“Il diritto di contare” è la storia di 4 donne afroamericane che durante la Guerra Fredda, sfidando razzismo e sessismo, hanno dato un contributo fondamentale ai successi del programma aerospaziale americano: il libro è diventato un film

Se John Glenn ha orbitato intorno alla terra e Neil Armstrong è stato il primo uomo a camminare sulla Luna, parte del merito va anche alle scienziate della Nasa che negli anni Quaranta hanno elaborato i calcoli matematici che avrebbero permesso a razzi e astronauti di partire alla conquista dello spazio.

Il diritto di contare

Tra loro c’è anche un gruppo di donne afroamericane originariamente relegate a insegnare matematica nelle scuole pubbliche “per neri” del profondo Sud degli Stati Uniti: Dorothy Vaughan, Mary Jackson, Katherine Johnson e Christine Darden. Quattro donne di straordinario talento che vengono chiamate in servizio all’aeronautica durante la seconda guerra mondiale a causa della carenza di personale maschile. Così le donne lasciano le proprie vite per trasferirsi a Hampton, in Virginia, ed entrare nell’affascinante mondo del Langley Memorial Aeronautical Laboratory.

Il loro contributo, benché le leggi sulla segregazione razziale impongano loro di non mescolarsi alle colleghe bianche, si rivela determinante per l’America: un contributo che permette di battere l’Unione Sovietica nella corsa allo spazio e riportare una vittoria decisiva nella Guerra Fredda.

Il diritto di contare segue la carriera di queste quattro donne per quasi trent’anni attraverso la seconda guerra mondiale, la lotta per i diritti civili e la corsa allo spazio cambiando, insieme alle proprie esistenze, anche il futuro del loro Paese.

Shetterly

L’8 marzo, in occasione della Festa delle Donne, esce nelle sale per FOX – con interpreti del calibro di Kevin Costner, Octavia Spencer e Taraji P. Henson – il film omonimo tratto dal romanzo della scrittrice americana Margot Lee Shetterly, edito da HarperCollins.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un ampio estratto

I dipendenti occupavano l’intero vano, da un lato all’altro, una massa che saturava quello spazio smisurato come il gas che colma un aerostato. Knox, un puntino in fondo al capannone, era davanti a un podio, alle spalle una gigantesca bandiera americana. I maschi bianchi erano una presenza preponderante,la maggior parte in camicia e cravatta o giacca e maglione, ma parecchi con le tute da meccanici e operai. Un manipolo di personaggi in abito di tweed e con una fascia al braccio che li identificava come guardie del corpo del Segretario e del suo entourage stava un po’ di lato in prima fila. I ragazzi prodigio della giornata – John D. Bird, Francis Rogallo, John Becker, i nomi che già venivano citati tra i migliori della disciplina – sorridevano qualche fila più indietro. Assiepati nell’angolo a sinistra delle prime file c’era una ventina o giù di lì di uomini di colore, quasi tutti con il camice, i pantaloni da lavoro o la salopette; qualcuno aveva aggiunto un tocco in più con un berretto da strillone o un cappello con la tesa. Le donne bianche punteggiavano la folla qua e là, molte in prima fila, le gonne appena sotto il ginocchio abbinate con molto senso pratico a calzature in grado di affrontare una camminata sui sentieri del campus. Accanto a John Becker c’erano altri visi femminili. Visi marroni, che sbirciavano da metà sala. Thelma Stiles sorrideva, gli occhiali di Pearl Bassette riflettevano il lampo dei flash. La testolina bassa di Miriam Mann si vedeva appena al di sopra delle spalle degli astanti. Chi avrebbe mai pensato che fosse possibile una simile mescolanza di neri e bianchi, uomini e donne, colletti blu e colletti bianchi, persone che lavoravano con le mani e persone che lavoravano con i numeri? E chi avrebbe mai pensato che il posto in cui trovarla sarebbe stata una città del Sud quale Hampton, Virginia?

Dopo la presentazione, le donne dell’Area ovest si diressero alla mensa, il luogo in cui poteva capitare che dipendenti che non si erano mai visti prima, perché lavoravano in gruppi o addirittura edifici diversi, si incrociassero; oppure poteva capitare di intravedere Henry Reid o il flemmatico segretario della NACA, John Victory, in città per una visita, o di orecchiare qualcuna delle frasi mordaci di John Stack, che sovrintendeva alle gallerie aerodinamiche in cui si conduceva la ricerca per l’alta velocità. Trenta minuti di pausa, e via di nuovo al lavoro. Giusto il tempo per un pasto caldo e quattro chiacchiere.

