ilLibraio.it ha analizzato tre romanzi dai tratti distopici usciti di recente: “Anna” di Ammaniti, “Tenero & violento” di Thirlwell (e ha parlato con l’autore inglese) e “Liberal” di Sortino – L’approfondimento

Tre romanzi di fresca pubblicazione (maggio, settembre e ottobre 2015) e tutti e tre raccontano in maniera più o meno consapevole forme diverse di distopia, una visione del futuro contraria a quella ideale e rassicurante dell’utopia. Si tratta di Liberal di Paolo Sortino (il Saggiatore), Tenero & violento di Adam Thirlwell (Guanda) e Anna di Niccolò Ammaniti (Einaudi). Ma da dove nasce questo genere letterario (che non è certo un’invenzione recente)?

PADRI NOBILI E CARATTERISTICHE DEL GENERE DISTOPICO

Il genere distopico ha diversi padri nobili nel Novecento: da Aldous Huxley e il suo Mondo nuovo a George Orwell con 1984  passando per Anthony BurgessUn’arancia a orologeria, alla base del film cult di Stanley Kubric, Arancia meccanica; fino alle declinazioni più recenti come Cosmopolis di Don DeLillo (“il topo diventerà l’unità monetaria”) e La strada di Cormac McCarthy. Senza dimenticare Sottomissione di Michel Houellebecq, di cui si parla molto dopo i tragici attentati di Parigi.

E nella narrativa young adult la distopia è la nuova faccia del fantasy, riscuotendo successo e stuzzicando l’estro anche di numerosi autori italiani per ragazzi. Dagli Hunger Games di Suzanne Collins divenuti saga cinematografica a Fever, trilogia di Dee Shulman, passando per Il dominio del fuoco di Sabaa Tahir, fino alle prove nostrane di Beatrice Masini con il suo Bambini nel bosco  (Fanucci) e di Guido Sgardoli con The frozen boy (San Paolo).

Attraverso la distopia, questi romanzi offrono immagini del futuro diametralmente opposte all’utopia, al mondo ideale sognato da Tommaso Moro. Tratteggiano mondi post-apocalittici in cui i sopravvissuti lottano con loro stessi per ritrovare ragioni di vita e di speranza a cui aggrapparsi oppure combattono poteri oppressivi e totalitari, o ancora cercano in violenza ed esperienze estreme una via di fuga da una società che non sembra riconoscere loro un futuro. Cavalcano così le ansie di un presente avverso, retto dalle angosce di incombenti calamità, dalle incertezze del domani e dall’evoluzione tecnologica incontrollabile.

VISIONI DI UN FUTURO SOSPESO

Quelle dei tre romanzi di Thirlwell, Ammaniti e Sortino sono visioni di un futuro sospeso oppure circoscritto a una data troppo vicina per risultare verosimile (il 2020) eppure tutte permeate da una crisi, da una frattura, persino da un virus letale che, estremizzando vizi molto contemporanei come l’incapacità di assumersi responsabilità e di avere fiducia in un orizzonte di valori che pare in declino, mette in discussione l’oggi e il domani. In un tale contesto, però, il desiderio di riscatto non svanisce. Perché, come scrive Niccolò Ammaniti a proposito della protagonista del suo ultimo romanzo, ai vertici delle classifiche:

“Anna, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri del pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere. Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne. Bisogna andare avanti, senza guardarsi indietro, perché l’energia che ci pervade non possiamo controllarla, e anche disperati, menomati, ciechi continuiamo a nutrirci, a dormire, a nuotare contrastando il gorgo che ci tira giù”.

SICILIA APOCALITTICA E BAMBINI BLU NELL’ANNA DI AMMANITI

Anna Niccolò Ammaniti

Altro che acqua, manca nella Sicilia apocalittica, puntellata di scheletri – umani e abitativi – e di cani randagi in cui si muove la tredicenne Anna Salemi, affiancata, almeno all’inizio, dal fratellino di quattro anni Astor, dal cane maremmano che da Manson (come Charles Manson) viene ribattezzato Cucciolone e da un ragazzino incontrato lunga la strada, Pietro, alla ricerca di quel modello di scarpe sportive che potrebbe salvarli tutti. Siamo nel 2020 e un terribile virus, ribattezzato “la Rossa” mina la sopravvivenza dell’umanità. Gli adulti, ma anche coloro che si avvicinano all’età della pubertà, ne vengono colpiti e i bambini blu spadroneggiano tra riti propiziatori e fantocci giganti costituti dalle ossa di coloro che non ce l’hanno fatta. L’incipit della Parte Seconda del romanzo di Ammaniti pare una sintesi perfetta dell’avventura che la piccola protagonista dovrà affrontare.

