“In una società sempre meno capace di relazionarsi con il reale (la manualità, la fatica, la fisicità), l’esperienza di prepararsi uno zaino, di accatastare la legna, e di partire per un sentiero è più che mai salutare…”. Marco Albino Ferrari, in libreria con “La via incantata. Nella natura, dove si basta a sé stessi”, parla del ritorno d’interesse per la montagna e i libri che raccontano la vita nella natura

Percorrere un sentiero in salita e cogliere i mutamenti scanditi dal passaggio tra le fasce altitudinali. Sedersi su un masso in cima a una valle e contemplare i volumi delle montagne che cambiano lentamente con l’avanzare delle ore. Fissare la dissolvenza del tramonto da dietro le vetrate di un rifugio alpino, fino a lasciarsi invadere da quello spleen che solo la lontananza dal mondo abitato riesce a infondere.

Sono queste le atmosfere che sempre più spesso letteratura, televisione, pubblicità evocano in varie forme: vedi, esempi citatissimi, l’ultimo vincitore del Premio Strega, Paolo Cognetti con il suo romanzo Le otto montagne (Einaudi) o il bestseller Norwegian wood. Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare e scaldarsi con la legna di Lars Mytting (Utet). Come se lo spirito del tempo – almeno per una componente sempre più consistente della società – si coagulasse nel mito del ritorno alla natura, soprattutto a una natura montana poco antropizzata, con foreste, ghiacciai, solitudini d’alta quota. E, manco a dirlo, con l’affermarsi di una tendenza spuntano come sempre anche i relativi detrattori.

Sono in molti, infatti, a scagliarsi contro il sempre più diffuso desiderio di leggere di montagna, di passeggiare in quota e magari di impostare un’esistenza più vicina ai ritmi della stagioni, rinunciando a qualche consumo di troppo per abbracciare una vita più sana. A leggere i loro interventi su quotidiani e sul web, mi viene il sospetto che molti di questi denigratori si affidino a uno sguardo distante dall’oggetto criticato, perciò teorico-ideologico.

Frequento la montagna da quando sono adolescente, scrivo e mi occupo di montagna da oltre un quarto di secolo, e posso assicurare che il nesso tra godere di un tramonto al rifugio, o di una passeggiata sul ghiacciaio non ha niente a che vedere con il tornare “indietro”.

Se camminare in montagna è diventato un desiderio di molti, andrebbe visto come l’obiettivo di migliorare la propria vita e quelle dei figli salvandoli per qualche ora dal solipsismo virtuale dei computer. In una società sempre meno capace di relazionarsi con il reale (la manualità, la fatica, la fisicità), l’esperienza di prepararsi uno zaino, di accatastare la legna, e di partire per un sentiero è più che mai salutare. Direi quasi necessaria per recuperare la consapevolezza di sé, delle proprie mani, del proprio corpo. E per capire ciò che è utile e ciò che è inutile. Per questo mettere in relazione il fare e l’apprendere nella natura diventa oggi più che mai necessario. Molti lo hanno capito.

Scegliere di fare a meno di consumi inutili, degli ultimi modelli di telefonino, automobili e sci, non significa frenare il progresso, al contrario, significa evolvere, fare un passo in avanti proprio nel segno del progresso. Sotto una pianta è più facile accorgersi quanto puzzi l’inquinamento. Dovremmo cercare di modificare le nostre vite e le nostre città (come fanno nei Paesi più avanzati), senza andare per forza a vivere in una baita, ma cercando di inquinare meno, di tenere comportamenti responsabili, come comprare cibi con meno imballaggi. Andare in bici in città non è un ripiego antimoderno: per me significa arrivare puntuale all’appuntamento.

La via incantata. Nella natura, dove si basta a sé stessi

L’AUTORE E IL LIBRO – Scrittore, sceneggiatore e giornalista, Marco Albino Ferrari dirige il periodico Meridiani montagne, da lui fondato nel 2002. Tra i suoi romanzi ricordiamo Il vuoto alle spalle (Corbaccio), La via del lupo (Laterza), Montecristo (Laterza), Il sentiero degli eroi (Rizzoli). In questi giorni è in libreria con La via incantata. Nella natura, dove si basta a sé stessi, resoconto di un’escursione lungo il sentiero Bove, tra il Piemonte e il lago Maggiore. Lungo il percorso intitolato all’esploratore Giacomo Bove, l’autore si interroga sul perché l’uomo voglia fuggire dalla civiltà, perché scelga la semplicità e la solitudine della vita nei boschi.

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