Torna nelle librerie italiane David Bezmozgis (su ilLibraio.it un estratto): il protagonista de “I traditori” è il ministro del commercio dello Stato d’Israele, un “falco” che si oppone alla linea del governo che ha ordinato il ritiro dei coloni dai territori occupati…

David Bezmozgis, classe ’73, nato a Riga, in Lettonia,  vive in Canada, e nel 2010 è stato inserito dal New Yorker nella lista dei venti migliori scrittori americani under 40. Il suo primo libro, la raccolta di racconti Natasha (Guanda, 2005), ha ottenuto il Commonwealth Writers’ Prize. Grandi riconoscimenti ha ricevuto anche il suo primo romanzo, Il mondo libero (Guanda, 2012). E ora arriva nelle librerie italiane, sempre per Guanda, I traditori, con cui Bezmozgis ha vinto il National Jewish Book Award ed è stato indicato come miglior libro del 2014 da Wall Street Journal, New Yorker e New York Times Book Review.

La trama? Baruch Kotler è il ministro del commercio dello Stato d’Israele, un “falco” che si oppone alla linea del governo che ha ordinato il ritiro dei coloni dai territori occupati. Per ridurlo a più miti consigli, il primo ministro minaccia di diffondere le foto che lo ritraggono insieme alla giovane amante Leora. Ma Kotler, con il suo passato da dissidente nell’Unione Sovietica di Breznev che gli è costato quindici anni di gulag, non è uomo da piegarsi ai ricatti. A costo di rischiare la fine del suo matrimonio con la devota Miriam, – che in gioventù ha diviso con lui a Mosca i primi entusiasmi per il sionismo e ha lottato durante la sua prigionia -,e di esporre allo scandalo per i suoi figli, Dafna e Benzion, quest’ultimo soldato dell’esercito israeliano. Per sottrarre se stesso e la giovane amante alla gogna mediatica, Kotler fugge a Yalta, in Crimea. Qui, un incontro a sorpresa lo attende: quello con l’uomo che lo denunciò al KGB e che lo fece mandare nel gulag. Questi, che ora si fa chiamare Tarasov, è un uomo malato, che vorrebbe solo essere perdonato per il suo tradimento…

Su ilLibraio.it il primo capitolo del romanzo
(per gentile concessione di Guanda)

Asilo

1

Mentre si svolgeva l’ennesimo grande dramma della sua vita e il giudizio di Dio si abbatteva sui monti della Giudea, Baruch Kotler sedeva a mille chilometri di distanza, nell’atrio di un hotel di Jalta, e osservava la sua giovane amante strapazzare la receptionist, una bionda carina che resisteva all’attacco con aria inflessibile, cocciuta. Un’aria tipicamente russa, pensò Kotler. L’espressione scontrosa e sprezzante con cui i russi avevano accolto tutti i loro invasori e che denotava l’irrazionale, infausto rifiuto di capitolare, orgoglio e flagello di quel popolo. L’insistenza di Leora nel discutere con la ragazza dimostrava che era figlia di un’altra cultura. In Israele, paese notoriamente ostinato, si può litigare come passatempo, a volte per il solo piacere di farlo, a volte con uno scopo. Ma questa predilezione levantina per le dispute non serviva a nulla in un albergo della Crimea in alta stagione. Erano cambiate molte cose, osservò Kotler: l’esistenza stessa di quel l’hotel e di alcuni altri ugualmente moderni; i turisti vestiti alla moda occidentale, le loro pose sfacciate, supponenti, chiassose, figlie della ricchezza; tutte testimonianze evidenti di progresso e prosperità, ma la sostanza, ciò che conta, era quella di sempre. Bastava guardare il viso della ragazza russa. La mentalità di un popolo, quel nucleo duro, misterioso, primitivo, si oppone al cambiamento. Tuttavia, sostenere un tale concetto era ormai considerato una provocazione, ed era stato proprio quel tipo di pensiero provocatorio ad averlo gettato nel pasticcio in cui si trovava, pensò Kotler con amarezza, ma anche con un tocco di ironico compiacimento.

Leora si voltò di scatto dal banco della reception e si avviò a grandi passi verso Kotler. Lui la guardò avvicinarsi, un’energica ragazza ebrea, i ricci scuri che ondeggiavano, gli occhi neri furiosi di indignazione, la figura solida, compatta, che trasudava insofferenza. Avrebbero potuto dare l’idea, a chi li guardasse, di una figlia diligente in vacanza con il padre. Non era anche quello un cambiamento, il numero sempre crescente di padri e figlie che trascorrevano le ferie insieme?

« La stronza dice che non le risulta la nostra prenotazione » dichiarò Leora. « Una bugia bella e buona. Ero tentata di rivelarle con chi aveva a che fare. »

« Sono sicuro che sarebbe rimasta profondamente colpita. »

« Non sminuirei in questo modo la tua importanza. »

« Be’, non è un’accusa che mi hanno rivolto spesso » fece Kotler.

« Non lo trovo affatto divertente. »

« Va bene, Leora, cosa proponi di fare? Scrivere una lettera aperta, dichiarare uno sciopero della fame? »

Trainando una valigia ciascuno, uscirono dal fresco dell’atrio in marmo alla luce abbagliante del lungomare. Camuffato con un Borsalino bianco e un paio di occhiali da sole, Kotler guardò con le palpebre socchiuse il fluire dei turisti, i camerieri che sfrecciavano fra i tavolini di un caffè poco lontano, i clienti che assediavano le bancarelle di souvenir lungo il muro di pietra. E, un po’ più in là, il mare e i bagnanti che prendevano il sole sulla spiaggia di ciottoli grigi. Era cambiata davvero così tanto?, si domandò. Cinquantatré anni prima, lo spettacolo era davvero molto diverso? Non c’erano gli alberghi moderni, e l’offerta nei caffè e sulle bancarelle di souvenir non era altrettanto ricca, ma c’era comunque quanto bastava per incantare un ragazzino di dieci anni. Kotler ricordava i concerti al l’aperto, le escursioni col padre sulle alture circostanti, le visite alle rovine greche e alla fortezza italiana, e le lunghe, inconcludenti, torride giornate sulla spiaggia. Avevano trascorso un mese intero così, lui e i genitori, la loro unica vacanza insieme. La sola, nell’intreccio della sua storia famigliare, ad aver acquisito un carattere leggendario, idilliaco. Non riuscirono mai a ripeterla. L’estate successiva, sua madre si era presa un terribile spavento per via dell’appendicite; quella dopo ancora, suo padre aveva cambiato lavoro. Dopodiché, ci si erano messe le celebrate ambizioni musicali di Kotler. I suoi genitori avevano deciso che non era il caso di sospendere per troppo tempo le lezioni di pianoforte. Il grande Myron Leventhal aveva accettato di prenderlo con sé e Kotler era andato per la prima volta a Mosca. Dopodiché, fu troppo tardi. C’era sempre qualche altra attività a cui preferiva dedicarsi. Quando non era occupato con lo studio, lo era con gli amici, con le ragazze, e infine con la politica. A ripensarci, considerando come erano andate le loro vite, era stato un vero peccato che non fossero più riusciti a tornare in Crimea.

(continua in libreria…)

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