“Da giovane ho letto molta mitologia, ma solo la sua rilettura da adulta mi ha svelato il vero valore della tradizione classica, come la profondità psicologica dei personaggi. Da quel momento non sono più riuscita a togliermela dalla testa, così è arrivata l’ispirazione: dedicare una trilogia alla rilettura del mito”, racconta Catherine Dunne a ilLibraio.it. La scrittrice è in libreria con il nuovo romanzo, “Dove cade la luce”, ispirato al mito di Fedra. Tra i vari temi toccati nell’intervista, il riconoscimento del valore delle autrici, l’abuso di potere, il ruolo delle aspettative della famiglia nella costruzione dell’identità e il processo creativo…

La scrittrice Catherine Dunne torna nelle librerie italiane con Come cade la luce (Guanda, traduzione di Ada Arduini), una tragedia familiare che ruota attorno a due sorelle, Alexia e Melina. Le due sono cresciute in Irlanda, da genitori ciprioti che hanno lasciato l’isola all’inizio degli anni Settanta, all’epoca dell’invasione turca.

Nel romanzo il racconto del passato delle due donne, che hanno perso il fratello Mitros, paralizzato e incapace di esprimersi fin dalla tenera età, si confronta con la narrazione del loro presente, portato avanti tramite conversazioni via email. In tutto il romanzo passato e presente si confrontano, senza tralasciare l’influenza delle esperienze pregresse che hanno lasciato una traccia indelebile nella loro identità. Alexia, che un tempo era una ribelle e fin dall’adolescenza si è opposta alle regole rigide dei genitori, è diventata madre e si è trasferita a Cipro. Melina, invece, che da bambina era sempre attenta ad assecondare i desideri e le aspettative della madre, ora sembra aver profondamente ferito il padre, ormai anziano.

Una storia familiare, certo, ma Come cade la luce è anche un racconto che prende spunto dalla tradizione classica e mette a nudo pulsioni, desideri, ma anche difetti dell’animo umano. ilLibraio.it ha discusso del romanzo, della sua genesi e delle regole che definiscono il rapporto tra individui, con la sua autrice, Catherine Dunne.

Per questo romanzo ha raccontato di essersi ispirata al mito di Fedra: quanto è importante fare riferimento ai classici?
“Si tratta di una sfida che mi sono imposta qualche anno fa: da giovane ho letto molta mitologia, ma solo la sua rilettura da adulta mi ha svelato il vero valore della tradizione classica, come la profondità psicologica dei personaggi. Da quel momento non sono più riuscita a togliermeli dalla testa, così è arrivata l’ispirazione: dedicare una trilogia alla rilettura del mito. Prima quello di Clitennestra in Un terribile amore, poi Fedra in questo romanzo. Per quanto riguarda il terzo, sto ancora cercando il mito giusto”.

Nel romanzo riflette sulle relazioni familiari: ancora oggi quanto è importante l’approvazione dei genitori, in particolare per le donne?
“La relazione con la famiglia è un tema senza tempo e senza genere. Anche se per gli uomini spesso si rivela nella ricerca del successo professionale, mentre per le donne si riflette sulla vita personale e familiare. Nel romanzo, poiché Mitros non ha voce, vediamo i risultati delle aspettative dei genitori riflettersi sulle figlie. Secondo le mie ricerche, inoltre, negli anni Settanta, quando i genitori di Alexia e Melina lasciano Cipro, l’isola non ha sentito alcun influsso del femminismo, quindi per la loro madre non è comprensibile alcuna forma di ribellione femminile e la sua etica è spesso ‘sorpassata’ agli occhi delle figlie. Allo stesso tempo, però, anche Cormac, il personaggio maschile, ha un genitore ‘importante’, un medico di successo, che potrebbe aver influenzato la sua scelta di diventare a sua volta medico, precludendogli così la possibilità di vagliare altre opzioni”.



