“Nel più bel sogno” è il nuovo romanzo di Marco Vichi, in cui ritroviamo il commissario Bordelli alle prese con un omicidio che sembra celare un messaggio… – Su ilLibraio.it un capitolo

Nel 1968 Firenze, come il resto d’Italia, è scossa da manifestazioni studentesche. È fine aprile e le università sono occupate, le famiglie sono scisse tra padri conservatori e figli convinti di essere rivoluzionari, dove tutti hanno ragione e nessuno ha torto, e partono gli scontri tra destra e sinistra, tra civili e polizia. Una società che deve svegliarsi dal sogno di durare in eterno.

È questo lo scenario del nuovo romanzo di Marco Vichi, Nel più bel sogno (Guanda). E un ritorno del commissario Bordelli, che vive un momento della sua vita in estatica tranquillità e distacco dal passato che si attenua e dai tumulti del mondo fuori di sé. Ma la calma ha vita breve: una drammatica giornata di morte riporta il commissario al presente, e quando con le sue indagini è vicino a un’ipotetica soluzione, un paese accanto a Firenze si scopre teatro di un terribile omicidio. E sale la paura di non riuscire, stavolta, a scoprire l’assassino, che forse si cela dietro un macabro messaggio.

L’autore, classe ’57, ha pubblicato per Guanda i romanzi L’inquilino, Donne donne, Il brigante, Un tipo tranquillo, La vendetta, Il contratto, La sfida, Il console; le raccolte di racconti Perché dollari?, Buio d’amore, Racconti neri, e con la serie dedicata al commissario Bordelli (Il commissario Bordelli, Una brutta faccenda, Il nuovo venuto, Morte a Firenze – che gli è valso il Premio Giorgio Scerbanenco – La forza del destino, Fantasmi del passato) è rinomato nell’ambiente noir.

È anche autore del graphic novel Morto due volte, con Werther Dell’Edera, e della favola Il coraggio del cinghialino, editi Guanda. Ha curato le antologie Città in nero, Delitti in provincia, È tutta una follia, Un inverno color noir e Scritto nella memoria. Nel 2014 gli è stato attribuito il Premio delle Arti Fiorentini nel Mondo per le Arti Letterarie.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del libro

10

Imboccando l’Imprunetana di Pozzolatico accese la seconda sigaretta della giornata, e aprì il deflettore. Nel cielo nero affollato di puntini luminosi spiccava un quarto di luna, e gli tornarono in mente le nottate passate sul ponte della nave, nei primi anni di guerra, a seguire con lo sguardo le costellazioni nominando mentalmente i nomi delle stelle. Pensava ancora alla telefonata di Eleonora, cercando di non attaccarsi alla profezia di Amelia. Non voleva credere a quelle stregonerie, ma era anche vero che l’amica di Rosa nel ’66 gli aveva predetto avvenimenti che poi si erano avverati. Com’era possibile che il futuro fosse scritto nei tarocchi? Erano soltanto coincidenze, non poteva essere altrimenti. Era stanchissimo. Quella giornata lo aveva sfiancato, anche se continuava a sentirsi bene. Era curioso del futuro, e gli sembrava di essere pronto a tutto. Che senso aveva opporsi ai cambiamenti della vita? Nessuno poteva evitarli. Rosa si era innamorata? Si sarebbe fidanzata? Il suo appartamentino sui tetti non sarebbe più stato il porto sicuro per i marinai bisognosi di coccole? Bene, lo avrebbe accettato, anche se non sarebbe stato facile. Magari ogni tanto sarebbero andati a cena tutti e tre insieme… Rosa, il suo fidanzato, e il loro caro amico Franco. Niente più massaggi, niente grappe a tarda notte, niente Endrigo, niente raffiche di bacini dalla tromba delle scale. Non avrebbe nemmeno più visto la Briciola e Gedeone che si rincorrevano per la casa. Ma se così doveva essere, che fosse. Ogni cambiamento era una piccola morte, aveva detto qualcuno. Spense la sigaretta e chiuse il posacenere. Preso dai suoi pensieri era arrivato al bivio per San Gersolè. Di fronte a un morto nella bara nessuno poteva opporsi, allora che senso aveva opporsi ai cambiamenti? Ma poi perché si metteva a pensare a certe cose alle due di notte, dopo una giornata infernale?

