Su ilLibraio.it un estratto da “Cattivi”, romanzo in cui Maurizio Torchio dà voce a un ergastolano

Quello che scorre in cella d’isolamento è un tempo puro, svuotato di eventi. Tanto da far sembrare i giorni di chi può vedere la luce del sole – seppure attraverso le sbarre – come un luogo di libertà, fantasticato per sentito dire. Il mondo di fuori è piú evanescente ancora, più irreale del passato, o dei sogni. Cresce allora la tentazione di chiamare il carcere casa, e farlo abitare dai ricordi…

Maurizio Torchio, torinese classe ’70, è tornato in libreria per Einaudi con Cattivi (romanzo del quale qui di seguito pubblichiamo un estratto), libro di grande intensità in cui dà voce a un ergastolano.

Cattivi

Su ilLibraio.it un estratto

© 2015 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

(…)

I vestiti li lavo da me. Non vengono cosí puliti in lavanderia. E sei costretto a pagare, se non vuoi che li perdano. Però mi si son storte le dita, a forza di impastare in questa coppa di alluminio. Hanno preso la forma del lavandino. Come i piedi fasciati delle cinesi, come si chiamano? Mi viene bonsai, ma non è giusto. O forse sí, il principio è quello: costringi qualcosa a restar piccolo. Da cinque anni non salgo nemmeno all’aria. La cella è lunga quattro passi e larga un paio di braccia distese. Se mi alzo in punta di piedi tocco il soffitto. È uno spazio a misura d’uomo. A misura mia.
L’isolamento è la prigione della prigione. Perché ogni posto deve avere una prigione. Se sei già all’ospedale e ti senti male, cosa fanno? Ti mettono in terapia intensiva, che è l’ospedale dell’ospedale. Se sei in prigione e vogliono punirti è uguale: deve esserci qualcosa. Dev’esserci sempre qualcosa da togliere, altrimenti tutto si ferma. A volte ti danno delle cose perché ti venga paura di perderle. Dove stavo prima distribuirono delle televisioni solo per minacciare di spegnerle. Per farti provare la sensazione di cadere ti sollevano, ogni tanto. Altrimenti dopo un po’ arrivi al centro della terra, e da lí non vai più da nessuna parte. Io però sto bene dove sto. E non m’importa se ai piani possono fare la spesa, scendere in cortile, invitarsi a cena, guardare la tv…
Io non sono abituato al rumore. C’è gente che a casa aveva più rumore che in carcere. A loro sembra tutto normale.
Fuori dormivano, mangiavano gli uni sugli altri, qui fanno lo stesso. Dormono per terra. Nella lí, perché non c’è più posto. Io anche nel furgone stavo in silenzio. Mi piaceva. Un posto tranquillo, dove pensare ai fatti tuoi, vedere il mondo che scorre. Qui sotto, nella prigione della prigione, non ci sono ubriachi e non si gioca a carte. Non urlano, la notte, da quando non c’è più Piscio. Lui era capace di gridare anche dieci ore di fila, senza mai perdere la voce. Ora c’è quasi silenzio. Poi è vero che anche ai piani, anche al camerone più schifoso troverai sempre chi ti dice: Sei fortunato, questa è la cella migliore del carcere. Perché gira bene l’aria. Oppure perché non fa troppo freddo d’inverno. Perché è lontana dal bancone degli agenti, o perché hanno ristrutturato i bagni due anni fa. Il carrello del vitto passa prima, arriva ancora caldo. Si vede un pezzo di montagna. Oppure: In un attimo sei in cortile. E lo pensano davvero. Cioè si lamentano, perché si lamentano in continuazione, ma sono orgogliosi. Un po’ è inevitabile. Ti affezioni al posto dove stai. Anche chi si ferma solo tre o quattro anni, passa comunque più tempo in cella di quanto la maggior parte della gente non ne passi, in casa, lungo la vita intera. Qui, quando scendi all’aria senza asciugamano dici: L’ho dimenticato a casa. E quando ancora giravano soldi la gente pagava, corrompeva, pur di farsi ridipingere la cella tutti gli anni. Compravano le spugne, i secchi, i detersivi migliori. Pavimenti sempre lucidi. Devi toglierti le scarpe, quando vai a trovare qualcuno.
E prima di lasciar fare le pulizie a un nuovo arrivato lo mettono alla prova, perché sono convinti che pulire sia una questione delicata, importante, che nessuno sa gestire meglio di loro. Loro che sono qui da sempre.

(continua in libreria…)

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