La casa editrice Atlantide sta meritoriamente ripubblicando l’opera di Adriano Tilgher, spirito eclettico e inquieto, studioso di filosofia e autore di numerosi libri di estetica, etica, filosofia politica, critica teatrale e letteraria…

La casa editrice Atlantide, che pubblica solo libri in tiratura limitata e numerata, sta meritoriamente ripubblicando l’opera di un filosofo dimenticato, Adriano Tilgher.

Filosofi Moderni, appena pubblicato, presenta per la prima volta in un unico volume una scelta dei saggi sulla filosofia moderna e contemporanea che Tilgher scrisse tra gli anni Venti e i primi anni Quaranta: dalla cultura Rinascimentale fino a Heidegger, passando per Spinoza, dal Romanticismo europeo e Nietzsche a temi ideali del Novecento, come  il ritorno di Dioniso e Apollo e la nuova Era della Tecnica , a pagine illuminanti su figure fondamentali del dibattito filosofico del nostro tempo quali Walter Otto, Sigmund Freud, Carlo Michaelstaedter, Benedetto Croce e Oswald Spengler, Tilgher ci offre una visione sorprendente sul pensiero occidentale moderno e la civiltà contemporanea.

Tilgher è spirito eclettico e inquieto, studioso di filosofia e autore di numerosi libri di estetica, etica, filosofia politica, critica teatrale e letteraria, firma di testate come Il Mondo di Giovanni Amendola, Bilychnis, La Ronda e La Rivoluzione Liberale di Piero Gobetti, “scopritore” di Pirandello (secondo la definizione di Gramsci, occorre “distinguere tra il Pirandello prima dell’ermeneutica tilgheriana e quello successivo”), pensatore scomodo in odore di scomunica religiosa, sorvegliato dalla polizia politica fascista e inviso al regime, anticrociano e antigentiliano, è stato una delle maggiori figure intellettuali nell’Italia del primo Novecento. Nato a Resina (Ercolano) nel 1887, morì a Roma nel 1941. Tra le sue opere ricordiamo Teoria del Pragmatismo trascendentale, La visione greca della vita, Relativisti Contemporanei, Filosofi e moralisti del Novecento e Il casualismo critico. Di Adriano Tilgher Edizioni di Atlantide ha già pubblicato nel 2015 Filosofi antichi.

adriano tilgher

Per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto da Filosofi Moderni (1938, originariamente in Adriano Tilgher, Mistiche nuove e mistiche antiche)

Tecnica e religione nel dopoguerra

La nostra età, si dice, è l’età della Tecnica. Culmina in essa tutto un lungo processo che s’inizia dal Rinascimento, e che ha messo capo a un’esplosione di genialità e d’inventività tecnica di cui nulla di simile ci offre il lungo decorso delle età di cui la storia ha serbato il ricordo. Orbene, a parer mio, è proprio la Tecnica il fattore principale che, mentre dissocia le vecchie sintesi religiose, prepara il terreno alle nuove religioni che si avanzano a prenderne il posto. E questa la tesi che mi sforzerò di dimostrare con la massima brevità compatibile con la chiarezza.

Nel suo primo germinare l’attività tecnica nasce da un movimento dello spirito in diretta antitesi con quello da cui nasce l’atteggiamento religioso. Tecnica e Religione sono figlie di madri, non solo diverse, ma nemiche. Lo ha dimostrato Bergson, ne Les deux Sources de la. Morale et de la Religion, in pagine nelle quali non si sa cosa ammirare di più, se la finezza dell’analisi o la luminosa chiarezza dell’esposizione.

L’uomo, per Bergson, si distingue dall’animale per il possesso dell’intelligenza. L’intelligenza consiste essenzialmente nella facoltà di combinare dei mezzi in vista di un fine lontano da raggiungere. E’ caratteristico dell’intelligenza d’intraprendere ciò che essa ha coscienza di non essere interamente padrona di attuare. Tra ciò che essa fa e ciò che essa vuole ottenere si stende un intervallo che lascia largo margine all’accidente, al caso, all’imprevisto: ed è essenziale all’intelligenza di saperlo. Il selvaggio che lancia la freccia contro la preda non sa se toccherà lo scopo. Tra il gesto e il risultato un intervallo  si spalanca. In quell’intervallo infiniti accidenti possono sorgere che mandano a vuoto il gesto e gl’impediscono di raggiungere il risultato. L’esito dell’azione è sempre incerto, e di questa incertezza l’agente è sempre conscio. L’uomo primitivo non può sopportare questa incertezza. Egli vuole essere sicuro che l’atto conseguirà la mèta. Ma l’intelligenza che genera l’atto non può dargli questa sicurezza. A colmare il vuoto tra atto ed esito e a rassicurarlo sull’esito, nasce, per opera della facoltà fabulatrice dello spirito, la rappresentazione di potenze invisibili animate e intelligenti, regolatrici del corso delle cose, capaci d’interessarsi dell’uomo, di piegarsi alle sue preghiere, di esaudire i suoi voti, di condurre all’esito conforme ai suoi desideri l’atto da lui scatenato.

