“Le mie opere non sono poi tanto separate tra loro, piuttosto sono dei capitoli di un solo grosso lavoro che si evolve nel tempo”, confessa Jonathan Coe, al suo undicesimo romanzo, che ilLibraio.it ha incontrato. Nel corso dell’intervista, spazio a temi come la Brexit, la letteratura britannica contemporanea, le passioni musicali e gli autori italiani (da Eco alla Ferrante)

Jonathan Coe, autore inglese contemporaneo tra i più amati in Italia, è tornato in libreria con Numero 11, il suo undicesimo romanzo, appunto, pubblicato a quasi trent’anni dal suo esordio in patria e a ventuno dall’edizione italiana della Famiglia Winshaw. Undici romanzi tutti editi da Feltrinelli, nei quali la storia recente della Gran Bretagna fa da cornice alle vicende dei personaggi.

Quindici anni fa, con La banda dei brocchi, è arrivata la vera e propria consacrazione dell’autore a simbolo della letteratura inglese contemporanea, ruolo che condivide con altri autori, tra cui Nick Hornby e Julian Barnes, in particolare da noi. Proprio grazie al suo grande successo nel nostro paese e al suo legame coi suoi lettori, lo scrittore ha preso parte all’edizione 2016 del Festivaletteratura di Mantova.

Jonathan Coe

“In Italia, Francia e Grecia, c’è una certa curiosità per la storia del Regno Unito e per questo motivo, forse, in molti leggono i miei libri, che in parte raccontano la storia recente del paese. In realtà non mi so spiegare bene questo fenomeno, ma sono molto grato ai miei lettori italiani, che mi seguono moltissimo e acquistano i miei libri”, così Coe ci ha spiegato il suo successo intervistato da ilLibraio.it.

Parlando di storia recente e di attualità è inevitabile non incappare nel tema Brexit, su cui Coe non si sbilancia molto: “Non sono una persona politica e non scelgo la politica come tema dei miei libri, ma siccome non viviamo nello spazio, ne siamo influenzati. Ognuno di noi segue il proprio percorso personale, si crea come individuo, ma siamo circondati anche da molti elementi, a partire dal web, che influenzano in maniera esponenziale le nostre scelte”. E, nel corso del nostro incontro, continua spiegando che come scrittore “sarebbe strano se ignorassi questo argomento in un libro ambientato ai giorni nostri”. E poi, su Twitter, la sera della sua partenza da Mantova fa trasparire una velata critica.

Jonathan coe

Piuttosto che per certezze e grandi verità, Coe nei suoi libri rappresenta tematiche di grande interesse attraverso l’ironia, che permette di “vedere le cose da più punti di vista, di rappresentare sia il tragico sia il comico”.  Uno strumento importante per l’autore, “perché la realtà non è facile, né lineare, ma complessa e pluridimensionale. Tantissimi eventi accadono in simultanea”. E così, secondo Jonathan Coe, “l’ironia è uno strumento basilare nella cassetta degli attrezzi dello scrittore perché permette di rappresentare la realtà nel modo più fedele…. L’ironia non è solo humor, anche se ne è una parte importante, riguarda la molteplicità”.

Molteplicità che si riflette anche sui significati delle storie, come ci ha confessato l’autore stesso: “Alcuni anni fa pensavo che un romanzo dovesse essere lineare, ora credo sempre di più che debba essere misterioso e ambiguo, nel senso che può dire due o più cose insieme”.

Jonathan Coe

Una complessità, quella dei romanzi di Coe, che nasce non solo dalla trama dei singoli libri, ma dall’intreccio di personaggi che si crea tra un volume e l’altro: non è raro, infatti, che i personaggi minori di un romanzo siano i protagonisti di un libro successivo. L’autore nel tempo ha sviluppato una teoria per spiegare il motivo che lo spinge spesso a legare i suoi romanzi tra loro: “Al mio undicesimo libro ho capito che le mie opere non sono poi tanto separate tra loro, piuttosto sono dei capitoli di un solo grosso lavoro che si evolve nel tempo. Nei vari libri però provo strutture diverse. In Numero 11, ad esempio, ho lasciato molto più spazio alla tradizione orale e ho deciso di accostare cinque storie tra loro davvero poco connesse, cosa che non avevo mai sperimentato prima. Poi, scrivendolo, mi sono accorto che per tematiche è molto simile alla Famiglia Winshaw, e così ho deciso di legarlo a quel libro tramite dei personaggi”.

