Torna la rubrica #lettureindimenticabili. Elisabetta Pastore, in libreria con il suo primo romanzo, “Non respirare”, racconta quanto è stato importante per la sua vita lggere “Il gabbiano Jonathan Livingston” di Richard Bach: “Arrivata probabilmente nel tempo in cui doveva arrivare, quella lettura ha avuto un potere, da lì in avanti. Farmi provare, sbagliare, sperimentare, sfidare, scoprire. Desiderare. Svegliando una propensione forse solo sopita a vedere e ascoltare…”

Mi hanno mandata a scuola in anticipo rispetto ai tempi, e ho sempre corso. Come un fulmine. Correvo per non perdere tempo. Derivata di quei leitmotiv da economisti americani che inducono alla credenza che gli uomini sono ciò che fanno, non ciò che sono.

Carriera è stata la parola traino del ventesimo secolo a cavallo con il ventunesimo, periodo corrispondente un po’ al mio post adolescenza.

I convegni e i simposi motivazionali proliferavano a destra e a manca, nelle scuole, nelle università. Inculcavano nei cervelli degli astanti l’idea incessante che una forte motivazione fosse il viatico per raggiungere il prestigio (un obiettivo economico, per lo più), quest’ultimo, riversato nelle nostre menti come una specie di obbligo umano alla stregua di una necessità.

Ricordo in quegli anni, tra tutte, una Milano senza stop. La ‘Milano da bere’, che creava soggezione e ambizione. Il centro dell’economia italiana, con la Borsa alle stelle, che fomentava avidità negli uomini.

Sembravamo il risultato di un disegno altrui che si era imposto preponderantemente in uno stile di vita.

Le donne in carriera portavano ancora i tacchi alti e consumavano sul corso affianco al Duomo i loro pasti veloci, nei quarti d’ora di pausa, per così dire, che si concedevano con il lavoro al seguito.

Tanti uomini d’affari giravano con donne super belle, icone di una perfezione che non appartiene alla vita.

Nessuno si fermava. Era tutto velocissimo, scorreva alla velocità della luce. In modo spaventosamente omogeneo.

Io pure correvo, scorrevo, nel mio microscopico universo.

Era, poi, il 2003. L’università l’avevo terminata da poco. Avevo 23 anni. Ero secca come un fusto, minuta, facevo la conta delle calorie del cibo che ingerivo. Il mio futuro era una cosa già definita. Dall’educazione, dal rigore, dalle convenzioni. Senza interrogativi o intoppi.

Ma, un’amica mi fece un prestito. Un libro (poi mai restituito).

Il gabbiano – più noto al mondo –  Jonathan Livingston. Di Richard Bach.

Certo conoscevo la su fama, ma non avevo ancora letto la sua storia.

Era un racconto. Pulito, semplice, immediato. Con dei disegni in mezzo. Scritto nel 1970 da uno statunitense. Aviatore, prima che scrittore.

Arrivata probabilmente nel tempo in cui doveva arrivare, quella lettura ha avuto un POTERE, da lì in avanti. Farmi provare, sbagliare, sperimentare, sfidare, scoprire. Desiderare. Svegliando una propensione forse solo sopita a vedere e ascoltare.

Piansi non so quanto, leggendo.

La prima frase che sottolineai fu: Per la maggior parte dei gabbiani volare non conta, conta mangiare.

Così, smisi di correre. Presi a seguire un tempo più utile all’apprendimento che all’inseguimento.

Molti altri segni misi su quell’opuscolo. Pari numericamente a quelli che le parole facevano al mio pensiero.

La vicenda del gabbiano che voleva scoprire le cose, oltre il comune, mi regalò il cielo.

E da lì in poi, sono rimasta fottuta.

Perché provando a svelare cosa quel dire significasse realmente, ho scoperto la vita, senza l’ovatta che mi riparava.  E mi è pure venuta voglia di scrivere.

Ho sentito e sento, alle volte, le ali sbrindellate, pesanti come piombo.

Ma pure accade che l’ebbrezza del volo, spazzi la fatica e la desolazione. In un attimo.

A causa di quel libro, sono poi diventata curiosa come i bambini, che per conoscere l’effetto del fuoco devono toccarlo. E a furia di sperimentare, adesso guardo il cielo e sento bene i piedi che toccano il suolo.

Ho inteso che, se non impari nulla, il mondo di poi sarà identico a quello di prima, e avrai anche là le stesse limitazioni che hai qui.

Ma allora qui cosa ci aspetta? Dove andremo? E un posto come il paradiso c’è o non c’è?

No, Jonathan, un posto come quello non c’è. Il paradiso non è mica un luogo. Non si trova nello spazio e neanche nel tempo. Il paradiso è essere perfetti. Raggiungerai il paradiso, quando avrai raggiunto la velocità perfetta. Il che non significa volare alla velocità della luce. Perché qualsiasi numero vedi è un limite, mentre la perfezione non ha limiti. Velocità perfetta, figlio mio, vuol dire solo esserci, essere là.

Tu sèguita a istruirti sull’amore.

LA RUBRICA – Letture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti.Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.

Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, e dopo il successo dell’iniziativa proposta recentemente sui social da ilLibraio.it, #ilLibroPerMe, in occasione della presentazione della ricerca sul rapporto tra lettura e benessere, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

L’AUTRICE – Elisabetta Pastore, pugliese, è nata nel 1980. Fa l’avvocato. Non respirare è il suo primo romanzo, segnalato dal Premio Calvino, e pubblicato nei mesi scorsi da Frassinelli. Il libro è il ritratto della generazione post-tutto: ragazzi in metropoli ostili, obbligati a lottare per se stessi e i propri sentimenti per salvarsi dal precipizio dell’emarginazione economica e morale…

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