Per agire sulla materia l’uomo se la rappresenta meccanicamente, come un magazzino di determinismi naturali. E fino a che può mettere la mano su quei determinismi e sfruttarli con piena sicurezza per i suoi scopi (e in ciò consiste la Tecnica), non ha bisogno di nessuno e non prega nessuno. É dove quei determinismi gli sfuggono, è nel vuoto buio e minaccioso che si apre fra atto ed evento, che sorge la rappresentazione di potenze che aiutano l’atto a raggiungere l’esito. È dove la Tecnica viene meno che la, Religione porge i suoi conforti.

Immaginiamo l’uomo in possesso di una tecnica perfetta, che permetta ad ogni suo atto di raggiungere infallibilmente lo scopo. Evidentemente, la rappresentazione di potenze invisibili capaci di aiutare l’uomo non avrebbe più ragion di essere, la religione (nel senso stretto della parola) morirebbe. Naturalmente, una tecnica così perfetta è un puro ideale, cui l’uomo si può infinitamente avvicinare, ma che non toccherà mai, se no sarebbe Dio! Quindi (si rassicurino i pii!) ci sarà sempre posto per la Religione. Ma resta. dimostrato che Religione e Tecnica sono strutture psichiche inizialmente, nella loro radice, nemiche, e che lo spazio che l’una guadagna, l’altra lo perde.

La tesi sembra paradossale? Un esempio immediatamente accessibile ne proverà la verità. Supponiamo che un giorno la Tecnica dia all’uomo il mezzo di fare la pioggia o il bel tempo a volontà. Evidentemente, da quel giorno in poi non si faranno più processioni per invocare, da Dio o dalla Madonna o da qualche Santo, il bel tempo o la pioggia. Altra prova: la prima immediata reazione delle anime in cui lo spirito religioso vive in tutta la sua ingenuità, di fronte a una nuova invenzione non è forse di vedere in essa un’opera satanica, figlia dello spirito di orgoglio e di dominazione?

È solo in un secondo momento che spiriti più riflessivi e colti, meno ingenui e candidi, si sforzano di ricondurre nell’orbita dello spirito religioso quella stessa Tecnica che è nata da uno spirito diverso e opposto. È legge di ogni creazione psichica di cercar di divorare e di subordinarsi le altre, e di affermarsi come predominante. Ciò è vero anche della rappresentazione religiosa. Una volta sorta questa cerca di subordinarsi la rappresentazione del mondo suggerita dalla Tecnica. Sorge allora l’immagine di un dio creatore di leggi inflessibili della Natura, salvo poi a infrangerle col miracolo o a combinarle fra loro in modo conveniente, sì da soccorrere, senza violarle, il suo fedele, quando questi ha bisogno di lui, a meno che non le abbia ab aeterno disposte in modo tale che, senza venir meno all’inflessibile determinismo naturale, la preghiera (da lui preveduta, nella sua omniscienza) del fedele sia esaudita.

Accade anche che, nata e sviluppatasi la rappresentazione religiosa, l’uomo finisce per mettere sotto la protezione del dio l’atto stesso che dipende da lui: selvaggio, ad esempio, può cominciare dall’invocare il suo dio nell’atto stesso in cui tende l’arco (atto che, dipendendo da lui, è inizialmente fuori dell’orbita religiosa). Ma il fatto che, pur invocando il dio, il selvaggio cerca di tender l’arco nel modo più conveniente possibile, sfruttando i determinismi naturali meglio che può, dimostra che la rappresentazione religiosa, se si sovrappone all’atto tecnico, non lo sostituisce, non lo rende inutile. Il selvaggio, prima di scagliare la freccia, può implorare il dio, ma non perciò si sente dispensato dal tender l’arco con tutta la diligenza possibile. Anche se egli supplica il suo dio di aiutarlo, finché sì può aiutare, si aiuta da sé: prova che dove il potere umano padroneggia la materia, là non arde al suo massimo la fiamma della religiosità.

Dopo questo discorso, posso correre rapido alla conclusione della mia tesi. Risulterà chiaro ormai perché, con le sue veramente grandiose e straordinarie realizzazioni, le quali hanno dato all’uomo un dominio sulla natura che era follia, nonché sperare, solamente sognare, e più ancora con le speranze illimitate che ha fatto nascere, la Tecnica moderna ha dato un colpo terribile alle vecchie religioni di massa. Intiepiditosi il fuoco che le aveva fatte nascere, queste si erano ridotte ad essere, per il più dei loro fedeli, «centrali» di speranze d’ottenere con la preghiera ciò che lo sforzo dell’uomo era incapace di procurare. Una religione di massa non fu mai, non è, non potrò esser mai altra cosa. Promettendo all’uomo l’onnipotenza, la Tecnica, se non proprio distrutto alla radice, ha fortemente indebolito l’attesa del miracolo, il ricorso alla preghiera.