Jonathan Coe

“Ho pensato potesse essere interessante prendere i personaggi marginali di quel romanzo e investigarli per dar loro una vita ‘vera’. Di solito, quando finisco un libro sento come se i protagonisti fossero esauriti e non avessi più niente da raccontare su di loro, addirittura decido di farne morire alcuni alla fine del libro, proprio perché per me la loro storia è stata interamente raccontata e non c’è più nulla da aggiungervi. I personaggi minori invece rimangono e hanno ancora qualcosa da dire. Probabilmente farò così anche con il mio nuovo romanzo, che è ancora in stato embrionale: ci saranno alcuni personaggi di cui ho già scritto in passato”, continua l’autore, che recentemente ha svelato in un articolo per il Guardian le sue abitudini da “scrittore”. Ne è emerso il ritratto di un uomo comune, che può scrivere per “12 ore” e il giorno dopo “buttare tutto al vento” e che progetta le sue storie ovunque: al pub così come al terminal di un aeroporto.

Non tutti lo sanno, ma Jonathan Coe fin da giovane è stato diviso tra due passioni: la musica e la scrittura, tanto da aver nutrito il desiderio di diventare musicista. Interesse che è spesso trasparito nei suoi romanzi, in particolare ne La banda dei brocchi, che deve il suo titolo originale, Rotter’s Club, proprio a una canzone del gruppo progressive Hatfield and the North.

Jonathan Coe

“Sono felice di parlare de La banda dei brocchi che è uno dei miei libri preferiti, soprattutto per il modo molto personale in cui combina i diversi generi di musica pop. Negli anni ’70 in Gran Bretagna c’era una sorta di ‘guerra’ tra chi ascoltava il punk e chi il progressive e non riguardava solo la musica, anzi era più che altro un conflitto tra culture e stili di vita. Personalmente ero più dalla parte del prog, solo anni dopo ho iniziato ad apprezzare il punk”, racconta Coe quando gli chiediamo dell’influenza della musica sul suo lavoro di scrittore.

“Come autore mi ispiro alla musica classica, in particolare per quanto riguarda la sua struttura. La forma è molto importante nei miei libri: la struttura della narrazione, il legame tra le varie sezioni e i personaggi. Sono tutte caratteristiche che secondo me derivano dalla musica classica più che dalla letteratura. Però, invecchiando, mi piace sempre di più il jazz, perché lascia spazio alla improvvisazione, che è un po’ anche quello che mi succede con la scrittura. Mi piace sapere fin da subito come un libro inizia e finisce, ma mi piace anche lasciare degli spazi in cui improvvisare man mano“.

Jonathan Coe

Come lettore, invece, Coe ammette di non leggere molti romanzi, perché “man mano che si invecchia si scopre quanto poco si sappia del mondo, nel mio caso in particolare di storia e di scienze, e così mi sono dedicato a queste letture”.

Sul futuro dell’editoria britannica, non si scompone: “Ogni anno vengono pubblicati tantissimi nuovi autori, in particolare molti esordienti giovanissimi, apprezzati e seguiti“. Però ha qualcosa da dire riguardo alla mancanza di traduzioni in inglese dei libri stranieri: “Da 21 anni vengo in Italia per promuovere i miei libri, ma non ho ancora imparato l’italiano. Spesso, durante gli eventi, conosco autori di cui vorrei leggere le opere, ma nove volte su dieci non mi è possibile farlo perché i loro libri non sono tradotti in inglese”.

Coe, però, ci segnala alcuni degli autori italiani tradotti in inglese di cui ha letto alcune opere e, senza troppe sorprese, ci rivela: “Al momento Elena Ferrante è un grande fenomeno letterario anche in Gran Bretagna. Ho letto i suoi libri e la apprezzo molto: credo sia una grande autrice. Tra gli altri autori italiani che ho letto ci sono Ammaniti e Paolo Giordano. Il resto delle mie letture di autori italiani è fermo a una ventina d’anni fa, sono i ‘classici’ che si leggevano allora: Calvino, Umberto Eco e anche Baricco“. Eco, un autore molto amato da Coe, che lo scorso febbraio ha dedicato allo scrittore italiano un intervento sul Guardian, in cui lo ha definito il suo “eroe, il modello dell’intellettuale europeo” .

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