Le donne, puntando su loro stesse, posso fare impresa in un modo nuovo? Investendo sul loro punto di vista, sono in grado di creare imprese più urgenti, più sensate, più umanamente opportune? Le riflessioni dell’autrice di “Appassionate”

In Italia il numero delle imprenditrici è il più alto d’Europa, eppure la narrazione generale sull’argomento donne e lavoro, è ancora quella di Cenerentola, sfruttata e maltrattata. Io stessa per districarmi in questa confusione ho deciso di fare un viaggio di ricerca, che poi è diventato un libro.

Per staccarmi di dosso questa fragilità, destino di troppe donne in questo paese, tre anni fa mi sono messa sulla strada di quelle che senza paura di deludere nessuno, di non essere protette nelle loro possibilità, avevano costruito intorno alla loro passione la loro impresa. Le ho chiamate le Appassionate e su di loro ho scritto un libro.

A quel tempo avevo vitale bisogno di esempi, non semplicemente positivi, ma esempi che dimostrassero che si poteva essere donna in tanti modi e che era proprio nella specificità di ognuna che stava la risorsa fondamentale per trovare il proprio posto nel mondo del lavoro. Esempi che mi raccontassero che si poteva essere donna e professionista in una maniera nuova.

Inizialmente volevo realizzare un reportage sulle donne e il potere, ma dopo avere riflettuto sull’origine latina di potere, potes esse, poter essere se stesso, ho capito che dovevo mettermi sulla strada delle donne che con la loro imprese raccontavano loro stesse, e che così facendo modificavano la realtà del lavoro. È così che è iniziato il viaggio meraviglioso nel mondo delle Appassionate, che ancora non è finito.

Con loro ho scoperto che la forza di gestire tutte le difficoltà del fare impresa in Italia, è profondamente radicata nel senso di ciò che producono. Le imprese al femminile, al di là da esistere in tutti gli ambiti dell’impresa tradizionale, per quasi il 40% intercettano nuovi bisogni e creano nuovi ambiti lavorativi. Eccola la prova che stavo cercando, le donne guardano il mondo con altri occhi, non peggiori o migliori, diversi, e su quella visione intervengono con nuove soluzioni. Perché si sa, una volta che hai trovato la domanda, sei già molto vicino a trovare la risposta.

Le Appassionate che ho incontrato sono partite spesso da un bisogno personale, da una riflessione lungamente covata per poi decidere di investire tutto loro stesse nel costruire la soluzione che potesse servire a tanti. Come Daniela Ducato che non concependo il concetto di scarto, ha creato Edilana, produzione di pannelli isolanti per l’edilizia, realizzati con la lana in eccedenza. “In natura non esiste lo scarto, io amo dire ‘eccedenza’, parola che contiene il significato di abbondanza e pure di dono”. Oppure Lucia Iraci, parrucchiera per ricchi parigini, che ha creato Josephine pour la beautè, un altro salon in cui offre a donne profondamente svantaggiate di entrare da un parrucchiere spendendo soli tre euro, perché mi ha detto Lucia “Noi pensiamo alla bellezza estetica, affinché loro possano concentrarsi e prendersi cura della bellezza della loro anima. Solo così potranno tornare nel mondo e recuperare il loro posto”. E ancora Maria Fermanelli, architetta, innamorata del bello, del pane e del giusto, che ha lasciato il suo avviatissimo studio romano per creare dodici anni fa, Cose dell’altro pane, azienda per la produzione di prodotti da forno per celiaci, quando la celiachia era un settore limitato alla produzione farmaceutica. “Ero stupita all’idea che dei bambini dovessero mangiare quelle cose noiose e insapori, ho pensato che si potevano fare con più amore, con più dolcezza”. Ed ecco qua la prima azienda italiana, non farmaceutica, tanto che fu necessario definire un protocollo tra Maria e il Ministero della Salute. Un protocollo che d’allora fa testo per tutti i privati che vogliono entrare in questo mercato. Ma ancora, Sarah Pottharst, giovanissima stilista newyorkese che in Italia ha creato una linea di moda premaman prodotta in un tessuto tutto italiano, cotone e argento, che repelle la zanzara, possibile portatrice del virus Zika. “A New York lavoravo solo con lustrini e paillettes e io volevo fare una moda che avesse un senso umano”. E ancora, e ancora, e ancora.

In tre anni ho raccolto decine e decine di storie di questa potenza, e allo stesso tempo, ho trovato la risposta alla mia domanda: le donne puntando su loro stesse possono fare impresa in un modo nuovo? Possono le donne investendo sul loro punto di vista creare imprese più urgenti, più sensate, più umanamente opportune?

L’impresa al femminile prima di essere un evento economico, è l’esperienza della donna di affermare il proprio punto di vista nel mondo, il proprio sistema valoriale, la propria capacità organizzativa. La fioritura di imprese al femminile in Italia e nel mondo rappresenta una trasformazione antropologia che vede finalmente le donne intervenire nei fatti della realtà che le circonda, economica, politica e sociale, una trasformazione attraverso cui le specificità femminili di cura, cuore, visione dell’altro, coraggio, pazienza, senso ecologico, relazioni, sostegno s’insinuano nel mondo del lavoro e della produzione, trasformandolo e permettendo ad altrettanti uomini sensibili e coraggiosi di farle proprie, modificando la forma del lavoro.

In una nota rivista di economia si leggono i seguenti consigli per una donna che vuole fare carriera come manager: “Fondamentale è cercare di tenere fuori le emozioni dalla ‘stanza dei bottoni’, concentrandosi esclusivamente sul business. Niente sorrisi continui che potrebbero disorientare, e pochi cenni di consenso con la testa mentre si ascolta qualcuno che parla. Meglio tenere il capo dritto e fermo per trasmettere sicurezza, mentre è consentito inclinarlo da un lato solo per rassicurare il proprio interlocutore. Se la stretta di mano deve essere salda e determinata, possibilmente ponendosi in posizione frontale rispetto a qualcuno assicurandosi che i palmi delle mani siano pienamente in contato, molta attenzione deve essere posta nel controllo della gestualità delle mani: mai giocare continuamente con i capelli o con gli accessori, meglio tenerle ferme e in vista sfruttandole solo per comunicare alcuni concetti importanti”.

Insomma se così deve essere allora, se le donne manager in Italia sono poche, forse meglio così.

filomena pucci

L’AUTRICE – Filomena Pucci è autrice di Appassionate, storie di donne e imprese. Qui le informazini sul libro, finanziato grazie al crowdfunding.

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