Su ilLibraio.it un capitolo da “Bruciare tutto”, il nuovo romanzo di Walter Siti, che sta facendo discutere e che racconta la storia di un sacerdote attratto dai bambini

A chi apparteniamo? A quale legge ubbidiamo? Per un prete che cosa significa, davvero, amare Dio? Questo si chiede don Leo nelle sue giornate divise tra oratorio, mensa dei poveri (che sono sempre di più anche nella Milano del nuovo skyline da bere e da mangiare), ripetizioni ai bambini in difficoltà, messe celebrate con confratelli molto diversi da lui.

Un prete è un uomo mangiato, potato come una vigna; la vita privata di un prete sono gli altri e don Leo lo sa bene, mentre cerca risposte in un dialogo con un Dio che lo spia e lo ascolta dalla sua Onnipotenza ma risponde a strappi, con frasi ambigue e talvolta dispettose. Un Dio che sembra non riuscire mai a liberarsi dall’ombra del suo Avversario…

Walter Siti, vincitore del premio Strega nel 2013, è tornato in libreria con un romanzo che, ineluttabilmente, sta facendo molto discutere: Bruciare tutto (Rizzoli), in cui per la prima volta non partecipa come personaggio alla storia.

Un prete ossessionato dall’attrazione per i bambini, don Leo, il protagonista scelto da Siti, come ha raccontato Michela Marzano in una riflessione molto dura pubblicata da Repubblica (“… Uno scrittore deve poter parlare di tutto. Anzi, talvolta ha persino il dovere di farlo. La letteratura ha d’altronde le spalle larghe, e può sopportare quasi qualsiasi peso. Quasi. Perché poi tutto dipende da come lo si fa, dallo scopo che ci si prefigge, dalle conclusioni che se ne tirano. I pedofili esistono e, se si sente il bisogno di parlarne, lo si può (e forse lo si deve) fare, ma a patto di restare autentici e veri fino alla fine. Che scopo, dunque, si prefigge Siti? Che conclusioni trae raccontando la storia di don Leo partendo da premesse così gratuitamente scandalistiche?”).

L’articolo di Michela Marzano ha subito generato un acceso dibattito, sia in rete sia sui giornali.

Citiamo solo un altro parere tra i tanti già arrivati: decisamente su posizioni opposte è Emanuele Trevi, che sul Corriere della Sera scrive: “Bruciare tutto fin dal suo primo apparire in vetrina si porta dietro un’aura di scandalo. Voglio solo notare che Siti, come ogni scrittore degno di questo nome, presuppone dei lettori in grado di compiere un’operazione elementare, da cui discende tutta la narrativa moderna: distinguere il punto di vista dell’autore da quello del personaggio. È un ‘fondamentale’ che, se ben ricordo, si insegna anche scuola, e che ci impedisce di ritenere sensatamente che Nabokov facesse sesso con le figlie minorenni delle sue padrone di casa o che Dostoevskij, mettiamo, predicasse l’infanticidio. L’unica infamia che può commettere uno scrittore è proprio quella di giudicare ciò che rappresenta, arrogarsi una specie di superiorità morale che non gli può appartenere. Se la critica manca di queste distinzioni basilari, tanto vale affidarsi direttamente all’istinto dei lettori o alle stelline di Amazon”.

bruciare tutto

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, proponiamo un estratto dal libro:

Quando pensa a Satana, Leo viene invaso da una sensazione di calore; ha scelto la tesina in demonologia perché era un luogo dove nessuno dei professori voleva spingersi, considerandolo superato dal punto di vista accademico. Vecchiume. Il giorno della discussione (se lo ricorda benissimo) due scie sfilacciate di aerei, incrociandosi, avevano biffato tutto il cielo sulla valle con una x gigante – Leo sentiva la tonaca, che in altre occasioni era la sua corazza contro gli eccessi dell’io (passare dal cognome al “don”, ah che liberazione!), pesargli quel giorno come uno scherzo contro natura. Dopo la lode, e prima del misero ristorantino con mamma e zia, i coscritti avevano giocato a proiettare le loro ombre, allungate dal tramonto, sull’erba fosforescente della collina. “La volontà ventosa dell’Eterno.”