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Arrivò a Mezzomonte, e all’altezza del cancello di Dante Pedretti Strassen staccò il piede dall’acceleratore, indeciso se fermarsi. Di sicuro Dante era ancora sveglio, e se ne stava nel suo immenso laboratorio a riflettere su qualunque cosa, o magari a progettare qualche marchingegno geniale che non sarebbe servito a nessuno, solo per il gusto di inventare. Ma alla fine decise di tirare dritto, si sentiva troppo stanco. Se si fosse fermato da Dante avrebbe rischiato di addormentarsi sdraiato in poltrona. Attraversò la piazza deserta di Impruneta, lanciando come sempre un’occhiata alla facciata della grande basilica e al campanile. Non vedeva l’ora di essere a letto, per leggere qualcosa prima di annullarsi nel sonno.
Dopo un paio di chilometri imboccò la stradina sterrata che scendeva fino a casa sua. Conosceva ogni pietra e ogni buca, e con piccole sterzate seguiva il percorso meno accidentato. A un tratto sul sedile accanto apparve il comandante Alderighi, morto ammazzato da un cecchino, di notte, mentre accendeva una sigaretta. Si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi il fantasma scomparve, lasciandosi dietro un odore marcio di passato. Parcheggiò nell’aia e scese dal Maggiolino, fermandosi a respirare l’aria buona della notte. Abitare in una casa isolata in mezzo alla campagna era un po’ come navigare in mare aperto, circondati di silenzio e di solitudine. Soffiava un vento leggero, carico di polline e di odori che arrivavano da lontano. Di fronte all’immensità di quel cielo si sentiva eroicamente solo, di una solitudine infinita… Non poté fare a meno di sussurrare due versi di sua mamma… Tanto tempo che non guardavo le stelle, mi ero scordata di essere niente… Gli capitava spesso di pensare all’inizio di quella poesia, e ogni volta gli faceva l’effetto di una formula matematica capace di dare il giusto senso alle cose. Entrò in casa. In un angolo della grande cucina c’era ancora la ciotola di Blisk, il grosso cane bianco che un giorno aveva deciso di fermarsi da lui, per poi andarsene via senza una spiegazione. Pensava anche a Claretta, e si ricordò della bottiglia di Osborne che lei gli aveva regalato. L’aveva messa nello sgabuzzino, immaginando di aprirla insieme a lei il giorno in cui sarebbe uscita dal carcere.
Lanciò un’occhiata d’intesa al teschio Geremia, e salì al primo piano. Mise un po’ di legna nella stufa di ghisa, si lavò i denti in fretta e se ne andò a letto. Inforcò gli occhiali, ma prima di crollare riuscì a leggere soltanto una bellissima pagina di Saroyan. Spense la luce e si raggomitolò sotto le coperte, cercando calore. Se ci fosse stata lei, Eleonora… A un tratto sentì nel silenzio il verso stridulo di un capriolo, vicinissimo, che continuò a ripetersi con un ritmo quasi regolare.
Era un grido drammatico, ma anche gioioso. Echeggiava con fierezza nel silenzio della campagna. Si alzò senza accendere la luce, e socchiuse la finestra attento a non fare rumore.
Rabbrividendo dal freddo si mise a scrutare con lo sguardo nel buio, e finalmente riuscì a scorgerlo. Il capriolo era in mezzo agli olivi, a una trentina di metri, e continuava e gridare nel vento senza accorgersi di essere spiato. Di lontano arrivava in risposta un verso quasi uguale, ancora più disperato e vitale. A ogni grido Bordelli sentiva un brivido nella pancia, come se quel grido fosse il suo, come se fosse lui a lanciare nella notte
quel messaggio d’amore, a rispondere al richiamo della foresta.

Rimase a guardare il capriolo dallo spiraglio della finestra socchiusa, affascinato dalla forza della natura. La povera bestia gridava con virilità la propria pena, soggiogata da un’urgenza che la dominava. In fondo era così che vivevano tutti gli esseri viventi. A un tratto il capriolo balzò in avanti, e dopo una corsa tra gli olivi scomparve nell’oscurità del bosco.
Bordelli chiuse la finestra e tornò a rintanarsi sotto le coperte, con il lenzuolo tirato sopra la testa come quando era bambino. Chiuse gli occhi, sperando di cadere presto nel sonno. Fingeva di non voler pensare a Eleonora, ma non era vero. In fondo quella leggera sofferenza gli piaceva, lo faceva sentire meno vecchio, e quasi dava un senso alla vita. Era così stanco che addirittura sorrise. Per adesso poteva solo aspettare che Eleonora lo invitasse a cena, per dirgli cosa aveva deciso… Be’ per male che andasse avrebbe cenato con lei. E dopo? La cena
sarebbe finita, e sul marciapiede davanti al ristorante si sarebbero scambiati un ultimo saluto, magari un bacio sulle guance. Immaginò il viaggio verso casa, con il deflettore aperto per mandare via il fumo, e poi la notte a rigirarsi nel letto, e i giorni successivi, le settimane, i mesi, e quella patina di rassegnazione che avrebbe spacciato per dimenticanza. Ma no, doveva stare tranquillo. La vita era piena di sorprese, e ovviamente non tutte piacevoli. La curiosità lo avrebbe salvato. Armato di curiosità poteva affrontare qualunque mostro. Si voltò dall’altra parte e abbracciò il cuscino. Poco a poco i suoi pensieri svanirono nel sonno, e cominciò a russare.

(Continua in libreria…)

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