Torna in libreria “I cognomi degli italiani. Una storia lunga 1000 anni” di Roberto Bizzocchi, saggio in cui l’autore affronta il complesso percorso che ha condotto all’affermazione e alla normalizzazione del cognome in Italia: un percorso franto, instabile, vario, non lineare, con profonde differenze diatopiche e diastratiche, talora profondamente contraddittorio e con notevoli oscillazioni nel corso del tempo. Se l’approccio di Bizzocchi privilegia la prospettiva storica, non mancano però riferimenti alla storia della lingua e alla linguistica tout-court, con qualche prudente incursione nel mondo della letteratura e dell’arte… – L’approfondimento

Se oggigiorno ci chiedono le nostre generalità, partiamo in modo naturale dichiarando il nome e il cognome. Ma quando il cognome ha iniziato a rappresentare parte fondante della nostra identità? Alighieri, Petrarca, Boccaccio erano davvero dei cognomi? E perché allora un secolo dopo o poco più ricordiamo grandi artisti rinascimentali solo col loro nome di battesimo, come nel caso di Michelangelo e Raffaello?

Come venivano identificate le persone, prima che nel 1813 fosse un reato non avere un cognome e che la pratica del nome e cognome si stabilizzasse nel 1866 con lo stato civile? Nel suo studio I cognomi degli italiani. Una storia lunga 1000 anni, uscito una prima volta nel 2014 e da poco tornato in libreria nella collana Economica Laterza, Roberto Bizzocchi affronta il complesso percorso che ha condotto all’affermazione e alla normalizzazione del cognome. Se il suo approccio privilegia la prospettiva storica, non mancano però doverosi riferimenti alla storia della lingua e alla linguistica tout-court, con qualche prudente incursione nel mondo della letteratura e dell’arte.

I cognomi degli Italiani. Una storia lunga 1000 anni

Anche se pare ormai certo che non ci siano attestazioni di cognomi prima del Mille (i documenti che sembravano dimostrare il contrario si sono rivelati falsi), ci vogliono moltissime cautele per stabilire quando accanto al prenomen si è trovato almeno un altro nome, e sono moltissime le cause che hanno portato alla precoce o tarda affermazione del cognome. Infatti, a fronte dei tanti esempi (alcuni decisamente curiosi) offerti da Bizzocchi, possiamo definire così il processo di nascita e diffusione del cognome: un percorso franto, instabile, vario, non lineare, con profonde differenze diatopiche e diastratiche, talora profondamente contraddittorio e con notevoli oscillazioni nel corso del tempo. 

Ma andiamo con ordine: dai tanti esempi forniti, appare chiaro come l’affermazione del cognome precoce o tarda sia figlia del suo tempo e, spesso, della regione (l’influenza del cristianesimo, l’incontro con i barbari sono solo due delle tante influenze a favore dei cognomi). Alla base, vi è sempre il bisogno di distinguere una persona dall’altra, ossia di affermare l’identità del singolo, ora a scopo personale, ora per la gestione amministrativa del territorio da parte della macchina statale. 

Perlomeno tra l’inizio dell’XI e la fine del XII secolo in Italia le persone hanno cominciato a essere designate con almeno un nome dopo il prenomen. Tra le tipologie principali di proto-cognomi, troviamo quelli derivati dai patronimici o matronimici (ovvero formati da nomi di persona maschili o femminili, talvolta preceduti da preposizioni, talaltra in forma semplice); frequenti sono anche i cognomi toponimici (che designano la provenienza da un luogo), i cognomi provenienti da mestieri, cariche o funzioni sociali, nonché dai soprannomi, qualche volta spregiativi.

Per lungo tempo, tuttavia, questi proto-cognomi sono rimasti interscambiabili e instabili, quasi mai ereditari, e anche nei documenti non c’era alcuna regola su come denominare le persone: l’unico punto fisso restava chiamare il singolo con il nome di battesimo. Attenzione, però, l’assenza di un cognome in un documento non implica la sua assenza nella realtà; insomma, la storia dei cognomi è profondamente anarchica e purtroppo parziale, perché agli storici e ai linguisti sono offerte, ovviamente, solo fonti scritte: chissà cosa avveniva nella vita di tutti i giorni?