Ma le cose dello spirito umano non sono mai né semplici né unilineari. Il gioco di azione e di reazione delle sue creazioni è di una complicazione infinita e stranamente delusiva. E la stessa forza che distrugge in un campo, in un altro campo, anzi, spesso, nello stesso campo, edifica. Chi mette in moto una potenza dello spirito, può star sicuro che questa darà, prima o poi, luogo a effetti per lui del tutto impreveduti e inaspettati. Così è della Tecnica. Essa ha scrollato dalle fondamenta i templi delle vecchie religioni. Ma ha anche preparato il terreno ai nuovi templi che ne prendono il posto. E, per quanto mi sembra, agendo in doppia direzione.

Come ho spiegato altrove, la Religione, nel senso stretto della parola, sorge quando la fantasia dà un volto e un nome, personalizza e umanizza, le potenze rivelate dall’emozione numinosa. Dando all’uomo la persuasione che la Natura è nient’altro che un fascio di determinismi inerti, su cui si tratta di metter la mano per piegarli nella direzione che ci piace, che dietro le leggi non ci sono dèi che stian lì per ascoltare l’uomo ed esaudirne le preghiere, la Tecnica ha dato un colpo alle vecchie religioni. Ma per ciò stesso ha messo in libertà, allo stato puro, l’emozione numinosa che le vecchie religioni avevano captata e addomesticata. Rimesso in libertà, il bisogno numinoso si è cercato nuovi oggetti adeguati. E li ha trovati nella Classe, nella Patria, nella Nazione, nella Razza, nello Stato. Sono questi gli oggetti di fronte ai quali l’uomo d’oggi prova, allo stato puro, l’emozione numinosa dell’adorazione e del tremore, della paura e della fascinazione. Di fronte a questi oggetti l’uomo non prega, ma soltanto adora e teme. La Tecnica, dispensandolo dal pregare, gli ha permesso di gustare allo stato puro le inebbrianti emozioni della numinosità, e di dare sfogo al suo bisogno di adorare e di sacrificarsi.

Tra questi nuovi oggetti numinosi, tra questi nuovi Numi, c’è, oltre quelli sopra nominati, la Tecnica stessa. Che la Tecnica, e la Macchina, figlia della Tecnica, siano oggi, per molti, per paesi interi, come la Russia e l’America, oggetti di emozione numinosa, nel senso più stretto della parola, è cosa fuori dubbio. Liberato dalla Tecnica, il sentimento numinoso investe la Tecnica stessa. Si ha così la religione della Tecnica e della Macchina. È vero che, per molti, la Tecnica e la Macchina, con le speranze illimitate che han fatto nascere e con le catastrofi che hanno accumulato, e più ancora minacciano di accumulare sull’umanità, che se ne è fatta tentare, sono il vero e proprio Satana dei nostri tempi. Ma l’emozione che si prova di fronte a Satana è, sia pure a rovescio, emozione numinosa anch’essa. Satana è, si, l’antidio, ma anche l’antidio è, a modo suo, un dio, e, in ogni caso, non è certo un personaggio profano.

Ultima osservazione. Mentre le vecchie religioni, ricacciate nell’ombra dalla Tecnica e dalle nuove religioni che la Tecnica ha aiutate a nascere, si fanno piccole davanti alla Tecnica e cercano di allearsela, e protestano di non veder nulla di male nei trionfi della Tecnica, sono invece le nuove religioni, o almeno alcune di esse, cui la Tecnica ha aperto la strada, quelle che tentano con ogni potere di soffocare nell’uomo, se non la Tecnica, la religione della Tecnica. Non solo per la naturale concorrenza fra religioni nuove e rivali, ancora in tutto l’impeto della gioventù e non ancora persuase, dalla vecchiezza e dalle delusioni, alla pratica della tolleranza, ma per l’intrinseca contraddizione ch’è tra esse e la religione della Tecnica.

La Tecnica è di sua natura futuristica, antitradizionalista, universalistica. E le religioni del dopoguerra sono, al contrario, esaltatrici del passato e delle tradizioni storiche e di ciò che tende a confermare ogni popolo, razza e nazione nella sua particolarità individuale. Per le necessità della lotta e della propaganda, queste nuove religioni si servono volentieri della Tecnica, e senza di essa non avrebbero potuto trionfare. Ma esse mirano a tenere la Tecnica in posizione subordinata e servile, e a impedirle di sublimarsi in religione. É che sentono benissimo che il giorno in cui la religione della Tecnica trionfasse sul serio, in cui nell’uomo diventasse prevalente il Fanatismo della Tecnica, alle religioni della Nazione, della Razza, della Patria mancherebbe il terreno sotto i piedi. Forse i nostri figli o nipoti vedranno una guerra di religione tra la Tecnica, da una parte, e quegli altri dèi, dall’altra.

Questi sono i rapporti tra i Numi del dopoguerra. Come si vede, non sono né semplici né facili né cordiali. Proprio come i rapporti fra gli uomini di una volta e come i rapporti fra gli uomini di una, volta, di oggi e di sempre.

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