Su ilLibraio.it un capitolo da “L’imperfetta meraviglia”, il nuovo romanzo di Andrea De Carlo. In cui una rockstar inglese e una ragazza italiana incrociano i loro destini

Succede in Provenza, d’autunno. I borghi e le ville si stanno vuotando di abitanti e turisti. Ancora un grande evento però si prepara. Quasi a sorpresa, sul locale campo di aviazione, si terrà il concerto di una celebre band inglese, i Bebonkers, un po’ per fini umanitari, un po’ per celebrare il terzo matrimonio di Nick Cruickshank, vocalist del gruppo e carismatico leader. I preparativi fervono, tutti organizzati con piglio fermo da Aileen, futura moglie di Nick.

In paese c’è una gelateria gestita da Milena Migliari, una giovane donna italiana che i gelati li crea, li pensa, li esperimenta con tensione d’artista. Un rovello continuo che ruota attorno all’equilibrio instabile del gelato, alla sua imperfetta meraviglia perché concepita per essere consumata o per liquefarsi, per non durare. Milena ha detto addio agli uomini e convive da qualche anno con Viviane. Un rapporto solido, quasi a compensare l’evanescenza dei gelati, l’appoggio di una donna stabile e forte, al punto che, tra qualche giorno, Milena si sottoporrà alla fecondazione assistita. Eppure, in fondo, Milena non ha voglia di farlo davvero questo passo che forse non ha proprio deciso.

Incerta senza confessarselo, Milena. Come Nick, che si domanda da quando il suo rapporto con Aileen ha perso l’incanto dei primi tempi. Così, una rockstar inglese e una ragazza italiana incrociano i loro destini e nel giro di tre giorni, dal mercoledì al venerdì, tutto accelera e precipita in un vortice inevitabile ed esilarante.

È la trama de L’imperfetta meraviglia, il nuovo romanzo di Andrea De Carlo, che ha lasciato Bompiani per Giunti.

de carlo imperfetta meraviglia

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, il secondo capitolo del libro:

Nick Cruickshank guida il suo Ape Piaggio modello Capri, bianco con il tendalino e i sedili di stoffa bianchi, lungo il vialetto asfaltato color terra di Siena che passa tra i filari di olivi. Il cielo è azzurro pallido e non sarebbe un brutto mattino data la stagione, ma lui ha mal di testa e una traccia di nausea per via del whisky bevuto ieri sera con quello scemo di Wally, malgrado il Bloody Mary che appena alzato si è fatto preparare dalla signora Jeanne come antidoto. Questo triciclo a motore ha un aspetto ridicolo, però è abbastanza divertente; gliel’hanno mandato in regalo dall’Italia, probabilmente sperando che prima o poi compaia in qualche servizio fotografico o video musicale girato qui. A pensarci bene: da un sacco di tempo le cose che lui sarebbe ben contento di comprarsi da solo gliele regalano, mentre quelle di cui farebbe volentieri a meno le deve continuare a pagare. Per esempio, sono decenni che non riesce più a spendere un centesimo per una chitarra o un amplificatore, o una giaccadi pelle (quando gli era ancora permesso indossarne), o perfino una sciarpa di seta, e intanto deve continuare a tirare fuori soldi per le sue due ex mogli e i suoi cinque tra figli e figlie, con tutte le loro inarrestabili richieste. Paradossale, sì, ma la sua vita è fatta di paradossi; davvero. Come l’idea di bere un Bloody Mary per rimediare alle conseguenze di una bevuta. Però il suo medico personale James Knowles gli ha confermato anni fa che una qualche base c’è, le proprietà del pomodoro combinate all’etanolo del nuovo drink che sloggiano il metanolo tossico rimasto nel sangue, o qualcosa del genere. In ogni caso il problema non gli si presenta spesso, ormai: è dal 2006 che fa una vita fin troppo sana, con qualche rara eccezione quando c’è qualcuno a traviarlo, come ieri sera.

