“Il demone della frivolezza” di Giuseppe Scaraffia è un dizionario erudito e spassoso. Propone tanti aneddoti su scrittori come Simenon, Virginia Woolf, Hugo, Stendhal, Zola, D’Annunzio, Sartre, Gide, Fitzgerald e molti altri. Grande spazio trovano, ovviamente, l’amore e il sesso…

Fu Anthony Burgess, non certo uno spiritosone, a sostenere che i contemporanei sono «posseduti dal demone della frivolezza»: detto fatto, Giuseppe Scaraffia (nella foto sotto, ndr) ci ha ricamato sopra un libro, un dizionario garrulo ed erudito di sentimenti, situazioni, soggetti e oggetti, al fine di «distinguere nelle loro voci, apparentemente frivole, la litania della nostra epoca e il rumore di fondo del passato».

Giuseppe Scaraffia

Intitolato appunto Il demone della frivolezza, edito qualche mese fa da Sellerio e organizzato rigorosamente in ordine alfabetico, il catalogo è questo: dalla A di «Anello» alla V di «Vestaglia», zigzagando per «Cappotti, Ombrelli, Capelli, Scarpe, Profumi, Sci, Sigari e Sederi». Protagonista di questa spassosa abbuffata di aneddoti è sempre il demi-monde letterario e artistico, immortalato nella Parigi di metà Ottocento o nella New York del primo Novecento.

il demone della frivolezza

C’è Mérimée inanellato, sul cui gioiello aveva fatto incidere il monito «Ricordati di diffidare»; c’è Dumas col suo bicchierino di assenzio mattutino, senza il quale la giornata non poteva cominciare; ci sono le «Corna preventive» di D.H. Lawrence o i «Pettegolezzi» manipolati da Colette, e poi tante «Buone maniere», vizi e vezzi di una società dorata quanto nevrotica e claustrofobica, in cui il bon ton è solo un modo subdolo di «tenere a distanza gli altri» e la buona educazione è la prima virtù da coltivare, come insegna l’efferato Casanova.

Spesso questi urticanti figurini battono in eccentricità i personaggi delle loro stesse finzioni – romanzi, musiche o dipinti che siano: chiunque si atteggia a «Gentleman», interessandosi «solo alle cause perse» e «non mostrando alcuna emozione», ma sotto sotto cova l’anima biforcuta di un pettegolo qualsiasi, vedi i ciarlieri fratelli Goncourt o i compagni di merende di Virginia Woolf, alias Bloomsbury Group.

Virginia Woolf

Alla corte della frivolezza si assiepano individui dissoluti e depressi, ma anche gente iperattiva e sportiva, che nuota per diporto e spara per diletto. «Chi è senza amore invece vive nei caffè» e i perdigiorno, «mammoni» della prima ora come Leo Longanesi, affollano gli alberghi di lusso, i «Grand Hotel», che sono soprattutto italiani, al contrario delle «Lolite» che parlano spesso tedesco: chissà perché in Austria si concentra il maggior numero di pervertiti, da Kraus a Wittels ad Altenberg

Tra le patologie l’alcolismo resta tuttavia la più diffusa: Simenon, ad esempio, ebbe la sfacciataggine di presentarsi a un veglione di «Capodanno» già bevuto. Si imbucò a una festa a casa di conoscenti, sperando di trovare «un’orgia di artisti», mentre invece si stava allestendo un innocuo e noioso cenone. Gli ci volle tutto il pasto per riprendersi dai fumi dell’alcol, poi finalmente riuscì a flirtare con una ragazzina grigio-vestita, recitandole poesie. La sventurata rispose, pigliandoselo tempo dopo come marito.

Georges Simenon

Alle relazioni sentimentali sono qui dedicate ampie dissertazioni, sia sul «Corteggiamento» sia sulle «Dichiarazioni d’Amore»: tra queste ultime, fulminante, straordinaria fu quella di André Malraux a Clara. «Cosa fai quest’estate?», chiese lui a lei. «Torno in Italia», ribatté lei. «Bene, ti accompagno», fine della dichiarazione e pure del corteggiamento. Di poche parole, e stitici sentimenti, era pure l’algida Contessa di Castiglione, che andava ripetendo: «Più vedo gli uomini e più amo i cani».

Francis Scott Fitzgerald

Ma sono i capitoli sulle liaisons dangereuses il pepe rosa della raccolta, dalla «Fellatio» alle «Corna», dai «Flirt» ai «Tradimenti», in cui resta invischiato un nutrito gruppo di letterati, quali Hugo, Stendhal, Zola, D’Annunzio, Sartre, Gide… e i proverbiali Fitzgerald, che «quando attaccavano con la storia del tradimento, gli amici sospiravano rassegnati». Di «Cornuti» ce n’è di tutti i tipi e per tutti i gusti, dal «Cornuto Quietista, pronto a chiudere un occhio», ai «Cornuti Reciproci», da quello «Recalcitrante» a quello «Stregato».

Benjamin Disraeli

La coppa del marpione va, invece, a Benjamin Disraeli, novello Riccardo III, che riuscì a intortare la regina Vittoria «parlandole del defunto consorte», mentre la regina delle gattemorte si conferma Lou Salomé, che ammaliò tutti (Nietzsche, Freud, Rée…) e tutti lasciò a bocca asciutta. Onnipresente è, infine, Romain Gary, un prezzemolo quando si parla di seduzione e sesso, non si sa se prezzemolato: in un capitolo concupisce la segretaria Odette, in un altro fa lo spocchioso con la futura prima moglie, Lesley Blanch, che è costretta a parlargli in russo pur di conquistarlo. Gary non poteva poi mancare nell’ultimo, frivolo capitolo; è con la sua «Vestaglia rossa» che si chiude il libro: lo scrittore la comprò pochi giorni prima del suicidio perché quella foggia leggera e quel colore fiammante «attenuassero l’effetto del sangue». Solo agghindato in abito rosso-inferno poté uscire di scena il Demone della frivolezza.


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