In occasione dell’uscita de “L’impostore”, il nuovo libro di Javier Cercas, uno dei più importanti autori spagnoli contemporanei, ilLibraio.it ospita una conversazione tra l’editore Luigi Brioschi e lo scrittore e traduttore Bruno Arpaia. Un viaggio in profondità nell’opera dell’autore di “Soldati di Salamina” e “Anatomia di un istante”…

Javier Cercas, scrittore e saggista spagnolo classe ’62, docente di letteratura spagnola all’Università di Girona e autore di libri come Soldati di Salamina, La velocità della luce, Il moventeLa verità di Agamennone, La donna del ritratto, e Anatomia di un istante, solo per citarne alcuni, torna nelle librerie italiane, sempre per Guanda, con L’impostore.


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Per l’occasione, ilLibraio.it ospita una conversazione tutta dedicata a uno dei nomi più importanti della letteratura spagnola contemporanea, tra il presidente di Guanda Luigi Brioschi e lo scrittore e traduttore Bruno Arpaia, che nel 2013 ha dialogato con l’amico Cercas nel volume L’avventura di scrivere romanzi e che ha tradotto L’impostore.

Arpaia: Javier Cercas è certamente uno dei più interessanti e più originali scrittori spagnoli d’oggi. E la sua scoperta, almeno per quanto riguarda i lettori italiani, è avvenuta con Soldati di Salamina, che voi avete pubblicato come suo primo libro. Come fu l’incontro?

Brioschi: Ricordo bene come andò. Il testo ce lo fece avere in bozze Beatriz de Moura, l’editore di Tusquets: il libro sarebbe uscito qualche tempo dopo, nella primavera 2001, in Spagna. E ricordo l’emozione provata alla lettura di quel romanzo così sorprendente, così originale. A quel libro seguì qualche anno dopo La velocità della luce. Poi c’è stato Anatomia di un istante, una novela sin ficción sul tentato colpo di stato del 1981, e ora L’impostore, diventato a sua volta un caso letterario, che riprende e rilancia il romanzo senza finzione. Uno degli aspetti singolari di Soldati di Salamina (un romanzo di invenzione che, come osserva l’autore, sconfina nel saggio, nella storia, nella biografia: il romanzo come mescolanza di generi) è che vi è una figura con un ruolo centrale, anche se appare in scena brevemente, e questa figura centrale rappresenta in certo senso i tanti eroi sconosciuti che tra gli anni trenta e gli anni quaranta, tra la guerra civile spagnola e la guerra contro il nazismo, si battono per la democrazia, o semplicemente per un mondo civile. Non ti sembra che il nuovo romanzo di Cercas, L’impostore, abbia in questo qualcosa di speculare e insieme di opposto rispetto al romanzo precedente? Di nuovo lo sfondo è costituito dai conflitti e dalle tragedie del secolo, ma la prospettiva viene rovesciata. Il personaggio centrale (e reale) di Enric Marco qui è presente in modo vistoso, ingombrante; e per anni ha raccontato, con molta abilità, una storia che falsifica la sua, ha raccontato una edificante menzogna, diventando immeritatamente una figura simbolo di quella lotta e delle vittime dei lager. E ancora adesso, dopo esser stato smascherato, difende o giustifica in qualche misura quelle imperdonabili invenzioni. Perché è stato, appunto, smascherato. Nel 2005, poco prima delle manifestazioni per il 60° anniversario della liberazione dei campi di sterminio nazisti, che dovrebbero vederlo protagonista, Enric Marco, presidente dell’Associazione dei sopravvissuti dei campi, è messo sotto accusa da uno storico spagnolo: in realtà, a differenza di quanto sostiene, non è mai stato in un lager…

