Intellettuale felicemente “disorganico”, in quest’intervista, Ermanno Cavazzoni conferma un approccio alla letteratura (e alla vita) molto diverso rispetto a quello di gran parte degli scrittori…

Intellettuale felicemente “disorganico”, Ermanno Cavazzoni, nato a Reggio nell’Emilia nel 1947, è docente di poetica e retorica all’Università di Bologna, ed è autore di libri come Gli scrittori inutili, Guida agli animali fantastici Il limbo delle fantasticazioni. Non solo: Cavazzoni ha collaborato con Federico Fellini al soggetto e alla sceneggiatura del suo ultimo film La voce della luna, ispirato dal romanzo Il poema dei lunatici, dello stesso autore emiliano.

Per parlare della sua idea di letteratura, gli abbiamo posto alcune domande a partire da brani tratti dai suoi stessi libri. Nelle risposte, l’autore de La valle dei ladri ha confermato un approccio molto diverso rispetto a quello di gran parte degli scrittori…

«Come si vede, è una prosa un po’ povera e che va poco lontano; lo scrittore del primo piano però la disponeva in capitoli, uno sopra la verza, uno sulle barbabietole, uno sugli ortolani, in modo fosse un romanzo di formazione, come prescrivono i critici» (da Gli scrittori inutili). In questi anni, a suo parere, c’è ancora bisogno del romanzo di formazione, inteso come «storia esemplare di un’anima in mezzo al marciume che si chiama: la vita»?
“Queste frasi: romanzo di formazione, romanzo mondo ecc. mi danno una tale noia che sono pentito anche solo di averle scritte. Mi viene di maledire anche solo chi le ha inventate. Quindi non ne parliamo, facciamo finta di niente, come non detto, perché anche solo la parola romanzo mi sta sui nervi, quindi riassumendo secondo me non c’è bisogno di niente, nessuna storia di formazione, magari invece c’è bisogno di una minestrina a pranzo e un po’ di verdura la sera, e il pane, di questo c’è bisogno, del pane, magari con una fettina di salame in mezzo, e se uno vuole ne può anche scrivere: Ho fatto un romanzo. Su cosa? Sul pane e salame. Ah! buono”.

«Uno scrittore che non voleva perdere tempo dietro false chimere, diceva che avrebbe scritto dopo che un editore gli avesse garantito il successo» (da Gli scrittori inutili). Al di là del gusto paradossale di molti passi di questa bellissima opera, è inevitabile, secondo Lei, che lo scrittore si preoccupi del mercato editoriale, o dovrebbe scrivere a prescindere dai gusti e dai generi “in voga”?
“Beh, il mercato editoriale non mi preoccupa, che faccia il suo corso, io ne ho abbastanza di soldi da vivere, il mercato editoriale può far quel che vuole, può chiudere e svendere tutto, tanto tra noi amici facciamo circolare gli scritti privatamente o via mail, come ci fosse ancora il nazismo o il regime sovietico, e ci troviamo per leggerli, lo facciamo gratis, per il gusto di starci a ascoltare, ogni tanto saltano fuori cose bellissime, che magari ci denuncerebbero per turpiloquio o offesa grave a un ministro; e se restano inedite chi se ne frega, tanto il momento più bello è mettersi a scriverle”.

«Quel che racconto di Primo Apparuti è tutto vero; lo raccontava lui stesso in manicomio». A proposito di paradossi, tutta la sua raccolta Vite brevi di idioti alimenta il gusto per il capovolgimento del senso comune. Esistono dei limiti all’ironia o si può ridere di qualsiasi aspetto del mondo?
“In questa commedia che è la vita tutto fa ridere, e probabilmente se c’è un dio lassù, o un immenso regista, a lui piacciono solo e si diverte solo con i grandi massacri, le guerre, le pestilenze, l’Aids, la fame nel mondo, le onde anomale dello tsunami, e così via, siamo un grande anfiteatro, appoggiato a una pellicola con la lava incandescente sotto (il che è già una comica), e il gelo siderale sopra la testa, traversato da radiazioni nocive, se va bene campiamo un po’ di anni, poi basta, fine della commedia. Vi sembra una cosa seria? a me no, è tutta una comica, o ben che vada una prova teatrale fatta da principianti incompetenti messi in imbarazzo, che anche se recitano Shakespeare fan ridere; e poi la vera rappresentazione, la prima non ci sarà mai, dunque ci si diverte alle nostre spalle”.

