“A me piace provare ad applicare lo strumento poetico, sperimentalmente, alle dimensioni, alle funzioni più diverse. Mi piace ‘giocare’ con i versi, ‘giocare in versi’, ricordando che la grande poesia del Novecento spazia da Celan a Palazzeschi, da Gozzano a Rosselli”. In occasione dell’uscita de “Il commissario Magrelli”, ilLibraio.it ha intervistato Valerio Magrelli, che porta ironicamente il mondo del giallo a indagare la poesia o, viceversa, travasa il giallo nella dimensione lirica. Spazio anche a “Cavie”, un volume che raccoglie quasi quarant’anni di versi e che descrive “paesaggi tecnologici e patologici, toccando timbri di carattere civile, morale, politico”

Che cosa succede quando la poesia si mette a indagare la giustizia o, meglio ancora, i casi di palese ingiustizia e la criminalità? Nella sua nuova raccolta, Il commissario Magrelli (Einaudi), Valerio Magrelli (nella foto di Joyce Hueting) porta provocatoriamente e ironicamente il mondo del giallo a indagare la poesia (uno dei più grandi misteri che, a differenza dei tanti cold case irrisolti, affascina e non spaventa) o, viceversa, travasa il giallo nella dimensione lirica, piena di potenzialità espressive e di sovrasensi.

In sessantasei testi, il lettore fa la conoscenza di un commissario che condivide (sarcasticamente) tanti degli stereotipi tipici del genere giallo, ma anche un profondo senso di giustizia e degli ideali frustrati dalla grettezza della realtà quotidiana.

Tante sono le domande senza risposta, almeno quante le critiche sul presente, ma non manca una vena di speranza. Per approfondire le scelte contenutistiche e stilistiche originali che contraddistinguono da sempre l’opera di Valerio Magrelli, ilLibraio.it ha intervistato lo scrittore.

valerio magrelli

Il commissario Magrelli svolge soprattutto un’indagine del pensiero: i suoi versi raccolgono interrogative sui paradossi del presente, osservazioni e successive interpretazioni di un mondo dove la giustizia ha poco (nessuno?) spazio. Come descriverebbe la Weltanschauung del suo commissario?
“Qualche tempo fa composi una poesia fortemente parodica dal titolo: Contro l’abuso di haiku. Ebbene, in un certo senso le sessantasei poesie del Commissario Magrelli potrebbero chiamarsi: Contro l’abuso di gialli. Lo spunto di partenza fu costituito da una giocosa polemica contro l’inaccettabile ‘giallizzazione’ della nostra letteratura (basti vedere cosa accade all’estero). Poi lo scherzo mi ha preso la mano, e la satira di questo particolare genere letterario si è limitata a tutte le poesie multiple di cinque, trasformandosi, per tutto il resto del libro, in denuncia politica, giudiziaria e prima ancora antropologica”.

Secondo Umberto Saba, “la felicità del lettore [di gialli] nasce dall’illusione di non essere egli il colpevole”; il suo commissario, invece, ipotizza che il giallo e il noir piacciano perché mostrano la vera natura dell’uomo. Come sarebbe, dunque, l’animo umano, al di là delle apparenze?
“In un’illuminante recensione, Alberto Fraccacreta ha fatto notare un elemento molto interessante. Infatti, cercando di preservare ‘donne, paesaggio e infanzia’, il commissario difende, a ben vedere, i tre motivi fondamentali della poesia: ‘La donna è il destinatario, per eccellenza; il paesaggio, il luogo eletto; l’infanzia, la condizione spirituale a cui tendere. Salvarli, significa salvare la bellezza, la quale, per una nota paraetimologia, dovrebbe chiamarci. A che cosa? All’amore reciproco’. Benché ai miei occhi il commissario rappresenti una figura volutamente ridicola, una specie di Tartarino di Tarascona (ossia una caricatura di Don Chisciotte), questa sua versione alta, da autentico profeta, mi suona assai plausibile”.

