“La classe è un problema reale, anche se non sappiamo come parlarne”, racconta, intervistata da ilLibraio.it, la scrittrice Celeste Ng, in libreria con “Tanti piccoli fuochi”, un romanzo in cui svela un’America divisa, dove classe e razza sono il discrimine. E dove la maternità, un tema che da sempre interessa l’autrice, diventa il campo di battaglia su cui si scontrano due realtà ben diverse: quella dei privilegiati e quella di chi, invece, non ha nulla a cui fare appiglio

Siamo nel 1998, in Ohio, a Shaker Heights, una comunità mossa da ideali quasi utopici. Ci sono regole che definiscono tutto, dall’urbanistica ai comportamenti di chi abita nella città, ma una mattina la casa dei Richardson, una famiglia apparentemente perfetta, prende fuoco. La colpevole è Izzy, la figlia minore, ora in fuga e impossibile da rintracciare. La notte precedente, però, se ne sono andate anche l’affittuaria dei Richardson, una fotografa misteriosa, e la figlia adolescente. Così inizia un viaggio a ritroso nei mesi che hanno preceduto l’incendio, alla scoperta di una comunità fin troppo controllata da regole non scritte, ma conosciute da tutti, in cui la diversità è vista con preoccupazione e diffidenza. Questo, e molto altro, è Tanti piccoli fuochi della scrittrice Celeste Ng (Bollati Boringhieri, traduzione di M. Faimali), già autrice dell’apprezzato esordio Quello che non ti ho mai detto.

Il nuovo romanzo di Ng, classe ’80, cresciuta in una famiglia di scienziati, non si ferma al racconto di una società borghese e ben pensante scossa dall’incendio della casa degli influenti Richardson. Alla storia di Elena Richardson, madre di quattro figli, legata da tre generazioni alla comunità Shaker e residente nella parte più ricca della città, si accosta quella di un’altra madre; la sua inquilina e domestica Mia, che nasconde una verità scomoda, almeno per la rigida morale di Shaker Heights.

L’altro scandalo che scuote la comunità è lo scontro tra una madre adottiva e quella biologica. E poi c’è un segreto che mette una giovane a confronto con un’altra. Tanti piccoli fuochi racconta un’America divisa, dove classe e razza sono il discrimine e dove non tutti hanno le stesse possibilità. E la maternità, attorno alla quale il romanzo è imperniato, diventa il campo di battaglia su cui si scontrano due realtà ben diverse: quella dei privilegiati e quella di chi, invece, non ha nulla a cui fare appiglio.

Celeste Ng, il suo nuovo romanzo è ambientato a Shaker Heights, una cittadina idealmente perfetta, in cui lei ha effettivamente vissuto…
“Ho lasciato Shaker Heights a 18 anni per andare all’università e dopo una decina di anni ho deciso di scrivere della sua comunità. Grazie alla distanza temporale ho potuto ripensare alla mia esperienza con maggiore chiarezza. Si tratta di un posto inusuale, quasi utopico, i cui gli ideali sono davvero radicati nella cittadina. Di sicuro mi ha resa l’idealista che sono; allo stesso tempo, Shaker Heights, come ogni comunità, ha anche le sue pecche. Mi interessava raccontare proprio queste contraddizione”.

Razza e privilegi sono un tema portante in Tanti piccoli fuochi. Il romanzo è stato influenzato dall’attuale situazione politica?
“Il romanzo riflette pienamente la situazione politica e sociale degli Usa di oggi, ma si tratta di temi su cui rifletto da anni. Ho completato il libro nell’estate 2016, quindi prima delle elezioni, e ho iniziato a fare ricerche nel 2009. Queste tematiche stanno ricevendo grande attenzione ora, ma la realtà è che sono presenti nella nostra società da molto tempo. Visto che non le abbiamo affrontate in passato, dobbiamo farlo ora”.

A Shaker Heights sembra che la questione razziale non sia poi così sentita. Eppure, nonostante le migliori intenzioni, i protagonisti bianchi non comprendono la delicatezza di tematiche come la rappresentazione. Si tratta di una realtà con cui anche lei si è scontrata?
“Certo, per tutta la vita mi sono scontrata con la rappresentazione, ma fino a poco tempo fa non avevo le conoscenze per discuterne. Credo si tratti di un problema noto anche a molte altre persone di colore e ad altri gruppi marginalizzati. Mia madre ne era cosciente prima di me e quando ero piccola cercava sempre di farmi leggere libri su asiatici americani, anche se non se ne trovavano molti allora. Abitavamo in un’area in cui vivevano pochi asiatici, quindi ho sempre avuto la sensazione di essere l’unica ‘così’”.

Ora, invece, come è cambiata la situazione?
“Ci stiamo tutti rendendo conto dell’importanza della rappresentazione. E da scrittrice cerco di fare del mio meglio per aiutare la causa, incoraggiando gruppi poco visibili a raccontare le loro storie”.

La maternità e le sue numerose declinazioni sono ampiamente raccontate nel romanzo: quali aspetti dell’essere madre le interessava sottolineare?
“La relazione tra madri e figli mi ha sempre interessata, ora ancora di più visto che sono sia madre sia figlia. Sono affascinata dalle aspettative che la società ripone sulla maternità – quando avere figli, quanti, come crescerli…- e da quello che le madri si aspettano da loro stesse. Aspetti che sono profondamente legati. Mi interessa anche il modo in cui le madri trasmettono saperi ai figli e come questi ultimi si modellano seguendo l’esempio dei genitori, oppure opponendosi a essi. Sono questioni su cui rifletto molto anche nella mia scrittura”.

Nel romanzo si occupa anche delle diverse classi sociali.
“La classe è un problema reale nella società americana, anche se non sappiamo come parlarne. Si discute spesso di ‘working class’, ma per molti si tratta ancora solo di bianchi. In realtà ne fanno parte anche moltissimi non bianchi, che sono spesso tagliati fuori, come se classe e razza fossero due realtà che non si compenetrano, anziché due questioni che si sovrappongono. In realtà è impossibile parlare di una questione senza tenere conto dell’altra. La classe ha a che fare con molte delle problematiche che la società americana sta affrontando”.

Quali sono gli autori che apprezza maggiormente e che hanno influenzato la sua scrittura?
“Sono troppi per citarli tutti, ma i più influenti sono sicuramente Toni Morrison, Arundhati Roy, Elizabeth Strout e Ann Patchett. Sono cresciuta leggendo i classici e li amo ancora molto: Shakespeare, Dickens, Dumas, Austen, le sorelle Brontë. E ci sono numerosi scrittori contemporanei che ammiro e da cui cerco di imparare: Meg Wolitzer, Jennifer Egan, Anthony Marra e George Saunders. Raccontano storie universali attraverso lo sguardo di singoli individui, una tecnica che ammiro e che cerco di mettere in pratica a mia volta”.

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