Al via una nuova rubrica che tenta di opporsi al dilagante malcostume delle frasi fatte. Si parte con la “rottamazione”

C’è la scena di un film che ha segnato la mia infanzia e il mio immaginario. Ci sono autori o registi che plasmano le coscienze involontariamente e che rimangono come voci silenziose, come il brusio di una zanzara, nella testa di chi legge, ascolta e guarda. Visto il titolo di questa rubrica avrete già capito che mi riferisco a Nanni Moretti. Con suo grande malcontento, credo, sento di poter esprimere questo concetto senza allontanarmi così tanto dal vero. Moretti è uno dei pochi registi che, pur rifuggendo dal senso della critica, delle considerazioni finali e delle discussioni in generale (No, il dibattito no!), alla fine dei conti ne ha generate più di tutti.

A me, con Palombella Rossa, ha lasciato qualcosa. L’affezione alle parole.

Forse la riflessione si è innestata su un terreno già fertile, ma è anche grazie a lui se nella vita ho scelto di dedicarmi alle parole.

Ricordate l’urlo di disperazione di Moretti, in accappatoio e cuffia a bordo piscina, quando schiaffeggia la reporter che gli snocciola parole senza capo né coda, ma veramente à la page? (Moretti, perdonami)

Ricordate che cosa Nanni Moretti urla alla reporter annichilita dal sonoro schiaffo in piena faccia?

Le parole sono importanti.

Ecco, proprio da qui vorrei partire per questa disamina di termini cacofonici e veramente fastidiosi, molto in voga nel campo della comunicazione contemporanea. Perché chi parla male pensa male.


ROTTAMAZIONE”

Per il significato di “Rottamazione” consulta il dizionario qui 

Negli ultimi anni il termine ha occupato le prime pagine dei giornali, la prima serata di molte trasmissioni di approfondimento politico, interviste, speciali, rubriche e telegiornali, grazie all’uso metaforico che ne ha fatto l’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Vorrei che riflettessimo velocemente su questa parola, che è senza possibilità di appello una brutta parola.

Rottamazione significa ridurre a rottame qualcosa che non serve più. Disintegrarlo. Se preferite mandarlo al macero. Disfarsi in via definitiva di ciò che ha fatto il proprio corso e non è più utile.

Quello che voglio osservare è che, sia per questioni di eleganza che di umanità, non penso sia una parola che si possa applicare in riferimento ad altri esseri umani.

Eppure è proprio questo il significato con cui è stata utilizzata. Partendo dai “compagni di partito” che costituivano “la vecchia classe dirigente”, paludata e arroccata sui propri privilegi.

Ora, passatemi la licenza poetica purtroppo abbastanza triviale, vi risparmio il pippone sull’illegittimità dell’ archiviazione di esperienze di chi ci ha preceduti, perché questo naturale e istintivo comportamento è quasi un a priori e rientra nel bagaglio esperienziale sulla base del quale ciascuno di noi costruisce non solo la propria identità, ma anche la propria possibilità di sopravvivenza nel mondo.

Ma cosa ancora più preoccupante è che questa riflessione, partita da una sola parola pronunciata al momento giusto, si è allargata fino a comprendere più categorie sociali, come sindacati e lavoratori, rei, questi ultimi, di aver avuto più diritti della generazione successiva.

Che sarebbe un po’ come a dire che il CLN e coloro che scelsero la lotta di liberazione in Italia avrebbero dovuto imbracciare i fucili contro la generazione dei propri padri, rei di non aver visto l’orrore dei campi di concentramento, ma solo quello delle trincee.

 

Libri per approfondire l’argomento:
Matteo Renzi, Oltre la rottamazione, Mondadori, collana Strade blu
Davide Vecchi, L’intoccabile. Matteo Renzi, la vera storia, Chiarelettere, collana Principio attivo

 

Alla prossima puntata con le mitiche “quote rosa”.

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