Le cronache di Andrew O’Hagan dal regno del web hanno toni romanzeschi, e questo non perché a firmarle sia uno ottimo scrittore, ma perché il materiale stesso su cui indagano si muove sul confine tra la realtà e l’immaginazione… – L’approfondimento della scrittrice Giuliana Altamura dedicato ai tre reportage che compongono “La vita segreta”

“C’è un altro mondo, ma è in questo”, scriveva Paul Éluard, citato in esergo da Andrew O’Hagan nel suo La vita segreta, pubblicato da Adelphi con traduzione di Svevo D’Onofrio. Stando però ai tre reportage che compongono il libro, sembrerebbe che di “altri mondi” ne esistano un’infinità, almeno quanti sia possibile concepirne, e che internet, più che rappresentare uno spazio di virtualità alternativo e al tempo stesso co-presente, si comporti come una sorta di teatro delle ombre, il fondo di una caverna platonica dove dare vita ai propri fantasmi. I più segreti, per l’appunto.

Le cronache di O’Hagan dal regno del web hanno toni romanzeschi, e questo non perché a firmarle sia uno ottimo scrittore, ma perché il materiale stesso su cui indagano si muove sul confine tra la realtà e l’immaginazione: i protagonisti delle sue storie hanno abitato esistenze e identità in buona parte costruite da loro stessi (in un caso, persino dall’autore) e addentrarsi nella loro verità significa abbandonarsi ai presupposti della loro finzione.

La vita segreta Tre storie vere dell'èra digitale

Ne Lo scrittore fantasma, O’Hagan racconta la sua catastrofica esperienza come ghostwriter di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, personalità descritta come narcisisticamente impegnata a nutrire il culto di se stessa. Nel ritiro di Ellingham Hall, Norfolk, circondato da ragazzi più giovani di lui disposti ad adorarlo come una rockstar, l’Assange di O’Hagan vive una profonda contraddizione interna: da una parte vorrebbe incarnare una modalità di esistenza alternativa alle autorità mondiali di cui desidera svelare ogni segreto, dall’altra si auto-confina nell’egocentrismo e nella manipolazione dei fatti al punto da non essere capace di esprimere la propria di verità. Il libro che i due dovrebbero preparare a quattro mani, una sorta di autobiografia-manifesto,  è destinato a non essere mai finito perché l’uomo che desidera trasformarsi nel “fantasma nella macchina” ha un io troppo ingombrante per intrufolarsi nella stanza dei bottoni e spegnere le luci. Assange, quel libro, in realtà non l’ha mai voluto scrivere: “la verità, nonostante tutto, non era sua amica”.

Un discorso in qualche maniera inverso vale invece per Craig Wright, il presupposto inventore del bitcoin, la moneta virtuale, nascosto dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, vero e proprio mito del dark web e protagonista de L’affaire Satoshi. Anche in questo caso, O’Hagan è chiamato a scrivere la sua biografia, con tanto di rivelazione ufficiale dell’identità di Nakamoto – rivelazione acquistata a caro prezzo dalla società nCrypt. Ma dietro Nakamoto si nasconde davvero Wright, come lui stesso ammette dimostrando però grande riluttanza nel fornirne le prove, o si tratta piuttosto di un’intelligenza collettiva di cui Wright rappresenta solo un tassello? Per l’informatico, a differenza di Assange, internet significa in primis un’infinita possibilità di ricominciare, di essere una persona nuova, chiunque si desideri (“non la smetteva mai d’immaginare nuove vite per se stesso”): nascondersi nella rete lo fa sentire a casa, quanto di più lontano possa esistere – quindi – dal culto del se’. E, in fondo, non è meglio lasciare intatta nell’etere la leggenda di Nakamoto piuttosto che rivelare agli adoratori fanatici del blockchain che il loro unico e solo Dio è un quarantacinquenne australiano di nome Craig?

Ne L’invenzione di Ronnie Pinn, infine – secondo e, a mio parere, più interessante reportage della raccolta – O’Hagan propone una discesa negli inferi del deep web, seguendo le vicende di una falsa identità virtuale da lui stesso creata – Ronnie Pinn, per l’appunto – nella stessa maniera in cui uno scrittore segue l’evolversi di un suo personaggio sulla pagina bianca: un misto di responsabilità, desiderio, volontà e abbandono. Questa cronaca chiarisce l’intenzione ben precisa dell’autore di affrontare nell’intera raccolta non tanto la tematica del web come si vorrebbe credere – presente, certo, ma in pura forma conseguenziale – quanto quella dell’identità. “È consono allo spirito della nostra epoca», si domanda O’Hagan, «che, nei miasmi dei social media, la “verità” di ciascuno possa essere sfruttata, innanzitutto da lui stesso?”.

O’Hagan ruba il nome a un giovane deceduto e gli costruisce una vita fittizia sul web, riuscendo a controllarlo solo fino a un certo punto. Ed ecco allora che la domanda principale trascende i confini della rete e torna a riferirsi a una sempiterna interrogazione sull’io che nella contemporaneità ha sempre più a che vedere col rapporto tra il potere della tecnologia e quello dell’immaginazione.

La vita segreta è anche un libro sulla scrittura: diceva Ballard che “dal momento che la realtà esterna è pura finzione, lo scrittore non ha bisogno di inventare nulla, tutto è già dato”, e allora nel grande mercato dell’identità che è internet chiunque può diventare scrittore e personaggio di se stesso. Raccontare la storia di Assange o di Wright non è diverso dal raccontare quella di un fantomatico Pinn: il potere della virtualità preme sulla pagina dell’autore e lo porta a interrogarsi sui limiti e allo stesso tempo sulle possibilità del suo mestiere, in un mondo in cui ognuno cerca in modo disperato di mantenere il controllo della narrazione della propria storia.

L’AUTRICE – Giuliana Altamura, è nata a Bari nel 1984 e vive tra Milano e Parigi. Ha esordito per Marsilio nel 2014 con il romanzo Corpi di Gloria (Premio Rapallo Carige Opera Prima). Nel 2015 un suo racconto è stato pubblicato nell’antologia Quello che hai amato, a cura di Violetta Bellocchio (Utet). È in libreria con il suo ultimo romanzo edito da Marsilio: L’orizzonte della scomparsa. Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

L'orizzonte della scomparsa

 

 

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