provenza

Il suo comunque è un malessere generalizzato, a cui si aggiunge questa storia del blackout che gli dà una sensazione di catastrofe imminente, forse già in atto. Aldino ha scoperto che l’elettricità è saltata in tutta la circoscrizione: come fai a non pensare nemmeno di sfuggita che qualcuno sia andato a far saltare le centraline per poi dedicarsi a una strage ben pianificata? Non è questione di essere paranoici; è che il mondo sta diventando un ambientino abbastanza teso, dove è meglio tenersi all’erta se si vogliono aumentare un pochino le possibilità di non finire male. Vedi le precauzioni che ormai devono prendere ai concerti dei Bebonkers: i controlli con i metal detector agli ingressi, gli uomini della sicurezza fuori dai camerini, le guardie armate sotto il palco, i veicoli blindati. E lo stesso sai che potrebbe non servire a niente, che due o tre imbecilli con il cervello lavato a una madrasa finanziata dai bastardi sauditi potrebbero sempre passare tra le maglie senza che nessuno se ne accorga in tempo. Sono riflessioni che gli fanno venire voglia di accelerare, anche se questo trabiccolo al massimo arriva a una cinquantina di chilometri all’ora. Nick Cruickshank gira la manopola a fine corsa, cerca di spremere dal motore di 200 cc tutta la velocità di cui è capace. Come risultato l’Ape segu una traiettoria incerta, ondeggia di brutto a ogni minima ondulazione del vialetto.

provenza

Ogni tanto una delle ruote di dietro va a raspare sulle zolle dell’oliveto, manda schizzi di terra rossastra per aria; lui deve strappare il manubrio con forza per correggere la rotta. Più in là tra gli olivi ci sono tre lavoranti intenti a tirare le reti arancioni e gialle e verdi scompigliate dagli alpaca che per qualche ragione vengono a inseguirsi proprio qui, con tutto lo spazio libero che avrebbero nei prati e nei boschi. Nick Cruickshank solleva una mano dal manubrio per fare un cenno di saluto, benché i lavoranti siano lontani e le loro espressioni sembrino più diffidenti che cordiali: ma si sente in dovere di mostrare un po’ di grazia da proprietario straniero diventato ricco con un lavoro che a loro magari non sembra neanche un lavoro, con questa gran villa e decine di ettari di terreno dalle loro parti. Ammesso poi che siano davvero le loro parti, perché a guardarli meglio anche così in movimento traballante le facce sembrano più mediorientali che francesi. A pensarci bene, potrebbero benissimo essere dei terroristi islamici che nascondono i loro AK 47 tra le reti da olive e aspettano il momento giusto per riempire di proiettili un simbolo dell’Occidente pagano e corruttore. Aldino gli ha detto di aver verificato con la polizia locale l’identità di tutti quelli che lavorano nella tenuta, però questi potrebbero benissimo essersi procurati documenti falsi, o avere ammazzato tre veri lavoranti per prendere il loro posto.
Nick Cruickshank sente una tensione da pre-concerto salirgli dentro, abbastanza da scacciargli via il metanolo dal sangue più di come ci sia riuscito il Bloody Mary della signora Jeanne. Gli viene in mente che il suo pick-me-up del mattino potrebbe diventare uno di quei dettagli tragici e ridicoli che i media tirano fuori quando vanno a rovistare nella vita, o ancor meglio nella morte, di gente come lui. Può già vedere i titoli sul Sun, o sul Mirror: L’ ULTIMO BLOODY MARY DI NICK CRUICKSHANK. Più ci pensa, più i muscoli dello stomaco e delle braccia gli si contraggono, meno riesce a distogliere lo sguardo dai lavoranti-terroristi tra le reti arancioni e gialle e verdi. Poi la ruota posteriore destra raspa di nuovo sulle zolle, e la singola ruota anteriore perde direzione; l’Ape curva in modo irresistibile verso l’oliveto.
Lui cerca di dare uno strappo al manubrio per riprendere il controllo, ma non ci riesce: il triciclo a motore tira dove vuole, attraversa a sobbalzi un tratto di zolle, trascina con le ruote le reti per le olive, sbatacchia, evita miracolosamente albero dopo albero ma è chiaro che prima o poi da qualche parte andrà a sbattere. Infatti ecco che va dritto incontro a un tronco rugoso e grinzoso, grosso come una zampa d’elefante: sbatte con la ruota davanti, tutta la ridicola struttura di metallo risuona. L’ impatto è molto meno violento di come lui si era aspettato,
probabilmente per via delle reti impigliate nelle ruote, e perché il triciclo non andava certo a una gran velocità. Ma è pur sempre un episodio di stupida violenza meccanica: lo fa sbattere contro il manubrio anche se cerca di ammortizzare con le braccia, gli fa uscire l’aria dai polmoni. È peggio quando scende, mezzo piegato e senza fiato, e vede i tre tipi mediorientali più in là abbandonare istantaneamente l’atteggiamento da lavoranti e assumerne uno da terroristi. Vengono di corsa verso di lui, con una luce feroce negli sguardi, una smania brutale di missione da compiere.