Arpaia: Come ha detto lo stesso Cercas, «con il tempo ho capito che tutti i miei romanzi sono allo stesso tempo continuazioni e confutazioni dei romanzi precedenti». Qui, ne L’impostore, assistiamo a un’ennesima variazione sui suoi temi, soprattutto sulla dicotomia tra eroismo e vigliaccheria o acquiescenza. Che, come dici tu, viene affrontata dal punto di vista di un ingombrante truffatore che si è spacciato per eroe. Enric Marco, però, non è una persona comune: se ciò che ha fatto è condannabile, nondimeno il personaggio possiede una sua grandezza. E Cercas, naturalmente, non riesce a restarne immune. Il che acuisce i suoi dubbi, lo riporta a riconsiderarli ancora da infiniti punti di vista, a scendere fino in fondo a quell’oscura paura che lo accompagna nel lungo processo creativo e di documentazione. Paura di che? Di molte cose. Prima fra tutte, la paura di essere uguale a Marco, di essere anche lui un impostore, come, sia pure per scherzo, gli rimprovera Ignacio Martínez de Pisón durante una cena a casa di Vargas Llosa. In fondo, la letteratura non è una menzogna che si spaccia per verità? E Cercas medesimo non è in fondo un uomo assolutamente comune che «s’inventa» l’essere scrittore per nascondere ciò che è davvero? E poi: paura del fatto che, come diceva Primo Levi a proposito dell’Olocausto, «capire» Enric Marco significherebbe anche un po’ giustificarlo; paura che la letteratura, anche se questa è una novela sin ficción o un relato real, sia l’ideale per raccontare un tale ammasso di menzogne, oppure che serva a coprirle e non a svelarle, a fare di Marco una specie di «eroe» invece di «salvarlo» facendogli accettare la verità su sé stesso. Eccetera eccetera. Insomma, Javier Cercas vuole forse salvare Marco così come Cervantes alla fine del Chisciotte salva Alonso Quijano facendo sì che riconosca chi è davvero? E la letteratura può farlo? O forse è lo stesso Marco che guida i suoi passi e lo sta usando: non per «riabilitarsi» ma per liberarsi di sé stesso? E davvero, alla fine delle lunghe interviste registrate con Cercas, Marco ha abbassato la sua eterna maschera e il loro rapporto è diventato più «vero»? Infine: Enric Marco ha sempre detto Sì, è sempre comodamente stato dalla parte della maggioranza, oppure in fondo è davvero un eroe, uno che, a suo modo, ha avuto il coraggio di dire di No, secondo la definizione di Camus? Alla fine del libro, al lettore non restano molti dubbi, ma intanto Cercas ne ha disseminati moltissimi altri su menzogna e verità, realtà e apparenza, scopo e utilità della letteratura, storia e memoria.

Brioschi: Già, menzogna e verità. L’impostore è un romanzo in cui l’autore racconta il vero, mentre la finzione, l’invenzione narrativa è opera di un personaggio, anzi del protagonista. (Vargas Llosa, in un articolo sul País riportato da Cercas, saluta con ironia il talento di Marco e gli dà il benvenuto nella cerchia degli affabulatori.) Marco è un formidabile mentitore che al crepuscolo del franchismo ha cominciato a costruirsi un fittizio passato eroico e una futura immagine pubblica, a fronte di tanti che hanno realmente sofferto, che hanno davvero resistito. Anche se, come ogni buon simulatore, ha avuto cura di inserire in quella montagna di bugie qualche elemento di verità, come avviene per esempio riguardo alla sua partecipazione, giovanissimo, alla guerra civile. Di qui l’ambiguità che segna il romanzo, e che rischia di contaminare il rapporto stesso con l’interlocutore. Un’ambiguità che del resto si affaccia in altre opere, come il recente Le leggi della frontiera, e che appartiene in qualche modo anche ad Anatomia di un istante, dove tra l’altro si legge che ognuno dei protagonisti del colpo di stato perseguiva un golpe diverso…

Arpaia: In Cercas l’ambiguità è costitutiva, è, anzi, ciò che rende tale ogni romanzo degno di questo nome. Secondo l’autore di Ibahernando, infatti, la verità è sempre ambigua, sfuggente, elusiva; si tratti di «romanzi di finzione» o di «racconti reali», quella verità si trova in un «punto cieco» del testo, «un luogo in cui confluiscono tutti i significati, un’oscurità che tutto illumina, un gran silenzio eloquente, un vetro che riflette l’universo, un vuoto che possiede la nostra forma, un enigma la cui soluzione ultima è che non ha soluzione, un mistero trasparente che tuttavia è impossibile decifrare, e che forse è meglio non decifrare». Insomma, un alone di indeterminazione quasi heisenberghiana si sparge su tutte le storie di Cercas, confondendone i contorni, mettendoci sull’avviso rispetto a qualunque interpretazione forte della Verità e all’inafferra­bilità della cosiddetta realtà.  Naturalmente, questo non significa che l’autore sia esentato da qualunque responsabilità etica. Anzi. E infatti, per molti versi, L’impostore è anche un libro sulla responsabilità di chi scrive, un libro che non esita a mostrare i numerosi dubbi dell’autore, i quali lo portano a volte a desiderare di scrivere il libro e altre a decidere di non farlo, finché, una volta presa la decisione finale, quei dubbi iniziali vengono via via riproposti in modi sempre più profondi e avvolgenti, mettendo in campo Truman Capote o Emmanuel Carrère, Gorgia o Dickens, Montaigne, il mito di Narciso o Nietzsche, in un serrato corpo a corpo con sé stesso che rare volte è dato trovare in uno scrittore.

