La follia esasperata e latente è il tema dei racconti neri, crudi, surreali, eppure possibili scritti dal commissario Gigi Berté. In attesa del nuovo romanzo, arrivano i racconti in ebook

La rabbia. Quella quiescente e corrosiva, quella che le menti deviate non riescono a controllare. Cova come brace ardente in donne e uomini all’apparenza normali, e si riaccende improvvisa, liberando i loro istinti repressi e inconfessabili, trasformandoli da vittime in carnefici. La follia esasperata e latente è il tema dei racconti neri, crudi, surreali, eppure possibili scritti dal commissario Gigi Berté: sono il suo tentativo di esorcizzare il male e il suo sinistro fascino, trasformando il reale in creazione letteraria.

Dietro lo pseudonimo di Gigi Berté si nasconde un vicequestore aggiunto in carne e ossa, che opera in un commissariato italiano. Per ovvie ragioni di riservatezza, Gigi non ha potuto esporsi con il suo vero nome. Anche dietro il nome Emilio Martini si cela qualcuno in carne e… penna: due sorelle scrittrici, Elena e Michela Martignoni, che conoscono bene il commissario, sono milanesi e amano molto la Liguria. Autrici di quattro gialli con Gigi Berté – La regina del catrame, Farfalla nera, Chiodo fisso e Doppio delitto al Grand Hotel Miramare, stanno ultimando il quinto romanzo, Il mistero della gazza ladra in uscita ai primi di maggio.

I racconti neri del commissario Berté

Nel frattempo, arrivano in ebook i racconti, che le autrici presentano così:

Ordinaria follia.

Un aggettivo e un sostantivo accomunati per sempre dal celebre titolo di Bukowski. Per verificare la veridicità di questo binomio è sufficiente sfogliare la cronaca nera. Uomini che si spaccano la testa a colpi di crick per un posteggio conteso, mariti che danno fuoco alle mogli incinte, avvocati ricchi e belli che assoldano albanesi per sfregiare con l’acido i visi delle fidanzate… Fermiamoci qui. Lo splatter è troppo doloroso.

Non sono quindi fantasie malate d’autore noir: sono fatti reali.

Che il diavolo, inteso come il Male, esista, sembra assodato. Nessuno può trovare una spiegazione, se non soprannaturale, a certe atrocità che sono sempre esistite, ovunque, ma che oggi trovano terreno fertile soprattutto nelle metropoli, e che vengono sempre più amplificate dalla visibilità mediatica.

Qual è il compito dello scrittore di fronte a questo fenomeno? Ignorarlo? Minimizzarlo? Tenersene lontano? O metterlo crudamente nero su bianco?

Un tempo si diceva che ne uccide più la penna che la spada, sottolineando non solo il grande potere della scrittura, ma anche assegnando agli scrittori il compito, quasi il dovere, di denunciare i fatti.

I racconti di Berté – il commissario con la coda, confinato in Liguria per essere uno che si incazza troppo di fronte alle ingiustizie, e che scrive racconti sulla follia – denunciano perversioni, follie latenti, rabbie represse in modo crudo e solo all’apparenza surreale.

I folli mi appassionano, scriveva Dickens, e io e Berté condividiamo questa passione. Non con la pretesa di capirli, perché spesso vanno oltre il razionale, ma almeno con la convinzione che parlarne serva a esorcizzare il Male.

In questi racconti non si trovano soluzioni, ma solo l’invito a riflettere sulle reazioni imprevedibili di chi all’apparenza sembra debole e ingenuo, di chi fatica a gestire la rabbia, della mancanza di solidarietà e di comprensione presente in ogni ambito della nostra società. La cattiveria dei buoni è pericolosissima, diceva Giulio Andreotti. Leggendo questi racconti non si può che dargli ragione.

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