due di due

Di sicuro non si aspettavano di vedersi facilitato il compito in questo modo, trovarsi il bersaglio fermo e rintronato a portata di mano, invece di doverlo centrare a distanza e in movimento. La vedranno come una conferma che la loro missione è santa e giusta, guidata direttamente dalla mano di Allah.
Nick Cruickshank pensa per un attimo che potrebbe provare a scappare; malgrado lo shock dell’impatto e i postumi della bevuta è decisamente più in forma di parecchi suoi colleghi scoppiati a furia di indulgenze. Lui le indulgenze se le è lasciate alle spalle da una buona decina d’anni; fa almeno un’ora di ginnastica al giorno, corre per una decina di chilometri, nuota, va a cavallo, mangia solo roba sana, ha abolito totalmente la carne. In più i tre terroristi sono ancora a una quarantina di metri, intralciati dalle reti che stavano facendo finta di sistemare; se si mettesse subito a correre a zigzag tra gli olivi forse qualche chance ce l’avrebbe. Ma il fatto è che l’idea di venire falciato mentre scappa come un coniglio dopo essere sceso da un Ape modello Capri gli sembra così poco dignitosa, così poco cool. Non si tratta di voler sostenere una parte fino all’ultimo momento, però non si può neanche negare che ci sia un’immagine da difendere, e che la faccenda non riguardi solo lui, ma tutti i fan,
e perfino i non fan, che lo considerano un punto di riferimento comportamentale. A ripercorrere all’indietro tutta la sua vita da quando i Bebonkers sono diventati famosi, è escluso che si possa trovare un solo episodio in cui si sia messo a correre per raggiungere qualcosa, o per sottrarsi a qualcosa. Una volta ha mandato all’aria un concerto (e fatto inferocire gli altri della band) a Birmingham solo per non affrettarsi a prendere un treno, anche se il treno non si era ancora mosso dalla banchina e lui era a poche decine di metri, con uno scatto deciso sarebbe riuscito a salirci di sicuro. Un’altra volta ha saltato una cerimonia a Buckingham Palace dalla regina solo perché non aveva voglia di mettere la sveglia a un’ora sgradevole (quando ancora si svegliava tardi). Però anche lì era una questione di stile: nel suo curriculum non c’è traccia di smania, fretta, ansia, insistenza, affanni, sforzi contro corrente. Eccessi sì, rabbie anche distruttive sì, non sarà certo lui a negarlo, ma sempre nel segno dell’affermazione di un principio, o dell’esplorazione artistica ed esistenziale. È per questo che da anni ormai si è consolidata l’idea (tra i fan, sui media, perfino in certe barzellette) che lui sia l’incarnazione del cool: per la combinazione di eleganza e distacco naturale con cui fa, o non fa, le cose. D’altra parte non è un atteggiamento, è il suo modo di essere. Da sempre, da quando era un bambino infelice e scontento a Manchester e gli sembrava di non avere il minimo punto di corrispondenza con niente di quello che vedeva e sentiva e percepiva intorno a sé. Non è freddezza, non è neutralità emotiva: basta aver ascoltato una qualunque delle sue canzoni per sapere che lui è il contrario di emotivamente neutrale. Basta il cinquanta per cento di sangue irlandese che ha nelle vene. Dovendo a tutti i costi trovare una definizione, si potrebbe dire che è una tendenza a vedere le cose in una prospettiva lontana, il che inevitabilmente riduce di parecchio la loro rilevanza.

