Su IlLibraio.it le prime pagine de “La tentazione di essere felice”, che racconta la storia di un uomo cinico e umano allo stesso tempo

Arriva in libreria un romanzo su cui Longanesi, l’editore, punta molto, La tentazione di essere felici di Lorenzo Marone, napoletano classe ’74, che dopo la laurea in giurisprudenza e qualche anno da avvocato ha deciso di dedicarsi alla scrittura.

Il protagonista, Cesare Annunziata, potrebbe essere definito senza troppi giri di parole un vecchio e cinico rompiscatole. Settantasette anni, vedovo da cinque e con due figli, Cesare è un uomo che ha deciso di fregarsene degli altri e dei molti sogni cui ha chiuso la porta in faccia. Con la vita intrattiene pochi bilanci, per lo più improntati a una feroce ironia, forse per il timore che non tornino.

Una vita che potrebbe scorrere così per la sua china, fino al suo prevedibile e universale esito, tra un bicchiere di vino con Marino, il vecchietto nevrotico del secondo piano, le poche chiacchiere scambiate malvolentieri con Eleonora, la gattara del condominio, e i guizzi di passione carnale con Rossana, la matura infermiera che arrotonda le entrate con attenzioni a pagamento per i vedovi del quartiere. Ma un giorno, nel condominio, arriva la giovane ed enigmatica Emma, sposata a un losco individuo che così poco le somiglia. Cesare capisce subito che in quella coppia c’è qualcosa che non va, e non vorrebbe certo impicciarsi, se non fosse per la muta richiesta d’aiuto negli occhi tristi di Emma… Inevitabilmente il protagonista finirà per scoprire i segreti della sua vicina. Ma, soprattutto, si accorgererà dei suoi…

Leggi su IlLibraio.it le prime pagine del libro
(per gentile concessione di Longanesi)

Una precisazione

Mio figlio è omosessuale.
Lui lo sa. Io lo so. Eppure non me l’ha mai confessato. Niente di male, sono molte le persone che attendono la morte dei genitori per lasciarsi andare e vivere liberi la propria sessualità. Solo che con me non funzionerà, ho intenzione di campare ancora a lungo, almeno una decina di anni. Se Dante vorrà emanciparsi, quindi, dovrà fregarsene del sottoscritto. Io a morire per i suoi gusti sessuali non ci penso proprio.

Cesare Annunziata

Il ticchettio della sveglia è il solo rumore a tenermi compagnia. A quest’ora la gente dorme. Si dice che le prime ore del mattino siano il momento migliore per il sonno, il cervello è in fase Rem, quella in cui si sogna, il respiro diventa irregolare e gli occhi si muovono rapidamente da una parte all’altra. Uno spettacolo tutt’altro che divertente, insomma, come trovarsi di fronte a un indemoniato.