Come gli angeli, il Diavolo non ha corpo: è materia cieca, ribollente e informe. È pura energia. Quando Dio, non riuscendo ad autolimitarsi nel proprio nulla, ha dato luogo al mistero insondabile dell’essere, non ha potuto evitare che si formasse la prima terribile onda del “quasi”: un essere quasi perfetto quanto lui, quasi altrettanto luminoso e potente, è rimbalzato nel vuoto come un’eco del frastuono primigenio. In questa seconda (e quasi immediata) energia-mente si è impiantato il fuoco del “se solo…”: mancava poco, se appena i momenti si fossero invertiti, l’Onnipotente sarei stato io. All’onnipotenza mancata ha fatto specchio una spaventosa immedicabile angoscia dell’impotenza – un’energia negativa, pallida d’invidia, ombra indivisibile dal bagliore che esplodendo dall’inespresso stava creando il tempo e lo spazio.

La luce non ha bisogno del prisma per essere luce, ma ne ha bisogno per diventare colore. Così nacquero gli angeli, addetti all’ordine cosmico: ma il più bello e il più intelligente di loro, Colui che avrebbe quasi potuto essere il loro capo, si era già inconsciamente votato alla passione del disordine – al terribile odio puro, alle delizie della distruzione. Il mozzicone acceso che sfrigola nel cuore giallo della margherita, il bosco millenario ridotto in cenere, il terremoto che sgranocchia palazzi come grissini e ingoia le vittime annaspanti nel vuoto – bambini di una scuola uccisi uno per uno con un fucile a ripetizione, o avvelenando l’acqua dei rubinetti, un urrà per ciascuna delle loro pose moribonde. Di questa sfrenata ossessione sono impastate le colonne dell’inferno.

L’episodio dell’Eden è stato un epifenomeno tardivo: una guittata un po’ grottesca (un serpente, figurarsi!), degna di quelle anime ritardate che erano gli uomini – tant’è vero che poi Dio si è fatto uomo per salvare gli uomini ma non ha osato farsi diavolo per salvare i diavoli. Emanazioni troppo prossime a lui, troppo pericolose: non creature da un tanto al chilo, messe insieme con un po’ di terra e di fiato, che si sarebbero accontentate di un giardino. E Cristo, arrogante coi diavoli di basso rango (quelli che si incarnano nei maiali), con Satana in persona è prudente, sa che può solo farlo indietreggiare. Al momento delle tentazioni nel deserto, Cristo finge di non capire la portata delle offerte e così rende a Satana l’onore delle armi; mentre insegna agli apostoli che bisogna amare i propri nemici, non arriva lui stesso ad amare il proprio principale nemico, cioè appunto il Diavolo. (Un bacio tra Cristo e Satana, a Leo pare di averlo intravisto in un film ma non ricorda quale.) Per i seguaci, diavoli da operetta, il discorso è più ovvio: umile cattiveria gregaria e passiva, come gli adepti di Hitler o di Charles Manson, che non avrebbero il coraggio di ribellarsi da soli e proiettano in un leader il proprio desiderio di rivalsa. Niente a che fare con la livida, superba dannazione del capo carismatico (“meglio regnare sull’inferno che servire in paradiso!”), sempre scettico su se stesso e sul proprio terrore. I seguaci hanno bisogno di scaldarsi appigliandosi a qualcuno
– trovano senza fatica clienti sempre nuovi: non avere un corpo è la condizione migliore per prestarsi alle fantasie di coloro a cui i corpi reali non bastano. Leo si chiede talvolta se quello con gli occhi da lemure, il viso di cuoio nero e un largo sorriso idiota, non sia per caso il suo diavolo custode.

(continua in libreria…)

 

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