Ma si nasce “empatici”, oppure lo si può diventare? Su ilLibraio.it i consigli della scrittrice e insegnante Simonetta Tassinari

Il filosofo scozzese David Hume, nel Settecento, chiamava “simpatia” la naturale tendenza a entrare in relazione con gli altri e a ravvisare in loro qualcosa di noi, insomma la capacità umana di avvertire i sentimenti, gli umori e le inclinazioni delle persone con cui veniamo in contatto, al di là e ancor prima del linguaggio.

Il termine poi si è andato diffondendo nel linguaggio comune,  ha assunto quasi sempre le vesti dell’aggettivo “simpatico” (o il suo contrario) ed è stato inteso come la caratteristica particolare di un soggetto, che piace, o non piace, non tanto per motivi razionali, piuttosto per una serie di motivi difficilmente catalogabili (si può risultare “simpatici” a pelle, o dopo alcuni incontri ed esperienze positive, ma si può continuare a risultare “antipatici” malgrado le ottime prove fornite).

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Da tempo, invece, quando ci si riferisce alla capacità di umana di entrare psichicamente in contatto con gli altri e di con- sentirli, attivando qualcosa dentro di noi, si parla più che altro di “empatia”. Il  termine si è diffuso nell’Ottocento, si è andato man mano separando dalla “vecchia” simpatia e ha acquistato un significato specifico: la partecipazione emotiva e l’ immedesimazione negli stati affettivi altrui.

Del resto la scoperta della tipologia dei neuroni-specchio, che ci permettono, ad esempio, di anticipare un’azione altrui perché sono “attrezzati” a captarla, come se la stessimo compiendo noi, conferma l’esistenza di una condivisione mentale “automatica” tra gli uomini che non rientra soltanto nella sfera del razionale e del ragionamento discorsivo. Perché gli uomini provano, innanzitutto, emozioni; le emozioni agiscono sul nostro organismo, scatenano risposte verbali e non verbali, coinvolgono e possono perfino ridurre il nostro autocontrollo spingendoci verso reazioni “irrazionali”.

Dunque l’empatia può essere anche definita come la capacità di sentire in modo immediato e spontaneo le emozioni altrui e, di conseguenza, gli stati d’animo, le intenzioni e perfino il vissuto di chi abbiamo di fronte, ingigantendo la possibilità di uno scambio profondo.

Ma si nasce “empatici”, oppure lo si può diventare?

Indubbiamente una qualche forma di innatismo esiste, così come esistono le naturali predisposizioni verso l’arte, le tecniche, le abilità matematiche, la scrittura; sennonché nessuno si stupisce se si discute di insegnare concetti, nozioni, la matematica, l’inglese, una tecnica chirurgica, anzi, appare del tutto lecito e finanche doveroso, mentre, nel caso dell’empatia, il  problema è indubbiamente più complesso. Eppure, benché si sia appena affermato che si può risultare “antipatici” senza nessun buon motivo, dobbiamo anche ricordare che, se ci si accorge che alcuni nostri atteggiamenti favoriscono una tale immagine di noi, li si può moderare, stemperare e correggere (per esempio una certa arroganza, o la fama di essere invidioso, o pettegolo, e perfino una certa espressione del viso..), ottenendo di sicuro dei confortanti risultati. Allo stesso modo, se siamo consapevoli di non possedere un trascinante carisma naturale, difficilmente con l’applicazione giungeremo a smuovere le folle, ma una via di mezzo c’è. E se vi sembra di passare inosservati, che nessuno vi dia retta, che la vostra personalità rimanga inespressa o non valorizzata perché non sapete comunicarla agli altri, diventare più comunicativi, più empatici, più estroversi, più espansivi, più ricchi affettivamente, è senza dubbio possibile.

-All’origine c’è la disposizione d’animo più corretta: voi date retta agli altri? Li prendete in considerazione come persone, vi interessate sinceramente delle loro esperienze, partecipate ai loro racconti, vi congratulate, li comprendete, cogliete le sfumature? Cominciate da qui; da questo tipo di studio, in coda o al bar, sul posto di lavoro o in ascensore con degli sconosciuti; e cominciate dal saluto, con lo sguardo negli occhi dell’altro;

Agite sulla vostra mimica facciale (magari perfezionandola allo specchio; tutti i grandi politici e i comunicatori lo fanno, perché voi no?); l’espressione del viso che muta a seconda gli stati d’animo, e li manifesta, è una caratteristica del tutto umana, perfezionata, dicono gli antropologici, in millenni di evoluzione per permetterci una migliore comunicazione tra noi;

-Il miglior saluto è sempre il sorriso;

-Curate il tono della voce;

-Trasmettete positività; il muso lo si tiene lungo a casa propria;

-A seconda del livello di confidenza, ponete una domanda pertinente, ma anche un “lei che cosa ne pensa?” durante una coda, può andar bene;

-Fate in modo che chiunque altro che conversi con voi parli sempre più di voi.

L’AUTRICE * – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967.
È da poco tornata in libreria, sempre per Corbaccio, con La sorella di Schopenhauer era una escort, un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana. Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita.
L’autrice è nata a Cattolica ed è cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino. Vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico- filosofica e romanzi storici.

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