Come scrittrice, invece, le è mai capitato di riflettere sul riconoscimento del valore letterario delle sue opere, in quanto scritte da una donna, da parte di critica e pubblico?

“Recentemente stiamo parlando molto di questo tema anche in Irlanda: sono pochissime le opere scritte da donne recensite come quelle scritte da uomini. Talvolta mi è stato chiesto perché le mie protagoniste sono sempre così forti, una domanda che nessuno si sognerebbe di fare a uno scrittore. Si parla ancora di ‘libri per donne’, piuttosto che di romanzi. Inoltre si sta affermando un movimento promosso dalle poetesse irlandesi, nato dalla mancata rappresentazione delle loro opere nelle recensioni e nelle antologie. Bisogna fermare questa tendenza a sminuire il lavoro artistico delle donne: oltre ad avere un impatto negativo sulla generazione di oggi, influirà anche su quelle future. La mancanza di rappresentazione fa sentire le donne sempre meno autorizzate a fare arte”.

Nel romanzo c’è spazio anche per una relazione “manipolatoria”: il rapporto tra i sessi diventerà mai più paritario?
“La relazione tra Cormac e Melina è solo un altro aspetto dell’abuso di potere, tema che ho iniziato a trattare in Un terribile amore, dove si affronta anche la violenza domestica. Si tratta di un topos già presente nei miti greci, in cui gli uomini controllano le donne grazie al loro potere. Non è sempre così, ma gran parte della società va in questo modo: il potere è nelle mani degli uomini e il sesso diventa un’arma. Detto ciò, l’abuso di potere è sempre sbagliato, chiunque sia a esercitarlo e spero davvero che la situazione possa cambiare in futuro”.

Ha a lungo insegnato scrittura al Trinity College. Secondo la sua esperienza come si diventa scrittori? E quanto del nostro vissuto entra in ciò che scriviamo?
“Non si può insegnare come diventare uno scrittore, ma si può insegnare a essere uno scrittore migliore. Le storie nascono da scintille dell’immaginazione, questo è il mistero della scrittura, e di solito gli scrittori hanno una certa sensibilità. Ci sono persone che possono scrivere moltissimo, ma non essere capaci di produrre arte: spesso, infatti, si crede che basti raccontare le proprie esperienze per scrivere un romanzo, in realtà esiste un processo di trasformazione e, se questo non prende atto, l’opera è una biografia. L’esperienza, infatti, è solo un seme da cui può sbocciare un romanzo”.

In Italia i suoi libri sono molto amati, le piacerebbe un giorno ambientare qui un suo romanzo?
Se stasera siamo qui, un mio vecchio romanzo su quattro amiche, è in parte ambientato in Toscana, in un luogo che ho ricostruito tramite ricerche. Ma sarebbe divertente ambientare una storia in una zona d’Italia che conosco”.

Ha mai letto autori del nostro paese?
“Leggo il più possibile moltissime opere in traduzione ed è fantastico vedere che anche il mercato anglosassone si sta aprendo alla letteratura degli altri paesi. Gli ultimi due anni li ho trascorsi intervistando altri scrittori anglosassoni, quindi ho letto i loro libri per prepararmi. Ma ho trovato il tempo per la quadrilogia di Elena Ferrante, di cui ho molto apprezzato la traduzione di Ann Goldstein”.

Al momento sta lavorando a un nuovo romanzo?
“Sto facendo ricerche per il prossimo libro e cercando il mito greco da cui prendere spunto”.

Solitamente riesce a lavorare su più di un progetto?
“Posso scrivere altro: non fiction, articoli, aggiornamenti per il mio sito, ma non più di un romanzo”.

Quanto è impegnativo scrivere un romanzo?
“Una parte fondamentale del mio lavoro è la ricerca. Quando inizio a scrivere ho in mente una storia, ma spesso non appena la metto su carta prende una nuova strada. Le prime bozze sono fondamentali: spesso bisogna scrivere una storia per capire dove non funziona. Questa è la parte difficile!”.

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