“Anna Salemi decise di andare a cercare i bambini blu. Se avesse trovato loro, avrebbe trovato anche suo fratello. L’idea che fosse morto non la sfiorò nemmeno. Lasciò il Podere del gelso il 30 ottobre 2020 per non farci più ritorno. Nello zaino aveva una torcia elettrica, un accendino, il quaderno delle Cose Importanti avvolto in una felpa verde, un coltello da cucina e il femore destro di sua madre”.

La madre di Anna è sempre con lei, fisicamente e nelle parole, grazie a quel quaderno delle Cose Importanti che è un vademecum alla sopravvivenza e al contempo un compendio di ciò che conta nella vita. E chi meglio di bambini e ragazzini, cari ad Ammaniti da Io non ho paura a Io e te, può rappresentare quell’energia incontrollabile che, nonostante difficoltà e menomazioni della nostra contemporaneità, non si arrende e spera ancora. A differenza degli adulti, incapaci di evolversi, di immaginare e costruire un futuro diverso e così destinati a deperire.

THIRLWELL, LA DISTOPIA COME ESPRESSIONE DELLA CRISI

Tenero e violento

Se con Ammaniti la componente distopica è palese (scenario apocalittico, virus letali, bambini blu unici sopravvissuti), nel romanzo di Adam Thirlwell Tenero & violento la distopia è il contraltare ai comportamenti e alla vita del protagonista che, non a caso, in più occasioni si definisce “utopista e libertino”. E non a caso un capitolo del romanzo si intitola “Utopia”. Intervistato da ilLibraio.it, il 37enne scrittore inglese, autore di Politics e La fuga, osannato da Milan Kundera e Jeffrey Eugenides, ha definito questa nuova opera, un romanzo della crisi, che nasce dalla crisi”. E infatti il protagonista decide di lasciare il lavoro come broker finanziario per inseguire un’indefinita velleità artistica e con la moglie Candy torna a vivere a casa dei genitori. Sembra non gli importi di assumersi le proprie responsabilità, né di diventare davvero adulto. Accompagnato da un perenne senso di indolenza, per combattere la noia (“Cosa c’è di peggio dell’ennui?” si domanda) si lascia tentare dal sesso extraconiugale, non disdegnando orge e droghe di ogni tipo insieme all’amico Hiro.

Guardandomi intorno, le vite dei miei amici erano improntate su queste cose – ci confessa Thirlwell a proposito dell’ispirazione di questo personaggio – i miei amici tornavano a vivere dai genitori e lasciavano la famiglia originaria anche a causa delle difficoltà economiche. In un certo senso questo è un romanzo della crisi, che nasce dalla crisi. Ecco che allora emergono le figure di queste persone che vogliono rimanere bambini, teenager più a lungo possibile”.

Il tutto è ambientato in un futuro imprecisato in una megalopoli tropicalizzata“, dove si parla un inglese contaminato da yiddish, portoghese e cinese (e per la contaminazione dei registri Thirlwell ci confessa di essersi ispirato a un saggio di Pasolini sul linguaggio di Gadda) che è in realtà la Londra delle periferie in cui lo scrittore è cresciuto.

Le periferie sono una sorta di ‘non-luogo’, di ‘senza-luogo’ e un vero romanzo periferico non poteva avere una connotazione geografica specifica. E poi i miei personaggi sono sempre stati utopici: hanno sempre espresso ambizioni che non si realizzano mai. Ma ci sono anche diversi elementi che richiamano la distopia, proprio perché il mio romanzo sembra ambientato in un futuro potenziale e non nel presente ed è così globalizzato che non è più riconoscibile. Forse l’aspetto distopico maggiore sta nel fatto che tutte le speranze vengono sconfitte: speranza sociale e morale. Alla fine però una speranza sopravvive, perché, anche se le utopie vengono frantumate, non lo sono mai completamente”.

E persino il riferimento iniziale a sangue e violenza, nella sua forzatura, passa in secondo piano rispetto alla condotta a dir poco libertina dell’io narrante. “Mi interessava la confusione tra queste diverse immoralità – spiega Thirlwell – tra questa violenza che è piuttosto irreale, all’insieme di bugie e tradimenti che invece sono totalmente reali”.

Slancio utopico e persino edonistico (“in ogni cosa che facevo volevo la felicità a tutti i costi” afferma il protagonista) in un contesto dai tratti distopici.

