritratti a olio e fotografie. C’è il colloquio con i propri morti, anzi con le proprie morte. Ci sono medium del passato e del presente…”.

Bianca Pitzorno, Mondadori

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto da La vita sessuale dei nostri antenati di Bianca Pitzorno:

D’altronde, commentavano tra loro maliziose Ada e Lauretta adolescenti, cosa c’era da fare a Ordalè nei lunghi inverni del Cinque, Sei e Settecento? Nelle case malamente riscaldate e peggio illuminate, nei grandi e alti letti di ferro battuto dalle pesanti lenzuola di lino tessute in casa. Le donzelle si sposavano attorno ai diciott’anni, dopo lunghe contrattazioni dei familiari sulla dote, sull’accorpamento di terreni confinanti, su antiche faide da pacificare, non certo per amore. E dopo nove mesi mettevano al mondo il primo figlio, per poi proseguire ininterrottamente per tutta l’età fertile, che per qualcuna durava anche trent’anni.

Gli uomini uscivano, andavano a caccia, visitavano le proprie tenute, controllavano il bestiame, si recavano al tribunale di Donora per seguire le liti interminabili con i vicini, passavano le serate giocando a carte nel “casino dei nobili”. Qualcuno partecipava alla amministrazione pubblica locale. Molti collezionavano cani da caccia e fucili istoriati, qualche testa bizzarra persino libri antichi o oggetti d’arte. Altri collezionavano figli bastardi ingravidando le servette di casa o le contadine delle loro campagne che non potevano negarsi. I più si disinteressavano completamente di questi rampolli spuri persino quando in caso di carestie morivano letteralmente di fame, alcuni provvedevano finanziariamente al loro avvenire. “Chissà con quante famiglie dei villaggi e delle campagne siamo imparentati senza saperlo?” si era chiesta Ada molte volte.

Le mogli stavano in casa. Non avevano molto da fare perché a tutte le faccende domestiche provvedeva uno stuolo di serve che si occupava anche dei bambini. Le dame ricamavano, recitavano il rosario. Non leggevano romanzi. Raramente erano del tutto analfabete, ma la loro abilità non andava oltre le formule mille volte ripetute del messale. Uscivano solo per andare in chiesa, accompagnate dalla domestica più anziana. Scambiavano visite, sempre accompagnate, con la famiglia d’origine. Se questa abitava lontano, ci andavano in carrozza. Raramente passeggiavano all’aria aperta. Avevano sempre il ventre gonfio per una gravidanza appena iniziata o vicina al termine. Partorivano in casa. Per dare il seno al neonato c’era a disposizione una balia proveniente dalle campagne della famiglia, allattare non era un compito riservato alle nobildonne. E ogni notte venivano penetrate senza troppi preliminari dal marito, che non le aveva mai viste nude.

«Chissà se provavano piacere?» si chiedeva la diciottenne Lauretta.

«Chissà?» le faceva eco la sedicenne Ada.

Un giorno si era fatta coraggio e in tono di sfida aveva ripetuto la domanda alla nonna.

«Il piacere del dovere» era stata la secca risposta. E poi: «Mi vergogno di te. Sei proprio una ragazza viziosa se pensi a certe cose».

(Continua in libreria…)

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