“Forse, tutto sommato, gli Esami di Stato tanto inutili non sono, nel senso che soddisfano l’esigenza profonda di un’introduzione collettiva all’età adulta. Rappresentano un sigillo, un via libera…”. Su ilLibraio.it l’intervento della scrittrice e insegnante Simonetta Tassinari

In tutta Italia sono terminati, o stanno terminando, gli esami conclusivi del ciclo di studio superiore. Molte commissioni hanno già chiuso i battenti, i risultati sono stati pubblicati, c’è chi ha esultato, chi se l’è presa con i commissari per un voto deludente e soprattutto con i membri interni, ai quali da sempre, anche quando ce n’era uno solo, prima del 1999, è affidato il compito non tanto di garantire una certa equità, quanto, piuttosto, una difesa d’ufficio sfegatata e spesso immotivata che faccia lievitare il voto finale. Se questo non accade, e i membri esterni esercitano in tutto e per tutto il ruolo di commissari, apriti cielo.

LEGGI ANCHE – Essere bocciati non è la fine del mondo

Va pur affermato che l‘Esame di Stato, benché la vecchia dizione di ” Maturità ” sia così radicata da non essere stata assolutamente scalfita dalla successiva, è un esame ben più complesso, lungo e difficile rispetto a quello precedente, la cui ultima edizione (sembra di parlare di un festival) risale al 1998. Ai ragazzi attuali il ” nostro” esame di Maturità, con due scritti e due sole materie all’orale, sembra quasi una favoletta. Ricordate che, per di più, le materie venivano comunicate (“uscivano”, nel linguaggio studentesco) nel mese di aprile? E che, di quelle “non uscite”, si concludevano in fretta e furia i programmi, come se avessero perduto ogni interesse?

L’esame attuale ha una influenza molto maggiore sul voto finale. Prevede l’assegnazione di un massimo di cento punti (più una possibile lode), tre quarti dei quali si devono guadagnare sul campo. Insomma, la media degli anni precedenti conta solo relativamente, perché il ragazzo, seppure bravissimo, può portarsi dietro, come corredo, non più di venticinque punti. Tutti gli altri dovranno faticosamente essere conquistati attraverso tre prove scritte, delle quali la terza, multidisciplinare (ben cinque materie), la più temuta, valutate in quindicesimi.

Infine c’è l’orale, su tutti i programmi dell’ ultimo anno, che assegna un massimo di trenta punti. Esiste anche un abbastanza intricato sistema di pesi e contrappesi per poter concedere al candidato un massimo di cinque punti di ” bonus”, che non è affatto così automatico come si potrebbe pensare.

L’Esame di Stato è una prova che dura giorni, settimane, una prova fisica anche per i professori, i quali, in talune giornate, lavorano per sette, otto e anche nove ore per espletare tutte le pratiche, tra assistenza agli scritti, controllo, correzione, timbri, firme, incartamenti. E dire che un esame universitario spesso dura mezz’ora, o poco più e costa assai meno, visto che le cifre complessive dell‘Esame di Stato, ogni anno, si aggirano sugli ottanta milioni di euro (per promuovere, tra l’altro, più del 99% dei candidati ).

Dunque sono esami costosi, spesso addirittura snervanti, ma, all’atto pratico, a che cosa servono, con precisione? Il voto di Maturità (ma sì, usiamo pure la vecchia dizione) non comparirà da nessuna parte se non nel futuro CV; non servirà a ottenere una borsa di studio ormai essenzialmente legata al reddito, né per accedere alle facoltà universitarie a numero chiuso, molte delle quali hanno già in anticipo condotto la loro selezione (nella primavera precedente, o addirittura durante il quarto anno delle superiori).

Diverso il caso dell’ambitissima lode, la quale concede l’inserimento nell’Albo nazionale delle Eccellenze, e una serie di non trascurabili benefit: ma si tratta di una eccezione. Perciò qualcuno sostiene che si tratti di esami inutili– basterebbe, si sostiene, il normale scrutinio – benché questo contrasti con il valore legale del titolo di studio. Altri lo ritengono spropositato, e così soffocato dalla burocrazia e dalle carte da apparire un rito collettivo barocco.

Personalmente, quando, a conclusione del rito, vedo innalzarsi il fumo della ceralacca disciolta dalla fiamma della candela per sigillare il famoso “pacco” che contiene gli elaborati e i numerosissimi verbali, che verrà spedito al Ministero, non mi sento diversa da Azzeccagarbugli, o da uno inquisitore della “Chimera” di Vassalli.

Eppure da un certo punto di vista è come se, di quest’esame, si sentisse il bisogno. Come se ne sentissero il bisogno i ragazzi stessi, le famiglie, la società. Una società che non pone più un limite alle uscite serali dei propri figli, né alle loro vacanze. Che ha allentato il controllo sulla propria gioventù, che tratta i quarantenni come gli adolescenti e gli adolescenti, talvolta, come i quarantenni. Come se si volesse che, almeno, per quelle tre settimane, i figli tornino figli e ricevano integratori e affetto, vicinanza e partecipazione prima degli inevitabili rimbrotti contro i membri interni che non hanno saputo “difenderli”.

Forse, tutto sommato, l’Esame di Stato tanto inutile non è, nel senso che soddisfa l’esigenza profonda di una introduzione collettiva all’età adulta. È un sigillo, un via libera. Anzi, verrebbe da riassumerne la validità soprattutto in tal senso. I ragazzi, per primi, ne sono consapevoli; appena usciti dalle fauci della commissione si scattano un selfie sul portone della scuola, oppure si fanno fotografare mentre saltano con le braccia spalancate e postano il tutto su Facebook con la scritta”maturoooo!”

A proposito.
Poiché anch’io sto per terminare gli esami, corro subito a farmi un selfie davanti alla mia scuola, che posterò su Facebook che la scritta: “Più che maturaaaa!”.

L’AUTRICE – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967.
Il 6 ottobre il suo ritorno in libreria, sempre per Corbaccio, con La sorella di Schopenhauer era una escort. Sarà un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana.  Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita, che va alla radice del bisogno di fingersi più bravi di quel che si è.
L’autrice è nata a Cattolica ed è cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino. Vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico- filosofica e romanzi storici.

Libri consigliati