Intervista a Glenn Cooper autore di La biblioteca dei morti ISBN:9788842916062

Il romanzo d’esordio di Glenn Cooper, La biblioteca dei morti, ha tutte le carte in regola per colpire e sedurre gli appassionati di thriller. Gran parte della storia è ambientata ai giorni nostri. L’incubo inizia il 22 maggio 2009 quando un giovane banchiere, David Swisher, riceve una cartolina da un destinatario anonimo. Sulla cartolina è indicata una data — 22 maggio — accanto alla quale spicca la macabra immagine di una bara. Potrebbe trattarsi semplicemente di uno scherzo di cattivo gusto, ma quello stesso giorno David Swisher viene ucciso. Nel giro di poche settimane altre persone muoiono in circostanze misteriose dopo aver ricevuto la medesima cartolina. Le autorità si mettono subito a indagare con ogni mezzo sulla catena di omicidi, senza peraltro raggiungere alcun risultato. Il colpevole è inafferrabile e il suo movente oscuro. Ciò che nessuno immagina è il legame esistente tra queste morti e un fatto prodigioso che risale all’anno 777. In quell’epoca lontana i monaci dell’abbazia di Vectis, in Britannia, avevano dato rifugio a un bambino all’apparenza tardo di mente — muto e dall’aria spiritata — ma in possesso di doti straordinarie. Abbiamo intervistato l’autore.

D. Ancor prima di approdare in libreria, il suo libro è diventato un caso: La biblioteca dei morti ha suscitato l’immediato interesse di editori di tutto il mondo. Si aspettava una simile attenzione?

R. No, anche perché in passato avevo scritto numerose sceneggiature, ma soltanto una di queste era stata scelta per un film. Ho una certa abitudine al rifiuto. Quando ho iniziato la stesura del libro, non avevo alcuna aspettativa particolare. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle reazioni positive. Il dato più interessante è che i diritti del romanzo sono stati venduti prima in Europa che in America. La cosa mi ha fatto immenso piacere, perché ho una grande ammirazione per la tradizione europea, che ha saputo sfornare autentici capolavori del genere; mi riferisco a opere complesse come quelle di Umberto Eco e Carlos Ruiz Zafón.

D. L’idea di fondo, ovvero l’ineluttabilità del destino che condiziona in modo decisivo la nostra esistenza, è un elemento vincente e in grado di suscitare paura. Com’è nata l’idea?

R. Ricordo bene il momento in cui, da ragazzo, m’imbattei per la prima volta nel concetto teologico di predestinazione. Devo ammettere che per qualche anno ne rimasi quasi ossessionato. E se l’interpretazione più rigorosa di questo concetto fosse vera e tutto fosse preordinato, compresi il tempo, il luogo e la modalità della morte? Quale mai poteva essere il ruolo del libero arbitrio nello scenario prefigurato? Be’, col passare del tempo mi liberai di questo pensiero fisso. Ma evidentemente non mi abbandonò mai del tutto, se è vero che parecchi anni più tardi diventò lo spunto principale per un thriller.

D. La biblioteca dei morti fa riferimento ai presunti poteri sciamanici che detiene il settimo figlio di un settimo figlio. Si tratta di una sua invenzione o fa parte di una precisa tradizione folclorica?

R. Si tratta di un mito attestato in molte culture. È piuttosto frequente trovare storie costruite sulle doti stregonesche possedute dal settimo figlio di un settimo figlio. Stavo cercando un elemento che contribuisse a circondare la mia storia di un alone di misticismo. La possibilità che nascesse un figlio con quelle caratteristiche proprio il settimo giorno del settimo mese dell’anno 777 mi sembrava foriera di sviluppi narrativi infiniti.

D. Nel suo romanzo il concetto di destino è assolutamente centrale. Ho apprezzato molto l’inserimento di questo tema, già di per sé interessante, in un contesto così ben delineato e terrorizzante. È possibile venire a patti con il destino? È davvero una maledizione conoscere in anticipo la data della propria morte?

R. Da una parte sarebbe terrificante sapere il giorno esatto in cui le lancette del tempo si fermano, segnando la nostra fine. D’altra parte mi è capitato, quando svolgevo l’attività di medico, di imbattermi in malati terminali in grado di riconciliarsi con il loro fato e di provare una sensazione liberatoria, che sfociava nel desiderio di vivere con pienezza ogni istante dei giorni che rimanevano.

D. La storia attraversa diversi piani temporali. Le vicende si svolgono ai giorni nostri, in un passato recente (nel secondo dopoguerra) e nell’alto medioevo. Qual è stato il periodo storico che le ha creato maggiori difficoltà?

R. Sono molto soddisfatto delle pagine ambientate in epoca medievale, anche se mi hanno richiesto un grosso sforzo e un’intensa attività di ricerca. È rischioso offrire al lettore un quadro sommario e superficiale, perché può facilmente risultare inautentico. I dettagli sono importantissimi: gli abiti che indossava la gente, il loro cibo, le loro abitudini.

D. Penso che l’agente speciale Will Piper, protagonista del suo romanzo, sia un personaggio molto originale nel panorama della narrativa di genere. Qual è a suo avviso il tratto saliente di Will?

R. Non mi piace la figura classica dell’eroe, così monolitica e stereotipata; mi riferisco all’uomo d’azione, coraggioso e astuto, che sa sempre dire e fare la cosa giusta al momento giusto. È poco interessante in quanto poco credibile: persone di questo tipo non esistono. Questo discorso vale anche per gli antagonisti, ritratti sempre come creature diaboliche. Will Piper è meravigliosamente imperfetto; le sue azioni possono essere considerate talvolta ammirevoli, altre volte disprezzabili.

D. È già al lavoro su un nuovo libro?

R. Sì. Sono felice di annunciare che La biblioteca dei morti avrà un seguito. S’intitolerà Book of Souls. Ho già terminato la stesura del romanzo — la storia ha inizio diciotto mesi più tardi rispetto agli eventi di questo libro — ed è già in traduzione per le varie edizioni europee del 2010. Ma sto anche lavorando a un nuovo progetto: un thriller che riguarderà una caverna preistorica francese con dipinti rupestri.

Intervista a cura di Marco Marangon

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