Ma perché oggi la distopia, nelle sue diverse espressioni, più o meno consapevoli, è così diffusa nei romanzi contemporanei? La risposta ce la dà l’autore inglese: Forse perché c’è una discrasia tra speranza e disperazione. Forse per il fatto che tanti vecchi modelli in cui vivevamo e che si credeva sarebbero durati in eterno, invece non funzionano più. Penso a quando andavo all’università. In quel periodo credevo di vivere in un mondo tutto sommato pacifico e poi è arrivato l’11 settembre e un decennio di caos totale. Quindi la mia generazione vive un momento distopico perché il futuro atteso scompare. A un certo punto non c’è più. E anche nel mio libro il futuro viene sottratto al protagonista che non sa come comportarsi”.

SORTINO, LA CADUTA DEGLI (I)DE(AL)I E IL TRIONFO DEI PIXEL

Paolo Sortino Liberal

Frantumazione delle utopie e dei vecchi modelli, incluse le ideologie. È in questa accezione che si può scorgere l’anima distopica di Liberal di Paolo Sortino, il giovane autore romano di uno degli esordi letterari più promettenti degli ultimi anni con Elisabeth (Einaudi, 2011). Ed estimatore di Thirlwell cui dice di ispirarsi.

In un contesto in cui il tempo è quello scandito dalle batterie della Canon Legria, la videocamera del regista Teresio, mentre lo spazio è quello di una grande villa toscana isolata immersa nel verde, va in scena, nella sua unità di tempo e luogo, una tragedia post-moderna. “Si tratta di girare un’opera umana” dichiara Teresio che insieme all’assistente Diego e a un gruppo di attori dai corpi lucidi e dai sorrisi di porcellana, reclutati in ogni parte del mondo, occupano la nobile dimora di una donna di mezza età, Sandra per lavorare a un film di cui lei è involontaria protagonista nonché vittima. Il vero obiettivo della troupe è quello di mostrare a questa fiera borghese, sospesa tra Madame Bovary e George Elliot, che la sua epoca e la sua cultura sono al tramonto e che dovrà rinascere, ed essere battezzata figlia dell’Oggi. Il tutto raccontato attraverso la lente corrosiva della videocamera di Teresio.

“Perché si frantumi questa piazzola medioevale è sufficiente che io la osservi nel display della mia Canon Legria – nello sportellino che lascio aperto, per sfregio, senza registrare: i quasi otto secoli della villa sgranano in pixel ogni secondo che passa. Tutta la storia, tutto il paesaggio sono assorbiti da questo buco nero di circuiti elettronici”.

Il dispositivo tecnologico diventa un’estensione distopica di Teresio, la sua arma per ridurre la vita di una donna e del sistema di valori che ella rappresenta a un insieme di byte neutralizzabili con un clic:

“Ancora un quarto d’ora, il tempo che arrivino alla villa e scivolino dentro, e la vita di Sandra non sarà altro che la piccola quantità di byte in cui la trasformerò; il suo ricordo la poca memoria che occuperò sul mio tablet. Non sarà nemmeno più un personaggio, perché non è questione di creare un’opera d’arte, bensì qualcosa di irriducibile, che però anche in quanto tale io possa decidere di estinguere con un clic quando voglio. Si tratta di rendere volatile la vita di un altro. Facile da disperdere”.

In questo caso la videocamera è una sorta di protesi che vince sul corpo:

“La sofferenza ferma l’io al corpo facendone un non-oltre, un confine che l’esperienza non riesce a negoziare. Eppure il mondo attuale è riuscito a superare questo vincolo. La tecnologia ha vinto sulla carne, presto vincerà sulla morte. Spingendoci oltre i limiti comandati dal dolore possiamo finalmente affacciarci fuori di noi stessi. Abbiamo smesso di cadere. Non cade Pistorius. Può darsi che i suoi siano i piedi alati di un dio minore, ma è un dio che conosce il vero essere umano”.

E non sembra importare a Teresio che “Pistorius è un assassino” come commenta Sandra incautamente. Il mondo della donna è sovvertito e lei è destinata a soccombere, costretta a un’apocalisse fatta di pixel e al regime totalitario di una macchina da presa.

Forma contemporanea di una distopia narrativa che, come con Ammaniti e Thirlwell, attraverso l’esasperazione del presente e la sua proiezione in un futuro indefinito porta a interrogarsi su ciò che oggi dovremmo imparare a non sottovalutare.

 

 

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