La maggior parte dei gruppi sedeva insieme per abitudine. Per le calcolatrici dell’Area ovest si trattava di un’imposizione.

Un cartello bianco su un tavolo in fondo al locale le chiamava, le lettere nere stampigliate in modo chiaro che proclamavano a gran voce la gerarchia della sala: CALCOLATRICI DI COLORE.

Era l’unico cartello in tutta la mensa dell’Area ovest: nessun altro gruppo aveva bisogno che il proprio posto fosse prestabilito a quel modo. I custodi, i manovali, gli stessi camerieri del locale non pranzavano lì. Le donne dell’Area ovest erano le uniche professioniste nere nel laboratorio: non esattamente escluse, ma neanche incluse. Nella scala degli insulti razziali, il cartello non era insolito né straordinario. Non faceva presagire il tipo di violenza che poteva esplodere all’improvviso: era il tipo di ordinaria segregazione

che negli anni i neri avevano imparato a sopportare, se non accettare, allo scopo di poter procedere con la propria vita quotidiana. Ma lì, nell’altezzoso ambiente del laboratorio, un posto che le aveva scelte per il loro talento intellettivo, quel cartello era particolarmente ridicolo, e in un certo senso più oltraggioso. Le donne cercavano di ignorarlo, lo spingevano da parte durante il pranzo, fingevano che non ci fosse. In ufficio si sentivano uguali agli altri, ma lì nella mensa, e nei bagni destinati alle RAGAZZE DI COLORE, i cartelli ricordavano a tutti che persino all’interno della meritocrazia propugnata dalla pubblica

amministrazione statunitense, perfino dopo l’Ordine esecutivo 8802, alcuni erano più uguali di altri. Persino il nome anodino del gruppo, “calcolatrici dell’Area ovest”, era insieme descrittivo e un po’ fraudolento: permetteva al laboratorio di conformarsi ai voleri della Commissione per le pari opportunità lavorative e al contempo soddisfaceva le leggi discriminatorie della Virginia, il famoso “separati ma uguali”. Il cartello nella mensa era la prova che alla legge che aveva portato le calcolatrici al lavoro nell’Area ovest del Langley non veniva concesso di competere con le leggi dello Stato che le tenevano nel loro angolino separato. La porta d’ingresso del laboratorio era aperta, ma molte altre restavano chiuse, come quella dell’Anne Wythe Hall, un dormitorio per donne bianche che lavoravano al Langley. Mentre Dorothy camminava ogni mattina per diversi isolati dalla casa dei Lucy alla fermata dell’autobus, le donne nel dormitorio avevano una navetta tutta loro. A questo riguardo non c’era niente che le nostre potessero fare,e lo stesso valeva per il bagno separato. Ma quel cartello  nella mensa…

Alla fine fu Miriam Mann a decidere che era troppo. «Quello oggi è mio» commentò entrando nel locale e gettando un’occhiata al cartello. Alta nemmeno un metro e mezzo, i piedi che a stento sfioravano terra quando era seduta, Miriam aveva una personalità tanto grande quanto lei era piccola. Le calcolatrici dell’Area ovest la osservarono appropriarsi del pezzo di cartone e farlo sparire nei recessi bui della borsetta, un gesto di sfida che le colmava insieme di ansia e di un senso di autoaffermazione. Il rituale si ripeté con esasperante regolarità. Il cartello, piazzato da una mano invisibile, esprimevale tacite regole della mensa. Quando Miriam lo sgraffignava, spariva per qualche giorno, a volte una settimana, a volte anche di più, per poi venire sostituito da un gemello monozigote, con le stesse lettere lapidarie e minacciose quanto quelle sul predecessore.

I cartelli e la loro rimozione erano un argomento di conversazione fisso tra le donne dell’Area ovest, che discutevano dell’assennatezza o meno del gesto. Mentre nella mensa del Langley andava in scena il dramma del cartello, nella Gloucester County, ad appena una trentina di chilometri da lì, accadde un fatto che avrebbe avuto ripercussioni nazionali.