“Non c’è intelligenza nel Male, / né indagine possibile se il Male/ ha ingoiato ogni cosa”. Possiamo solo denunciare la situazione attuale e reagire come fa talvolta il commissario, vomitando, urtato dal presente?
“Credo si possa fare qualcosa di più, innanzitutto con il proprio comportamento. Alla base di tutto sta il rispetto del prossimo: un credo sistematicamente ignorato nella nostra società. Non per niente, sto lavorando da anni a un pamphlet in prosa intitolato Sopruso: istruzioni per l’uso. Ebbene, il suo sottotitolo dovrebbe essere appunto: La comparsa dell’altro“.

Specialmente in passato, la critica ha più volte attaccato il romanzo giallo, accusandolo spesso aprioristicamente di essere troppo corrivo. Come si sposa il linguaggio quotidiano del genere con il suo travaso in poesia?
“Come ho già tentato di fare nel 1999 con la raccolta Didascalie per la lettura di un giornale, a me piace provare ad applicare lo strumento poetico, sperimentalmente, alle dimensioni, alle funzioni più diverse. Non che questo corrisponda a un preciso progetto, anzi: detesto ogni visione pianificata e predittiva del fare artistico. Semplicemente, mi piace ‘giocare’ con i versi, ‘giocare in versi’, ricordando che la grande poesia del Novecento spazia da Celan a Palazzeschi, da Gozzano a Rosselli”.

Una domanda è d’obbligo, vista la poesia d’apertura un po’ provocatoria: “Visto che tutti i libri/ hanno ormai un commissario,/ mi faccio commissario/ della poesia”. Magrelli-lettore ama i gialli? Se sì, quali ci consiglierebbe?
“Tranne pochi casi, tranne qualche eccezione, i gialli sono incantevoli passatempi. Basta mettersi d’accordo: per me la letteratura non serve a passare il tempo, cioè ad ‘ammazzarlo’ (tanto per restare in tema). La mia non vuole essere una visione elitaria, ma di ricerca. Pur condividendo con la narrativa d’intrattenimento il rispetto per la comunicazione con il lettore, per me letteratura significa altro. Non per niente la mia raccolta di poesie complete, appena uscita da Einaudi proprio insieme al Commissario Magrelli, s’intitola Le cavie, ed è appunto consacrata a questi ‘animali da ricerca’. Ecco: secondo me questa potrebbe essere una buona definizione di scrittore: un animale da ricerca”.

“La penna non dovrebbe mai lasciare/ la mano di chi scrive./ Ormai ne è un osso, un dito”, scriveva in Ora serrata retinae. È cambiata la sua scrittura dopo questa raccolta del 1980, con la diffusione ormai capillare del computer?
“Prima ancora che mostrare una sua propria posizione morale o politica, il commissario esibisce lungo tutte le 66 poesie della raccolta una infinita capacità di stupirsi. Banale, ordinaria, la sua visione del mondo viene costretta a scontrarsi con una natura sistematicamente corrotta. Da qui la sua infinita, ininterrotta sorpresa. Quanto alle modifiche provocate dall’uso del computer nella mia scrittura, direi che hanno riguardato, paradossalmente, soprattutto la funzione… dell’oralità. Da anni, infatti (specie per i saggi e le prose) faccio uso di un’applicazione che ‘traduce’ il messaggio vocale in testo. È stata una vera rivoluzione: la conquista di un segretario perpetuo e fedelissimo, la scoperta di un’infinita libertà nell’improvvisazione”.

Come lei ha ricordato, oltre a Il commissario Magrelli, è uscita in libreria Le cavie, raccolta di quasi quarant’anni di poesie: cosa pensa di questo progetto, ritrovando compattata la sua poesia in un unico volume?
“Riprendendo l’esempio di Antonio Porta, mi pare che questo lungo arco di tempo sia trascorso alla ricerca di un passaggio fra sperimentazione e comunicazione. Il libro, infatti, presenta una produzione che, dopo il precoce esordio dal taglio meditativo (quando uscì la mia prima raccolta, nel 1980, avevo 23 anni), è passata a descrivere paesaggi tecnologici e patologici, toccando timbri di carattere civile, morale, politico, come si vede anche nei sei testi inediti che chiudono il volume”.

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