Brioschi: A proposito della responsabilità di chi scrive… «La letteratura non è un passatempo innocuo», scrive Cercas in un articolo sul País ripreso da Repubblica. «Così come la intendo, la letteratura è un pericolo pubblico, per chi scrive ma anche per chi legge; non serve per tranquillizzare ma per inquietare, non per stabilizzarci ma per rivoluzionarci». E L’impostore sembra in effetti un libro che si prefigge di instillare inquietudine e dubbi, non certo di trasmettere tranquillizzanti certezze. D’altronde, qualcosa di simile si può leggere in La verità di Agamennone, il libro di saggi e racconti di Cercas, laddove parla di letteratura come insubordinazione…

Arpaia: A conferma di quanto hai appena detto, voglio citare alcune righe da una conferenza che Cercas ha recentemente tenuto a Oxford. In quel testo, modificando e precisando ciò che pensava da giovane della cosiddetta letteratura «impegnata», l’autore spagnolo sostiene che «ogni autentica letteratura è letteratura impegnata, almeno nella misura in cui ogni autentica letteratura aspira a cambiare il mondo cambiando la percezione del mondo del lettore, che è l’unico modo in cui la letteratura può cambiare il mondo; ogni autentica letteratura è letteratura impegnata, almeno nella misura in cui ogni autentica letteratura esige un impegno, un coinvolgimento assoluto, prima dell’autore e poi del lettore, l’altro suo autore; ogni autentica letteratura è letteratura impegnata, almeno nella misura in cui ogni autentica letteratura è di una serietà assoluta, non perché non utilizzi l’ironia e lo humor – che sono due delle cose più serie che esistano – ma perché è rivelazione e smascheramento e pertanto impugnazione della realtà, fuoco, dinamite, sovversione morale e politica, tutto tranne che puro passatempo privo di conseguenze».

Brioschi: Tu sei il traduttore italiano di L’impostore: uno scrittore fattosi traduttore di un altro scrittore, che peraltro gli è congeniale. Come è stata questa esperienza per te? Come è stato inseguire uno stile così definito e inconfondibile come quello di Cercas, quella scrittura così magnetica?

Arpaia: Per un autore, la traduzione è un sano esercizio di umiltà, nel senso che aiuta a ridurre il proprio Io ai minimi termini. Questa «compressione» dell’Io è assolutamente necessaria sia quando si scrive un romanzo (perché ti permette di essere davvero tutti i tuoi personaggi e di farli agire con ampia autonomia), sia quando si traduce, perché ti fa ascoltare soltanto la voce dell’autore che stai traducendo, consentendoti di restituirla in una maniera quanto più possibile vicina all’originale. Nel caso di Cercas, mi ha aiutato enormemente il fatto che siamo amici e ci stimiamo da molti anni, e che spesso, come romanzieri, battiamo, ciascuno a suo modo, strade abbastanza simili. Nel caso de L’impostore sono stato affascinato (e qualche volta messo in difficoltà) dalla costruzione avvolgente dei suoi periodi, che girano e rigirano caparbiamente attorno a un’idea fino ad affrontarla e sviscerarla da tutti i lati possibili, ricorrendo a molte iterazioni: immagino che queste iterazioni siano state la dannazione dei redattori del libro, ma secondo me si rivelano estremamente efficaci e caratterizzano ormai il limpidissimo stile di Javier Cercas.

L’AUTORE IN ITALIA – Cercas sarà, tra l’altro, ospite del Festivaletteratura di Mantova sabato 12 settembre, alle 18.30 (Tatro ariston, € 5,00), con “La storia come ispirazione” (con lo scrittore spagnolo interverrà Marco Belpoliti); e, sempre a Mantova, domenica 13 settembre, 15.00 (Tenda Sordello, ingresso libero), con “Il punto cieco”; Javier Cercas sarà inoltre protagonista a Milano nell’ambito del festival Officina Expo il 14 Settembre alle 18.30 in un incontro dedicato al “futuro degli intellettuali” (“Pietà Rondanini” di Michelangelo, Castello Sforzesco).

 

 

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