Christopher Nolan, giocoliere spazio-temporale d’eccezione e cine-filosofo, è un regista riuscito nell’impresa di coniugare blockbuster e cinema d’autore. Su ilLibraio.it la recensione del suo nuovo film, “Dunkirk”

Christopher Nolan, giocoliere spazio-temporale d’eccezione e cine-filosofo, abile manipolatore delle narrazioni sul grande schermo (da Memento a Interstellar, passando per The Prestige), è il giovane cineasta di culto (classe 1970) che è stato capace di rivoluzionare la saga di Batman dandole una forza (oscura) e una profondità mai vista prima. È anche un regista riuscito nell’impresa non semplice e rara di coniugare blockbuster e cinema d’autore (dispendiosi kolossal e visione personalissima) e di aprirci con sofisticatezza, genio ed efficacia le porte segrete della testa, della memoria e dello sguardo (Inception) senza rinunciare alla potenza e all’immediatezza del grande spettacolo popolare.

Nolan decide questa volta di rievocare da par suo un episodio decisivo ma per certi aspetti negletto della Seconda guerra mondiale, per trasformarlo, attraverso la magniloquenza dei 70mm e dell’IMAX (che suggeriscono di scegliere bene la sala dove vedere il film), in un’ulteriore e imprevista Nolan(d), terra di nessuno pronta a diventare terreno di tutti, e insieme tassello decisivo di un’opera puzzle, di un universo immaginario inesausto e coerente, con una pellicola che ne decreta la maturità, per molti il vertice.

L’accadimento è quello dell’evacuazione dalle spiagge di Dunkirk (inglesizzazione della cittadina balneare-portuale del nord della Francia di Dunkerque, tristemente nota alle cronache come una delle travagliate frontiere dell’immigrazione), quando soldati inglesi e francesi nell’estate del 1940 si trovarono a decine di migliaia sulla costa francese della Manica, in cerca disperata di salvezza dal mare, avaro di navi per portarli fuori dall’inferno dell’accerchiamento e dei bombardamenti tedeschi.

L’atmosfera sospesa che inaugura il racconto (volantini propagandistici del nemico che piovono su un drappello di soldati che vagano per una cittadina deserta) è bruscamente interrotta da raffiche di fuoco nemico che risparmiano solo il giovane protagonista, il quale comincia la sua fuga senza pace, costellata solo da minime tregue. Superata la trincea custodita dai francesi, si ritrova infatti solo e con tutti gli altri sulla spiaggia di Dunkirk: l’impossibilità di andare di corpo (letteralmente: di evacuare) ben rispecchia lo stallo di quelle sabbie (mobili) surreali che, in un luogo di villeggiatura funestato e ribaltato di segno dalla potenza della guerra, vedono dispiegarsi sulla riva le truppe in attesa, quasi che si trattasse della polvere di un’enorme clessidra che segna un tempo inesorabile e angosciante.

E il tempo, nel film di Nolan, si declina in tre piste narrative, che richiamano tre degli elementi naturali (terra, acqua e aria), sotto la minaccia costante e concreta del quarto, il fuoco: sul molo (la paralisi delle truppe su quella riva fatale), in mare (il viaggio di una nave solitaria di civili che dall’Inghilterra attraversa il canale per provare a soccorrere le truppe), e nell’aria (un pilota che affronta i duelli aerei contro la flotta nemica). Una settimana, un giorno un’ora i rispettivi cronometri sfasati di queste tre linee del racconto che Nolan alterna con sapienza e che costruiscono il racconto di Dunkirk come una storia corale, in cui è però impossibile non immergersi e identificarsi completamente, che infine confluisce in un esito sorprendente.

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Nolan trascina dentro quest’attesa spasmodica lo spettatore amplificando e portando a vette di virtuosismo raramente raggiunte il meccanismo del last minute rescue, del salvataggio in extremis, la costruzione della suspense più classica del cinema classico. In questo senso, e nella capacità di produrre e mantenere la tensione dal primo all’ultimo dei suoi 107 minuti (straordinariamente pochi per lo standard attuale, per il genere e per questo autore), si potrebbe parlare più di un thriller che di un film di guerra, etichette che del resto stanno strette all’autore e non fanno giustizia del film: i personaggi sono prigionieri, letteralmente e metaforicamente con l’acqua alla gola, fino all’ultimo respiro, di un meccanismo spietato di lotta contro il tempo (che batte senza tregua nella colonna sonora, asciugata e sapientemente ansiogena, firmata dal sodale di Nolan Hans Zimmer, aneddotica vuole imbeccato dal regista che gli ha dato come guida la registrazione del ticchettio di un orologio). Ecco che le assenze (la scarnificazione all’essenza dei dialoghi; la mancanza di profondità psicologica che caratterizza i personaggi, dei quali non conosciamo storia, passato e altrove spazio-temporali; la scelta di tenere completamente fuori campo e innominato il Nemico, salvo per qualche ombra sfocata) invece di costituire un difetto, quello che al film mancherebbe, ne strutturano la forza pregnante, quasi astratta, consentendo allo spettatore (o forse costringendolo a) un lavoro psicologico quasi spossante. Ne consegue un racconto dal di dentro tanto dell’angoscia assoluta quanto delle possibilità di eroismo (forse sarebbe meglio di resistenza e resilienza), e dunque persino di salvezza, in una condizione che appare apertamente senza via di fuga.

Dunque: perché proprio oggi? In tempi di guerra asimmetrica, ribaltamento dello spazio civile in terreno di battaglia, casualità e imprevedibilità del bersaglio e senso pervasivo del precipitare ineludibile della situazione, il racconto di Nolan ha certamente molto da dire a noi ora, buttandoci senza sconti in mezzo a una guerra che sappiamo essere entrata ormai per davvero nel nostro spazio d’evasione. Tuttavia, se nel racconto non importa l’accuratezza storica che ha fatto arrabbiare i francesi (relegati a un ruolo ancillare se non marginale), è la Civiltà britannica, col suo rito del tè, la sua compassata eleganza, la sua salda rettitudine, a rappresentare il baluardo, la vera forma di resistenza possibile contro le forze del Male, più in generale possiamo rinvenire in questo pervicace esperimento di pace che ha nome Europa ancora una scialuppa di salvataggio da quell’ultima spiaggia verso la quale sembriamo costretti.

L’AUTORE: qui tutte le recensioni e gli articoli di Matteo Columbo per ilLibraio.it

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