In Francia la tanto contestata “loi travail” prevede per i lavoratori il cosiddetto “diritto alla disconnessione”, il diritto cioè a essere offline e quindi irraggiungibili da mail e telefono una volta varcata la porta dell’ufficio. Su ilLibraio.it il punto di vista controcorrente di un esperto, Lorenzo Cavalieri, autore de “Il lavoro non è un posto”, che avanza non pochi dubbi

In Francia la tanto contestata loi travail prevede per i lavoratori il cosiddetto “diritto alla disconnessione”, il diritto cioè a essere offline e quindi irraggiungibili da mail e telefono una volta varcata la porta dell’ufficio.
L’iniziativa si fonda sulla convinzione che i lavoratori debbano poter “staccare” veramente per preservare benessere e produttività.

La previsione legislativa francese non prevede sanzioni per le imprese, si limita a riconoscere un diritto.
Si tratta insomma di una forte enunciazione di principio, di una sorta di “moral suasion” nei confronti delle aziende: “fuori dagli orari di lavoro non dovreste disturbare”.

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E’ una misura utile se si ferma qui. Se i governi pretendessero invece di trasformare quest’indicazione in qualcosa di perentorio e tassativo, con tanto di infrazioni e sanzioni entreremmo in un ginepraio. Immaginare un lavoro del terzo millennio con un divieto “vero” di disconnessione è uno sforzo di fantasia enorme. Se un governo volesse andare oltre alle enunciazioni di principio farebbe un errore. Ecco perché:

1) Essere eternamente connessi è purtroppo o per fortuna un dato di fatto della nostra vita, non solo della nostra vita di lavoratori. Non sappiamo se ci fa bene, sappiamo certamente che molto spesso siamo proprio noi a desiderare che il collega la domenica ci dia un’informazione, legga un nostro report, ci offra un parere. Per qualcuno di noi è ansia di controllo, per qualcun altro desiderio di liberare un’ora di lavoro per poter poi chiedere un permesso il lunedì mattina per portare il figlio dal pediatra. Regolamentare i singoli casi diventerebbe per i governi una fatica titanica e gli sforzi di controllo e sanzioni si trasformerebbero come sempre in burocrazia, burocrazia, burocrazia.…e relativi costi per la collettività;

2) Ci sono dei lavori per cui è semplicemente scontato “non staccare”: lavori di responsabilità manageriale su impianti o strutture che lavorano h24, lavori di natura imprenditoriale/commerciale, lavori di consulenza e libera professione. Come evitare discriminazioni se ci fossero divieti perentori?

3) Essere sempre connessi è in qualche modo l’altra faccia della medaglia dello “smart working”. Stiamo festeggiando la diffusione del “lavoro agile”, di un concetto di lavoro cioè per il quale tempo e luogo di lavoro non contano più: “Lavori quando e dove vuoi e pretendi anche di poterti disconnettere?”

4) La maggior parte dei lavori in cui “non puoi disconnetterti” sono svolti da persone che per ambizione e vocazione personale sentono il peso della “eterna connessione”, ma non la contestano, la vivono come una condizione necessaria del proprio progetto di carriera.

Insomma i governi si limitino alle enunciazioni di principio e siano le aziende a far rientrare il rispetto del tempo di riposo dei dipendenti nei propri codici etici e nel proprio modello di welfare. Non si deve dimenticare che le aziende non sono per nulla contrarie al concetto di disconnessione, anzi lo vedono come uno strumento per controllare meglio i flussi di lavoro e gestire meglio la produttività.

I lavoratori saranno poi liberi di organizzarsi trovando l’equilibrio virtuoso tra produttività e privacy, tra tempo di lavoro e tempo di riposo.

L’AUTORE – Lorenzo Cavalieri è laureato in Scienze Politiche e ha conseguito l’MBA presso il Politecnico di Milano. Dopo aver ricoperto il ruolo di responsabile commerciale in due prestigiose multinazionali, si occupa dal 2008 di selezione, formazione e sviluppo delle risorse umane. Attualmente dirige Sparring, società di formazione manageriale e consulenza organizzativa.
www.lorenzocavalieri.it è il blog in cui raccoglie i suoi articoli e interventi.
È in libreria per Vallardi  Il lavoro non è un posto.


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