Irene Morgan lavorava nell’azienda aeronautica Glenn L. Martin, a Baltimora, alla linea di produzione del B-26 Marauder. Nell’estate 1944 era tornata in Virginia con un autobus  della Greyhound per andare a trovare la madre, ma mentre rientrava a Baltimora venne arrestata per essersi rifiutata di spostarsi nel settore per neri. Fu il Fondo per la difesa legale del NAACP a prendere in carico il suo caso, e decise di usarlo per sfidare le leggi relative alla segregazione sui mezzi di trasporto interstatali. Nel 1946 la Corte Suprema, in Morgan Virginia, stabilì che la segregazione sugli autobus interstatali era illegale. Ma che speranza avevano le calcolatrici dell’Area ovest di fare un caso federale di una cosa tanto banale quanto un cartello in una mensa? Era molto più probabile che chiunque  continuava a disseminare di cartelli il tavolino decidesse che era ora di sbarazzarsi delle piantagrane una volta per tutte.

«Ti farai licenziare per quel cartello, Miriam» la mise in guardia il marito, William, mentre cenavano. La vita delle persone di colore in America era un infinito susseguirsi di negoziati: bisognava sempre capire quando battersi e quando soprassedere. Questa, decise Miriam, era un’occasione in cui bisognava battersi. «Allora che lo facciano» replicò.

(…)

 A un certo punto nel corso del conflitto, il cartello CALCOLATRICI DI COLORE scomparve nella borsa di Miriam Mann e non ricomparve più. L’ufficio separato rimaneva, così come i bagni separati, ma nella battaglia della mensa dell’Area ovest la mano invisibile era stata costretta a darsi per vinta di fronte alla piccola ma irriducibile avversaria. Non che le calcolatrici dell’Area ovest tramassero di invadere uno degli altri tavoli: volevano solo essere padrone del proprio, nell’angolo in fondo alla sala. L’insistenza di Miriam affinché quel cartello umiliante fosse consegnato all’oblio servì a dare a lei e alle compagne appena un po’ più di dignità e la certezza che il laboratorio sarebbe potuto appartenere anche a loro.Forse la mano invisibile e i suoi collaboratori erano giunti alla conclusione che la silenziosa resistenza delle calcolatrici dell’Area ovest fosse una forza che era meglio sfruttare che avversare, perché se c’era una cosa che la guerra aveva imposto negli ultimi tre anni, e una cosa che la gente di colore aveva in abbondanza, era la capacità di resistere. Coloro che prevedevano  una conclusione del conflitto rapida e pulita erano stati  tanti, ma si erano sbagliati. La guerra si trascinava, continuando a chiedere sempre più persone, sempre più denaro, sempre più aerei e tecnologia. Un giorno sarebbe finita, ma a quanto pareva non sarebbe accaduto esattamente l’indomani. Forse il vento aveva cominciato a girare, ma c’erano ancora tante battaglie da vincere, e la vittoria richiedeva perseveranza.Non tutti erano in grado di reggere le lunghe ore e l’alta posta implicata nel lavoro al Langley, ma la maggior parte delle calcolatrici dell’Area ovest sentiva che se non fosse riuscita a tenere testa alla pressione avrebbe perso la sua grande occasione,e forse anche quella delle donne che sarebbero venute dopo. Puntarono su quel lavoro più di chiunque altro. I legami nati tra quelle donne durante i primi giorni all’Area ovest si sarebbero consolidati in amicizie lunghe una vita, addirittura alcuni sarebbero stati “tramandati” ai figli. Dorothy Vaughan, Miriam Mann e Kathryn Peddrew sarebbero diventate sorelle al lavoro e fuori, ogni giorno più vicine e ogni giorno più impastoiate a quel laboratorio che le stava trasformando mentre loro aiutavano a trasformarlo.

Dorothy prestò grande attenzione mentre MargeHannah le illustrava il mestiere, prendendo nota di ciò che si aspettavano da lei con lo stesso rigore che aveva usato nel valutare i compiti degli studenti della Moton. Precisione delle operazioni. Capacità di applicare tecniche e procedimenti. Accuratezza nella valutazione e nelle decisioni. Affidabilità. Spirito d’iniziativa. Se anche l’impiego fosse durato solo sei mesi, aveva tutte le intenzioni di trarre il massimo da quell’opportunità. Per un’ambiziosa giovane mente matematica, e pure per una non più tanto giovane,non c’era posto migliore al mondo.

(continua in libreria…)

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