«Come tutti sanno Cesare Lombroso fu uno studioso specificatamente di delinquenti e anormali, ivi compresi gli idioti e gli artisti, caratterizzati da un’analoga malformazione di origine incerta» (da Vite brevi di idioti). Quali aspetti di follia deve avere e preservare un artista?
“Un artista, cioè uno che fa degli artefatti, deve essere serio, logico, deve studiare, conoscere tante cose, gli consiglio di non sposarsi, per non cadere nell’irrazionalità dei bisticci, meglio che stia da solo, che conosca un po’ d’astronomia, di fisica e di chimica, sia modesto, si tenga pulito, e stia lontano dai pazzi, che se sono pazzi veri rovinano chiunque stia loro attorno; se son pazzi finti allora sono solo macchiette che aspirano a finire in tv”.

«Io non so che racconto è questo, o se son degli scherzi» (da Il poema dei lunatici): ha ancora senso che lo scrittore chieda al lettore di sospendere l’incredulità, o ormai deve limitarsi a giocare con “lo sfondamento della quarta parete”?
“Non sono all’altezza della domanda, anche se è meglio non sfondare niente, meglio lasciare le cose così come stanno, anche le pareti, è un consiglio”.

«Alcuni animali […] sono più fantastici e favolosi degli altri, perché aggiungono alla loro enorme distanza mentale o alla fuggevolezza, il fatto che inoltre sono inesistenti» (dall’introduzione a Guida agli animali fantastici). L’invenzione fantastica, negli ultimi anni, ha colonizzato videogiochi, film, serie tv, giochi di ruolo: pensa che anche la letteratura vivrà una riscoperta del genere?
“Come andranno le cose in futuro non me la sento di prevederlo, perché andranno sempre in un modo diverso, quindi al massimo uno può augurarsi che vadano in un senso a lui favorevole, può solo augurarselo, così, per stare tranquillo, perché tanto non ci prenderà mai, nessuno, neanche gli economisti, i politologi, i sociologi, tirano tutti a caso, per intrattenere il pubblico, come chi legge la mano o fa gli oroscopi”.

«Uno scrittore che inventa deve concepire la storia come fosse di gomma, e se li infila a Milano, ad esempio in metropolitana all’ora di punta, la gente si pigerà un po’ di più, ma un po’ di spazio si trova sempre, perché il mondo fisico della finzione è elastico, e quindi la storia generale non muta» (da Il pensatore solitario). Quanto può innovare uno scrittore di romanzi storici?
“Beh, direi tra lo zero e il cento per cento, quindi considerando la massa di scrittori, dato un tempo infinito e un numero di casi infinito, statisticamente l’innovazione sarà in media del 50 per cento”.

«L’elettronica ha dei vantaggi indubbi, non ne discuto. Ma è sempre più difficile la possibilità di ritirarsi dal mondo per far l’eremita, anzi nel mondo d’oggi è una possibilità non contemplata» (da Il pensatore solitario). È possibile e, soprattutto, è desiderabile per lo scrittore di oggi ritirarsi per fare l’eremita, lontano dai social network e da internet?
“Dipende dal temperamento; c’è chi sta bene in mezzo alle chiacchiere e chi preferisce tacere; c’è chi è sempre al telefono e chi non riceve mai una telefonata. Che cosa è desiderabile? beh, tutte e due le cose, quando uno è stanco di chiacchierare vada a far l’eremita, poi quando è stanco torni a chiacchierare, penso che chiacchierare sia più stancante, quindi dopo 20 minuti uno in genere vuole tornare a far l’eremita, dopo 20 giorni altri 20 minuti di chiacchiere, dopo di che … dopo di che non so più cosa conviene. Magari far l’editore”.

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