Non capita facilmente di pensare al carcere come un luogo di lettura. Eppure i carcerati hanno moltissimo tempo libero e spesso lo occupano dedicandosi ai libri. Il Guardian è stato alla prigione maschile HMP Thameside, nella periferia di Londra, e ha scoperto che in carcere spesso si organizzano dei club del libro più o meno “regolari”

Non capita spesso di pensare al carcere come un luogo di lettura. Eppure i carcerati hanno moltissimo tempo libero e spesso lo occupano dedicandosi ai libri. Il Guardian (da cui sono tratte le foto in questo articolo) è stato alla prigione maschile HMP Thameside, nella periferia di Londra, e ha scoperto che in carcere spesso si organizzano dei club del libro più o meno “regolari”.

Le regole carcerarie in Regno Unito impongono che ogni carcerato abbia la possibilità di passare almeno mezz’ora, due volte al mese, in biblioteca a scegliere dei libri da leggere. A differenza delle biblioteche fuori dalle sbarre, dove regna il silenzio, in carcere questo è un momento di socializzazione. I libri, infatti, diventano un mezzo per unire persone che, se non fossero confinate nello stesso spazio, avrebbero poco – o niente – in comune.

Nel carcere di Thameside ogni settimana si tiene anche un incontro del club del libro presieduto da una volontaria che opera per il progetto Prison Reading Books, creato dall’Università del Roehampton e dal Fondo per l’educazione nelle carceri. Durante l’incontro del bookclub si parla di Denti bianchi, romanzo corale di Zadie Smith. A colpire i lettori è che si affronti il multiculturalismo. Molti dei carcerati sono inglesi di seconda generazione e sentono il tema vicino.

Si leggono anche le saghe, come Hunger Games, oppure le biografie delle celebrità, ad esempio quella di Russel Brand, personalità inglese che ha anche visitato il carcere di Thameside, come ricorda un carcerato.

In carcere si legge tanto, perché alla sera “dalle sei del pomeriggio in poi si deve stare nelle celle”, spiega un carcerato. “Con un libro da leggere il tempo passa più veloce e mentre leggo non mi sento più in prigione“, conclude.

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