Aggiungi che tra i difetti caratteriali che gli sono stati attribuiti nel tempo (dai giornalisti, dalle ex mogli, dagli altri membri della band) è difficile trovare la vigliaccheria. Semmai l’hanno rimproverato tutti in modo ricorrente di avere troppa propensione al rischio, con le droghe (un tempo), con le donne (un tempo), con i fan aggressivi, con le macchine potenti, con i cavalli focosi, con le onde dell’oceano, e via di seguito. Almeno questa non è mitologia: è dalla volta che ha steso con un pugno al mento totalmente inatteso il bullo di quinta che lo perseguitava quando lui era un magrolino di terza elementare con le gambe a stecco, e l’ha riempito di calci fino a lasciarlo lì inerte, che ha imparato a guardare in faccia la paura e dirle di andare a farsi fottere. Così invece di mettersi a zigzagare disperatamente tra gli olivi, Nick Cruickshank si gira verso i suoi futuri assassini con un’espressione di estrema nonchalance; alza una mano in una replica un po’ estenuata e ironica del saluto che aveva fatto dall’Ape, quando ancora pensava che fossero veri lavoranti, magari possibili fan. È leggermente piegato in avanti e
un po’ instabile sulle gambe, ma in generale non gli sembra di offrire una brutta immagine di sé; si raddrizza, si aggiusta il foulard arrotolato sulla fronte, riesce perfino a tirare fuori un sorriso di sfida, prima che comincino a sparargli addosso. Gli sembra che ci possa anche essere un senso, in una fine come questa; che possa sembrare il coronamento di un percorso, come si dice. Del resto se l’è cercata: nessuno gli ha mai chiesto di diventare un catalizzatore globale di amore e odio, aspirazioni e frustrazioni, ammirazione e invidia. Nel corso della sua carriera avrebbe certamente potuto morire in decine di modi molto più stupidi: di overdose come diversi suoi colleghi, soffocato nel suo vomito come Jimi, annegato in piscina come Brian o nella vasca da bagno come Jim, schiantato in un elicottero subito dopo il concerto come Stevie Ray. Questa può essere tutto sommato una fine nobile, che magari lo farà diventare ancora più un simbolo, come è successo a John, che da vivo forse non era una gran persona ma da morto è diventato una bellissima figura di martire. Anche se nel suo caso bisognerà vederequale simbolo potrà essere, naturalmente: della creatività trasferita dall’arte alla vita, senza filtri né concessioni? Della libertà della cultura occidentale aggredita dal fanatismo islamico? La risposta se la trovino i fan e i media; a lui a questo punto non gliene potrebbe fregare di meno. I suoi tre imminenti assassini sono ormai a pochi metri da lui, ma benché siano in un evidente stato di affanno e lo guardino con estrema intensità, stranamente non stringono tra le mani Kalashnikov, né pistole, né coltelli, né sembrano avere intenzione di assalirlo a calci e pugni. Al contrario, uno di loro indica l’Ape finito contro l’olivo, gli indica le gambe. «Okay?»
Nick Cruickshank impiega un paio di secondi nella transizione dallo stare per morire in modo estremamente cool al sentirsi estremamente stupido. Fa di sì con la testa. «Okay, okay.»
I tre lo guardano con facce interrogative, si guardano tra loro; non saranno terroristi, ma non sono certo neanche fan. In realtà sembra che non abbiano la minima idea di chi sia, né di cosa pensare di lui, né di cosa gli sia appena successo.

andrea de carlo
Nick Cruickshank fa un altro sorriso decisamente autoironico, anche se non è per niente sicuro che loro lo interpretino come tale. Sollevato? No. Imbarazzato? Neanche. Più che altro è stufo: gli sembra un cavolo di mattino, questo. Fa un cenno di saluto ai tre lavoranti, attraversa il tratto di oliveto nel modo più casuale che gli viene, raggiungeil vialetto, si avvia in direzione della casa. Adesso che sa di essere seguito da uno sguardo collettivo, sia pure limitato nei numeri e non particolarmente partecipe, esce dal frastornamento dello shock e recupera poco a poco l’elasticità dei movimenti: appoggia l’avampiede prima del tallone, nell’andatura ondulata che anni fa un cretino ripreso da molti altri cretini ha chiamato Nickwalk, e che adesso comunque lo fa sentire a ogni passo un po’ più in possesso di sé stesso.
«Monsieur?!» C’è una voce alle sue spalle, sopra suoni fruscianti e cigolanti.
Nick Cruickshank si gira senza fretta, pensando che forse dopotutto i tre uomini sono dei terroristi, anche se piuttosto esitanti, o forse solo in attesa del momento migliore per farlo secco.
Ma i tre hanno appena finito di spingere l’Ape fuori dall’oliveto, a gran fatica: glielo presentano, ansimanti, con le stesse espressioni perplesse di prima.
Nick Cruickshank scuote la testa, a sé stesso e a loro, sorride di nuovo, allarga le braccia; torna indietro a riprendersi il suo dannato triciclo a motore, un po’ acciaccato com’è.

(continua in libreria…)

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