Hermann Hesse è uno dei più celebri scrittori tedeschi: convinto pacifista e appassionato orientalista, ha vinto il Premio Nobel grazie a capolavori come “Siddharta” e “Narciso e Boccadoro” – L’approfondimento sui suoi libri

Hermann Hesse è stato considerato, ancora in vita, un guru dalla maggior parte dei suoi lettori, abituati a scrivergli e richiedergli aiuto e consigli per far fronte a problemi di ogni sorta. Così lo scrittore, che all’epoca si era ormai da diverso tempo ritirato a Montagnola, nel Canton Ticino, passava le sue giornate a rispondere agli appassionati, lamentandosi con amici e parenti di non avere più tempo per scrivere altro e di sentirsi sommerso da crucci non suoi. Uno strano destino per un uomo che, intimamente turbato, aveva passato la vita cercando di allontanare il più possibile da sé le intemperanze degli uomini.

Il giovane Hermann Hesse e il peso della religione

Nato il 2 luglio 1877 in Germania da genitori pietisti, Hesse era sempre vissuto in un clima religioso e oppressivo, in cui l’unica boccata d’aria sembrava provenire dal nonno, missionario pietista in India e con una vasta biblioteca di letteratura orientale. Il giovane Hesse, che pure, come testimoniano i successivi capolavori, tra cui ad esempio Narciso e Boccadoro (del 1930), ha sempre sentito una forte tensione spirituale, non ha tuttavia mai compreso la religione degli uomini: le grandi chiese, che pure gli incutevano rispetto, erano per lui il simulacro di un potere che come ogni cosa umana era inevitabilmente macchiato da sangue, violenze e dolori. Quando i genitori provano a mandarlo in seminario Hesse non resiste più di pochi mesi: fugge, tenta il suicidio (un suicidio che non avviene solo perché la pistola che utilizza si inceppa), fa capire che l’ordine degli uomini e gli studi teologici lo ingabbiano.

Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse

Ovviamente quella di Hermann Hesse non è solo ribellione, ma il sintomo di una profonda depressione che lo accompagnerà per sempre e che, negli anni giovanili, per lungo tempo gli impedisce di dare una direzione definita alla propria vita. Nonostante voglia lavorare in libreria, il primo apprendistato non dura, come l’esperienza in seminario, che pochi mesi: dopo un altro crollo psicologico e un periodo di cura, Hesse si trasferisce definitivamente a Tubinga per un nuovo apprendistato. Quello di libraio, prima a Tubinga dunque a Basilea, è l’unico lavoro a contatto con altre persone che farà in tutta la sua vita: presto capisce di voler essere uno scrittore e da allora la sua vita sarà organizzata e orientata per quello scopo.

Uno scrittore tormentato: dall’Oriente alla terapia con Jung

Inizialmente, Hesse tenta di perseguire una vita borghese e stanziale, che però gli sta inevitabilmente stretta. Dopo un viaggio verso l’India (in cui non raggiungerà mai la meta, ma attraverserà lo Sri Lanka, l’isola di Sumatra e la Malesia) decide allora di cambiare i suoi piani: abbandona la prima moglie, malata di schizofrenia, e i figli, che vengono dati in affidamento. Il periodo orientale, in ogni caso, avrà grande influenza nell’opera di Hesse, riflettendosi nel suo libro più amato, Siddharta, del 1922.

Il romanzo Siddharta

Hesse, scegliendo la Svizzera come luogo del cuore e della mente, alterna la solitudine a nuovi legami coniugali (avrà altre due mogli) e, come la sua vita matrimoniale, anche quella psichica è un’altalena. Fortemente depresso – le sue cupe riflessioni vengono riportate nel Lupo della steppa, romanzo del 1927 – Hesse entra ed esce da periodi di crisi, riportando qualche beneficio soltanto dall’analisi sostenuta nel 1919 con Jung, di cui anni dopo diverrà caro amico e che nella sua tecnica psicoanalitica inserisce svariati elementi orientali, tanto cari all’immaginario di Hesse. Tra i tentativi di riacquistare un equilibrio emotivo, è famoso il ritiro di Hesse in una comunità vegetariana ticinese, dove però lo scrittore resta deluso dalla scarsa spiritualità di chi ci vive.

Un convinto pacifista

Nonostante la sua propensione alla solitudine e all’introspezione – o forse proprio a causa di questo –, Hermann Hesse si è sempre distinto per un manifesto pacifismo. Durante la Prima guerra mondiale, Hesse si adopera per i prigionieri tedeschi raccogliendo per loro, tra le altre cose, una gran quantità di libri. Mantiene lo stesso atteggiamento durante la Seconda guerra mondiale e, in generale, durante tutto il regime nazista, criticando duramente le deportazioni degli ebrei. Paradossalmente i suoi romanzi vengono in un primo momento apprezzati dalla popolazione tedesca (e lodati persino da Goebbels), ma lo scrittore finirà in seguito nelle liste di proscrizione a causa del rifiuto di operare le censure richieste dal regime.

Il lupo della steppa, di Hesse

Se il timore, a guerra terminata, di non essere riabilitato come scrittore è forte, arriva il Premio Nobel a sfatarlo: è il 1946. Nello stesso periodo il suo libro più programmatico, Il giuoco delle perle di vetro, ottiene un grande successo. Troviamo così, al termine della sua carriera, Herman Hesse ritirato nel Canton Ticino (dove resta fino alla morte, avvenuta il 9 agosto 1962), accompagnato nella sua solitudine dalla terza e ultima moglie e dai cari amici che di tanto in tanto vanno a trovarlo. Nonostante molti anni siano trascorsi, Hesse continua a soffrire di depressione, che scaccia ripulendo le sue aiuole dalle erbacce: un lavoro ripetitivo, destinato al fallimento davanti alla tenacia della natura, ma che nelle lunghe giornate svizzere occupa le mani e lascia la mente libera di vagare. Quando non è impegnato in giardino, Hesse dipinge le montagne che lo circondano con colori allegri e un tratto ingenuo e, come un vecchio saggio, risponde alle centinaia di lettere che ogni settimana gli arrivano, dispensando consigli per lenire i piccoli e grandi dolori della vita quotidiana dei suoi lettori.

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