Filippo Del Corno, riconfermato assessore alla Cultura dal nuovo sindaco di Milano Beppe Sala, intervistato da ilLibraio.it parla dei progetti legati ai libri che ha in mente: “Vorrei che anche le librerie di quartiere usufruissero di benefici fiscali. Vanno considerate fondamentali presidi sociali”. Quindi racconta il “premio nazionale” per l’editoria che vuole lanciare: “Come avviene agli Oscar del cinema, penso a più riconoscimenti: a un premio alla miglior copertina, alla migliore traduzione, al miglior editore ovviamente. Oltre che a un premio alla carriera…”. Risponde poi alle critiche indirette del suo predecessore Stefano Boeri: “Sono orgoglioso di essere un ‘facilitatore'” e “sono contrario alla figura dell’assessore alla Cultura che si trasforma in una sorta di ‘direttore artistico’…”. Tra le altre cose, dice la sua sull’acquisizone di Rcs Libri da parte di Mondadori…

Filippo Del Corno è stato riconfermato assessore alla Cultura del Comune di Milano dal nuovo sindaco Beppe Sala, dopo le 1950 preferenze ottenute. Il compositore prestato alla politica, classe ’70, nei primi cinque anni al fianco dell’ex sindaco Giuliano Pisapia si è dimostrato attento al mondo del libro. Del resto, Milano, la città di Bookcity, è la “capitale dell’editoria”. Proprio dei progetti legati ai libri che ha in mente per i prossimi anni, Del Corno ha parlato con ilLibraio.it. Spazio, tra l’altro, anche per una risposta a Stefano Boeri.

Nel 2015, l’anno di Expo, Milano è stata “città del libro”. In questi anni le iniziative legate all’editoria libraria non sono mancate: quali risultati la rendono più orgoglioso?
“Milano era già la città del libro, la ‘capitale dell’editoria’. In questi anni l’abbiamo trasformata nella città della lettura. È cresciuto il dialogo tra il mondo dell’editoria e la città, soprattutto grazie al successo di Bookcity, grande festival urbano dedicato ai lettori. Ma anche per merito di una serie di iniziative spontanee, come pure grazie ad altre proposte stimolate dall’amministrazione pubblica”.

Cosa, invece, non è riuscito a realizzare e vorrebbe portare a termine nei prossimi anni?
“Vorrei fare di più per le librerie indipendenti. Il modello può essere quello delle convenzioni per i teatri, che sta per essere esteso alle sale cinematografiche. Vorrei che presto anche le librerie di quartiere usufruissero di benefici fiscali. Le librerie vanno considerate fondamentali presidi sociali, devono avere tassazioni agevolate. Non solo: Bookcity già coinvolge i librai della città, ma anche in questo caso si deve fare di più, le librerie devono essere chiamate in causa in molte altre attività culturali che si svolgono durante l’anno a Milano”.

A proposito, lei frequenta le librerie o preferisce comprare online?
“Confesso di essere all’antica, l’e-commerce non fa per me, frequento le librerie, e in particolare un piccolo negozio della mia zona, Il mio libro di Cristina Di Canio, in cui è forte il dialogo e lo scambio tra libraia e cliente-lettore. Si tratta di una libreria che andrebbe presa a modello, per come riesce a coinvolgere il quartiere”.

A dire il vero va anche considerato che negli ultimi anni tante realtà storiche hanno abbassato le saracinesche per sempre.
“È vero, ma ci sono anche tante nuove realtà in città, che spesso vedono protagonisti giovani libraie e librai. Credo sia fisiologico che alcune realtà storiche siano in difficoltà. L’e-commerce da una parte e dall’altra la diffusione dell’e-book stanno lentamente impattando sull’intera filiera del libro, come è avvenuto del resto in ambito musicale, in modo decisamente più tumultuoso, tra l’altro. Dunque ritengo sia fisiologico che alcune librerie tradizionali chiudano. Il modello va ridefinito. Allo stesso tempo, per fortuna, non si può non notare un certo fermento. Nuovi spazi come Verso, Open, e tanti altri, hanno un elemento il comune: sviluppano attività di socialità attorno al libro, ognuno con le proprie caratteristiche. Cercano di innovare, senza per questo perdere il legame con l’oggetto libro”.