Io non sogno mai. Almeno, non ho particolari ricordi. Forse perché dormo poco e mi sveglio presto. O perché bevo troppo. O solo perché sono vecchio e da vecchi i sogni si esauriscono. Il cervello ha avuto una vita per elaborare le fantasie più strambe, è normale che con il tempo inizi a perdere l’estro. La vena creativa ha un picco durante l’esistenza di ognuno, poi, a un certo punto, arriva inesorabile la discesa, e alla fine dei tuoi giorni non sei neanche più in grado di immaginare una scena di sesso. Da giovane, invece, si parte proprio da lì, dal fantasticare su incredibili notti di passione con la showgirl di turno, la compagna di banco o, addirittura, con l’insegnante che, chissà perché, dovrebbe desiderare di ripararsi fra le braccia di un poppante con un po’ di baffetti e parecchi brufoli di contorno. Certo, l’inventiva inizia prima, fin da piccoli, ma credo che la masturbazione giovanile incida molto sulla formazione della creatività.
Io ero molto creativo.
Decido di aprire gli occhi. Tanto, in queste condizioni, di dormire non se ne parla. Nel letto il cervello compie viaggi allucinanti. Per esempio mi viene da pensare alla casa dei nonni. Posso ancora vederla, visitarla, passare da una stanza all’altra, sentire gli odori che provengono dalla cucina, il cigolio dell’anta del mobile in sala da pranzo, o gli uccellini che cinguettano sul balcone.
Mi soffermo addirittura sull’arredamento, ricordo ogni più piccolo dettaglio, persino i soprammobili. Se serro bene le palpebre, poi, riesco addirittura a osservarmi allo specchio della nonna e rivedermi bambino.
Lo so, avevo detto che non sogno più, ma mi riferivo al sonno. Durante la veglia, invece, sono ancora in grado di dire la mia.
Sbircio l’orologio e lascio scorrere un’imprecazione sotto le lenzuola. Pensavo fossero le cinque, invece sono solo le quattro e un quarto del mattino. Fuori è buio, un antifurto in lontananza suona a intervalli regolari, l’umidità confonde i contorni e i gatti sono raggomitolati sotto le auto.
Il quartiere dorme, io rimugino.
Mi giro dall’altro lato e mi costringo ad abbassare di nuovo le palpebre. La verità è che nel letto non riesco a stare un minuto fermo, rilascio l’energia accumulata durante la giornata, un po’ come il mare d’estate che raccoglie il calore del giorno per donarlo alla notte.
Mia nonna diceva che quando il corpo non vuol saperne di riposare bisogna starsene immobili; dopo un po’ il fisico capisce che c’è poco da fare casino e si acquieta.
Solo che per mettere in atto un simile piano servono autocontrollo e pazienza, e da tempo, ormai, ho esaurito entrambi.
Mi accorgo di star fissando un libro sul comodino al mio fianco. Ho osservato spesso la copertina di quel libro, eppure adesso noto particolari che mi erano sfuggiti.
Una sensazione di stupore mi fa visita, poi capisco di cosa si tratta: riesco a leggere da vicino. Nessuno alla mia età, nel mondo, può farlo. La tecnologia ha fatto passi da gigante nell’ultimo secolo, eppure la presbiopia resta uno dei misteri inafferrabili della scienza. Mi porto le mani al viso e capisco il perché dell’improvvisa e miracolosa guarigione: mi sono infilato gli occhiali, un gesto che ormai compio d’istinto, senza riflettere.
E’ giunto il momento di alzarsi. Vado in bagno. Non dovrei dirlo, ma sono vecchio e faccio quel che mi pare.
Insomma, io urino seduto, come le donne. E non perché le gambe non mi reggano, ma perché altrimenti col mio idrante innaffierei anche le mattonelle di fronte.
C’è poco da fare, quel coso dopo una certa età inizia ad avere vita propria. Come me (e un po’ come tutti gli anziani), se ne frega di chi vorrebbe spiegargli la vita e fa di testa sua.
Chi si lamenta della vecchiaia è un demente. Anzi no, cieco mi sembra più azzeccato. Uno che non vede a un palmo dal proprio naso. Perché l’alternativa è una sola e non mi sembra auspicabile. Perciò già essere arrivato fin qui è un gran colpo di fortuna. Ma la cosa più interessante è, come dicevo, che puoi permetterti di fare ciò che vuoi. A noi anziani tutto è permesso e persino un vecchietto che ruba in un supermercato è visto con candore e compassione. Se a rubare, invece, è un ragazzo, gli danno, nel migliore dei casi, del « furfante ».

Insomma, a un certo punto della vita si apre un mondo fino ad allora inaccessibile, un luogo magico popolato da gente gentile, premurosa e affabile. Eppure la cosa più preziosa che si conquista grazie alla vecchiaia è il rispetto. L’integrità morale, la solidarietà, la cultura e il talento sono nulla di fronte alla pelle incartapecorita, le macchie sulla testa e le mani tremolanti. A ogni modo oggi sono un uomo rispettato e, si badi, non è poca cosa. Il rispetto è un’arma che permette all’uomo di raggiungere una meta per molti inarrivabile, fare della propria vita ciò che si vuole.

Mi chiamo Cesare Annunziata, ho settantasette anni, e per settantadue anni e centoundici giorni ho gettato nel cesso la mia vita. Poi ho capito che era giunto il momento di usare la considerazione guadagnata sul campo per iniziare a godermela sul serio.

(continua in libreria…)

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