Probabilmente, l’instabilità nel registrare per iscritto i cognomi era semplice specchio della confusione onomastica nella quotidianità. In ogni caso, come ricorda Bizzocchi, “le stesse registrazioni risultavano molto spesso, rispetto ai nostri standard, rudimentali e incomplete” (p. 46), tanto negli atti ufficiali quanto in quelli privati, benché proprio a Bologna in ambito notarile già nel 1215 Rainerio da Perugia avesse affermato la necessità di designare in modo preciso le persone. Ma le rare intuizioni disseminate nel territorio italiano così tanto frammentato non potevano contribuire in modo massiccio alla stabilizzazione di criteri unitari per registrare le persone. Si pensi che per secoli gli stessi indici saranno registrati in l’ordine alfabetico ora secondo il nome di battesimo, ora in base al cognome, non di rado segnando il soprannome.

Al di là delle necessità burocratico-amministrative e delle falle nei tentativi di registrazione anagrafica, un ruolo decisivo per l’affermazione dei cognomi e la loro trasmissione è stato giocato dal potere: sono le famiglie nobiliari a desiderare in primis l’ereditarietà di un cognome o, già nel Rinascimento, a promuovere la spaccatura di questo in uno o più rami della stessa famiglia: “Accadde così che chi aveva ambizioni e mezzi ma soffriva sotto il peso di un cognome indicativo di un passato modesto cercasse di cambiarlo; chi ne vantava uno di buon prestigio brigasse per farlo risultare ancor più altisonante; e chi godeva per puro caso di una fortunata omonimia imbrogliasse le carte per rivendicare dei rapporti di parentela nobilitanti”.

Per il resto della popolazione, invece, tra Due e Quattrocento si affermano due modelli prevalenti di denominazione personale: in Toscana è dominante il patronimico; nell’Italia settentrionale (in gran parte sotto le signorie) e nel Mezzogiorno (compresa la Sicilia, probabilmente su influsso dei Normanni) si affiancano forme di cognomi. Non si creda però che, avviato il processo, non si registrino battute d’arresto o vere e proprie involuzioni; si pensi anche solo alla mortifera peste del Trecento: con la scomparsa di quasi un terzo della popolazione europea, tanti cognomi in formazione sono comprensibilmente andati perduti. O ancora, è facile capire che nelle città dove la mobilità delle persone è alta, i cognomi hanno faticato maggiormente a radicarsi e a trasmettersi da una generazione e l’altra. Al contrario, dove ci sono terre e beni da consegnare ai discendenti, lì l’appartenenza alla stessa famiglia viene collegata più facilmente al cognome comune. 

Ed ecco che tra strappi, potenti evoluzioni e successivi sviamenti, i cognomi diventano quasi irrinunciabili nel corso del Settecento e si normalizzano nel corso dell’Ottocento. Ma il percorso non si fa mai lineare o semplice, né rassicurante. Infatti, esaminiamo due casi ben rappresentativi di come due diversi provvedimenti in merito al cognome possano essere esempio di promozione sociale, o al contrario imposti. Primo caso: nel decreto promulgato il 3 giugno 1811 nel Regno di Napoli, Gioacchino Murat propone di eliminare i cognomi parlanti di tanti trovatelli e di promuovere la loro sostituzione con un cognome che non sia una “macchia” nelle loro vite, “considerando che non è consentaneo alla ragione che tali individui soffrano danno per motivi a loro non imputabili”. Sulla falsa riga di tale decreto, anche altri regni e stati esteri prenderanno le mosse per una riforma che assume i caratteri di una vera e propria rivoluzione sociale, che illumina e dà attenzione a uno spaccato di umanità solitamente in ombra. Se in questo caso i cognomi sono testimonianza di una nuova attenzione ai diritti del singolo nella società, che dire invece della decisione dall’alto di italianizzare i cognomi delle regioni annesse all’Italia nel periodo fascista, in quello che è stato definito da Ettore Tolomei il “lavacro dei cognomi“?

Non è difficile intravvedere come i cognomi siano stati loro malgrado coprotagonisti di due episodi di ben diversa attenzione sociale, un’inversione di rotta testimoniata da decine di altri episodi, grazie alla notevole quantità e qualità delle fonti citate da Bizzocchi. E ancora oggi questo cammino è in divenire e, ne siamo certi, ancora una volta la storia dei cognomi sarà specchio della contraddittorietà dell’animo umano, del suo tempo e della sua tradizione, del suo territorio e del contatto con altri popoli.  

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