Davvero ha in mente di istituire un premio legato al mondo dell’editoria?
“L’idea è nata nel corso della campagna elettorale, e ci tengo a dire che è stata proposta dalla giornalista e scrittrice Annarita Briganti. Mi piacerebbe dar vita a un premio non solo per i libri, ma per la filiera del libro, spesso poco raccontata. Un premio che non sia percepito come milanese, ma bensì come riconoscimento nazionale, e per questo intendo coinvolgere anche il ministro dei Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini”.

Che premio ha in mente, quindi?
“Come avviene agli Oscar del cinema, penso a più riconoscimenti: a un premio alla miglior copertina, alla migliore traduzione, al miglior editore ovviamente. Oltre che a un premio alla carriera. E vorrei coinvolgere anche l’editoria scolastica e i testi non ancora pubblicati in Italia. Penso che Bookcity 2016 possa essere il momento giusto per discuterne, in modo da partire nel 2017”.

A proposito di editoria, cosa pensa della discussa acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori?
“Credo che in questi casi non spetti alla politica pronunciarsi sulla legittimità, ma alle autorità competenti. Non a caso l’Antitrust ha già preso posizione. Allo stesso tempo, resto convinto che le concentrazioni possano trasformarsi in un’opportunità per le realtà indipendenti. Anche gli autori, però, in queste situazioni devono stimolare lo sviluppo di processi alternativi, dando una mano alle piccole case editrici”.

Lo scorso 25 giugno il suo predecessore Boeri, su Facebook, senza citarla direttamente, ha scritto: “(…) Mi auguro vivamente che il prossimo Assessore alla Cultura non si limiti a essere un ‘facilitatore’ di iniziative culturali, un amministratore di progetti già pronti e di energie già in campo…”. È sembrata una critica piuttosto dura al suo operato.
“In generale, in politica e non solo, i galantuomini, quando esprimono una critica, fanno nomi e cognomi. Io non ho problemi a ricordare che Bookcity è nata durante il mandato di Boeri. Lui coglie il punto: sono orgoglioso di essere un ‘facilitatore’. In una città come Milano, piena di energie anche in ambito culturale, il compito di un assessore è quello di facilitare, di mettersi al servizio”.

Il suo predecessore non lo faceva?
“Sono contrario alla figura dell’assessore alla Cultura che si trasforma in una sorta di ‘direttore artistico’, e mi riferisco non solo all’approccio di Boeri, ma anche a quello di Vittorio Sgarbi e Philippe Daverio. Milano non ha bisogno di ‘direttori artistici’. In quelle situazioni si finisce per deprimere le energie presenti sul territorio”.

E di cosa ha bisogno?
“Cito tre assessori del passato che si sono messi al servizio, tre figure lontane dalla mia visione politica: Guido Aghina, Salvatore Carrubba e Luigi Corbani. Mi sembrano ottimi esempi da seguire, per il loro approccio”.

Dica la verità, ha mai temuto che Sala non la riconfermasse?
“Sapevo che Sala avrebbe fatto in ogni caso la scelta giusta, riconfermandomi o scegliendo un’altra figura altrettanto meritevole. In campagna elettorale ho fatto una scelta di libertà, ho raccolto tanti stimoli, e sono molto contento di com’è andata. Sono certo che l’impegno del nuovo sindaco per la cultura sarà significativo. Non solo in riferimento al valore economico che le attività culturali possono offrire, ma anche in relazione alla cultura come forma di presidio sociale nei quartieri di frontiera”.

Ultima curiosità: quali letture l’hanno colpita di recente?
“Mi ha molto colpito, e consiglio, un libro del 1912, Gli dei hanno sete di Anatole France. In questo momento, invece, sono alle prese con un saggio di Guido Crainz, Storia della Repubblica. L’Italia dalla Liberazione ad oggi: un testo molto istruttivo”.


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