L’illustratore Massimo Fenati vive a Londra da 21 anni. Dopo aver preso la doppia cittadinanza, non si sarebbe mai aspettato la vittoria del Leave sul Remain al recente Referendum sulla Brexit. E adesso non sa cosa aspettarsi… – Il suo deluso intervento su ilLibraio.it

Era esattamente quattro anni fa, in tempo di Olimpiadi. Londra, di per sé già cosmopolita, si era ancor più colorata di mille nazionalità ed etnie, in un bellissimo clima di festa. Quale momento migliore per prendere la mia cittadinanza britannica?

In qualità di italiano, e dunque appartenente alla UE, non avevo bisogno della doppia cittadinanza, ma dopo tanti anni a Londra (ne ho da poco festeggiati 21), ci tenevo a sentirmi più parte del tessuto sociale di un paese che ammiro profondamente per la sua democrazia illuminata. Ed il discorso fatto dal councilor che guidava la cerimonia ha dato voce a questa mia convinzione: “Non solo vi diamo il benvenuto come nuovi cittadini britannici, ma vi vogliamo anche ringraziare per la vostra scelta, perché da secoli gli immigrati da tutte le parti del mondo sono quelli che rendono grande la Gran Bretagna”.

Wow! Ora provate un po’ ad andare ad una cerimonia di cittadinanza in Italia… “E ringraziate che vi concediamo ’sta cosa, eh? Prendetevi ’sto foglio e andate casa zitti zitti prima che ci ripensiamo!”.

Felice di sentirmi dunque cittadino britannico a tutti gli effetti, il 23 giugno scorso mi sono recato al seggio elettorale per votare Remain al referendum sulla UE, convinto che il paese mi avrebbe fatto eco, fiducioso della sua lungimiranza e apertura. E poi nessuno che io conoscessi a Londra aveva intenzione di votare Leave, per cui sembrava ovvio a tutti: vinceremo anche con un buon margine!

Il mattino dopo, la doccia fredda. Anzi, gelida. Quando alle 7 di mattina ho visto il risultato dei voti in tv è stato un vero shock. Ho sentito crollare la mia fede nella democrazia e intelligenza britannica. Mi sono sentito accoltellato alla schiena.

Sì, lo sapevo che, quando esci da Londra, l’Inghilterra è un altro pianeta, molto più provinciale della provincia italiana e in completo contrasto con il turbine multi-culturale della capitale. Ma non avrei mai pensato che ci potesse essere un tale livello di cecità e di ignoranza. Chi ha votato Leave, l’ha fatto senza pensare a cosa volesse dire, l’ha fatto solo per xenofobia, per gelosia degli idraulici polacchi o dei netturbini lituani (lavori che nessun inglese sa o vuole più fare). L’ha fatto per ignoranza, credendo a politici disonesti come Nigel Farage che diceva “questo è un voto contro i banchieri ricchi e corrotti” (…lo so, neanche io ci vedo un nesso minimamente logico!). E l’ha fatto in tutta probabilità anche per stizza perché l’Inghilterra era appena stata eliminata dai campionati europei di calcio. Ahimè, quando si parla di persone così ignoranti, purtroppo anche queste cose contano.

La primissima reazione è stata come per un disastro nazionale: il mio cellulare impazziva di chiamate e sms di tutti i miei amici e conoscenti. Eravamo tutti sotto shock ed avevamo bisogno di confrontarci – e confortarci – l’un l’altro. “Oddìo, è terribile. Stai bene? Io sono sconvolto…”. L’ultima volta che avevo vissuto l’esperienza di questa specie di catena umana virtuale era stata nel 2005 quando c’era stato l’attacco di Al-Qaida alla metropolitana di Londra.

Le ore, giornate e settimane successive al voto sono state un colpo di scena dietro l’altro. Guardare il telegiornale era come seguire una telenovela brasiliana. L’assetto politico del paese si è rivoluzionato praticamente dal giorno alla notte.

Ed ora? Nessuno sa cosa succederà. Sappiamo che Theresa May ha intenzione di implementare il voto del paese, ma nessuno sa come. Il fatto fondamentale è che il referendum è stato mal concepito: era come votare “volete blu, oppure non-blu?”. La gente ha scelto di scartare il blu, il meraviglioso blu della bandiera europea. Ma ora? Andremo per il verde, il giallo, il rosa, il grigio…? Questo il referendum non lo diceva e le persone che hanno votato Leave iniziano solo ora a capirlo e a rendersi conto dei grossi rischi che corrono. Le campagne hanno votato contro le città perché si sentivano escluse dal loro mondo globalizzato. Ma le prime a risentirne saranno proprio loro quando verranno a mancare i lauti sussidi ad agricoltura e allevamento sborsati regolarmente dalla UE.

Non voglio negare che la UE vada revisionata. Anzi. Ci sono un sacco di cose che a Bruxelles non funzionano. Ma ora purtroppo per noi è tardi. Il Regno Unito finirà con l’essere il capro espiatorio che ha generato la scossa che farà cambiare tante cose (tutti gli stati temono l’effetto domino e devono correre ai ripari), ma a noi britannici resterà solo di guardare queste cose dall’esterno senza poter godere di questi agognati cambiamenti.

Fino a due mesi fa quando viaggiavo ero orgoglioso di presentare il mio passaporto britannico alla dogana. Ma da fine giugno ho rispolverato il mio passaporto italiano…

Londra resta sempre un meraviglioso crogiuolo di culture, idee e modi di vivere. E questo neanche la Brexit riuscirà a cambiarlo. Ma di sicuro quando attraverso in treno le campagne inglesi per andare in aeroporto, ora mi sento un po’ più un alieno di prima.

Massimo Fenati

L’AUTORE – Massimo Fenati, autore anche dell’illustrazione che accompagna questo articolo, è nato a Genova nel 1969. Appassionato sin dall’’infanzia di fumetti e libri illustrati, negli anni dell’’università si è cimentato nella realizzazione di brevi storie illustrate, pubblicando alcuni dei suoi lavori su riviste di fumetti. Dopo la laurea in architettura, nel 1995 si è trasferito a Londra dove ha cominciato la sua carriera come product designer e successivamente ha aperto uno studio. Ha lavorato come creativo per numerose aziende tra cui Nokia, Driade, Cappellini, Flos, Alessi, Crabtree & Evelyn. Per Tea ha pubblicato Arte pinguina, Il libro del sesso di Gus & Waldo e Il libro dell’amore di Gus & Waldo. Il suo sito è Gusandwaldo.com


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