“Nella mia esperienza di lettrice ho sempre amato le storie famigliari in ogni loro forma: romanzi, racconti, memoir, lettere…”. Gaia Manzini torna in libreria con “Ultima la luce”, e per l’occasione su ilLibraio.it seleziona i libri sulla famiglia che più l’hanno colpita: da “Bambini nel tempo” di Ian McEwan a “Infanzia berlinese” di Walter Benjamin, passando per “L’altra figlia” di Annie Ernaux, ecco le sue scelte, in cui non mancano i classici e le sorprese…

E’ difficile dare una definizione univoca di romanzo famigliare. Nella mia esperienza di lettrice ho sempre amato le storie famigliari in ogni loro forma: romanzi, racconti, memoir, lettere… La mia attenzione si desta quando la narrazione riesce a mostrare i rapporti interni alla famiglia in tutte le loro contraddizioni, nelle loro zone di luce e in quelle di ombra. Mi piace soprattutto – ma non solo – quando un romanzo mostra dove la famiglia vacilla; non volendolo, mette in discussione se stessa. L’origine di quello che siamo è dentro la storia della nostra famiglia, in quello che abbiamo accettato e in tutto quello che abbiamo rifiutato. Quando parliamo della nostra famiglia, parliamo di noi.

Natalia Ginzburg, Lessico Famigliare

Natalia Ginzburg, Lessico Famigliare

Ho sempre amato questo libro per il suo passo leggero, per lo sguardo pieno di candore della protagonista – ingenuo, ma in realtà acutissimo. La famiglia vista non solo come un insieme di persone, ma soprattutto come una lingua condivisa composta di parole, frasi, modi di dire. Il lessico famigliare è un insieme di lacci fatti di sillabe, è il dna di una tribù che dice di un’appartenenza e compone la mappa di una vita condivisa. La famiglia è sempre e comunque una lingua.

William Faulkner, L’urlo e il furore

Ci sono libri che svelano il cuore nero, e forse più vero, delle famiglie. La storia dei Compson è rimasta nella mia memoria come una specie di disagio, di ronzio. La narrazione è ondivaga, sovrabbondante, complessa, e proietta ombre ovunque. Lo stile oscuro riflette il lato nascosto che c’è anche nei rapporti più stretti. È un libro crudelissimo, feroce. Ogni personaggio è solo, vortica nella propria angoscia e nella propria colpa. Quando Quentin spacca l’orologio, strappa le lancette, ma quello continua a ticchettare, sei preso dalla stessa ansia: sai che tutto finirà male, ogni cosa non può che scivolare verso il basso. Da lettrice, i Compson mi sembra di averli ritrovati nei Mulvaney di Joyce Carol Oates (Una famiglia americana), anche loro travolti da un destino che porta alla disgregazione del nucleo famigliare. E ancora nei Levov di Pastorale americana: in quella tragedia che viene a spezzare per sempre la vita perfetta dello Svedese.

Annie Ernaux, L’altra figlia

Annie Ernaux, L’altra figlia

Questo libro è una lettera a qualcuno che non c’è più. La protagonista, l’autrice, da bambina ascolta per caso una conversazione della madre: prima che lei nascesse c’è stata un’altra figlia, morta di malattia. La figlia buona, la figlia ideale. La morte della sorella è l’origine della sua stessa nascita. L’altra figlia è un libro sul potere magico delle parole, capaci di ridare l’esistenza a chi non c’è più. Ma non solo, questo piccolo e intensissimo libro narra di una famiglia e della scoperta enorme di come la nostra esistenza si fondi anche sulle assenze. Chi se ne va diventa imprescindibilmente qualcuno con cui misurarsi.

Andrés Barba, Ha smesso di piovere

Andrés Barba, Ha smesso di piovere

Un libro di qualche anno fa, quattro racconti lunghi. Non parlano della stessa famiglia, ma in un certo senso lo fanno: è la famiglia alla quale potremmo appartenere tutti. Nel primo racconto un giovane padre davanti al bambino nato per sbaglio avrebbe voglia di dire la parola figlio, ma non riesce a farlo. Gli sembra “di soppesare l’emozione di quella parola come una persona solitaria soppesa il ricordo di un giorno felice”.  Barba è un giovane autore spagnolo che riesce abilmente a mostrare quanto sia difficile aderire a un ruolo, e come quel ruolo ci faccia scontrare di continuo con i nostri limiti. Noi, incapaci di amare, di essere padri, di comprendere gli intimi segreti di una coppia, di accettare una madre. Soprattutto, ci fa vedere come ogni grande legame della vita sia nutrito da sentimenti contrastanti e come l’animo sia il luogo del paradosso dove gli opposti convivono. Altrimenti non potremmo dirci umani.

Walter Benjamin, Infanzia berlinese

Non è un romanzo famigliare e forse neanche un romanzo, è più simile a un mosaico. Eppure, quando si parla d’infanzia – la propria – si parla di famiglia, perché la famiglia è il luogo dove impariamo ad amare, a sentirci protetti, a mettere insieme una personale mitologia. Rimangono vivissimi nella memoria i telefoni che rendono le mani dervisci rotanti, una mela a scaldare nel tubo della stufa, i nascondigli come luoghi di metamorfosi, il ditale come una minuscola corona, l’episodio del calzino e la sua magia. Riposto nel cassetto come una piccola borsa ripiegata su se stessa e contenente “un regalo”, una volta aperto, il calzino non è più quello di prima: è meraviglioso, un gioco di prestigio che dimostra come forma e contenuto siano la stessa cosa. La storia del calzino, al di là del valore filosofico, racconta della cura di una madre, di un ambiente da cui poter trarre solo nutrimento, della meraviglia domestica che proviamo da bambini. Quando la famiglia è ancora solo un luogo dell’incanto.

Lev Tolsoj, Anna Karenina

Quando l’ho letto la prima volta ero un’adolescente. Ai miei occhi di ragazza appariva come un romanzo d’amore e di coraggio, in cui una donna lasciava tutto in nome di una passione autentica. L’ultima volta che l’ho letto, invece, mi è sembrato di poterlo finalmente vedere in tanti modi diversi, da tanti punti di vista. Soprattutto, ci ho visto un romanzo sul senso di difformità che ognuno di noi prova, almeno una volta nella vita, rispetto al ruolo che siamo chiamati a svolgere all’interno della famiglia e della società. Per Vronskij, Anna lascia tutto: Karenin, il loro figlio Serëža, la rispettabilità. Sceglie la fuga: la fuga come rinascita. Ma la scelta non potrà mai essere davvero netta. Quel rifiuto è talmente inconciliabile con l’essere madre che lei si condanna volontariamente all’infelicità: non vuole più il divorzio, vuole soffrire per la vergogna. Le contraddizioni non si risolvono quasi mai, il cuore rimane dimidiato. Tanto che le è impossibile essere madre una seconda volta: quando Annie, la figlia avuta da Vronskij, la va a trovare in camera non sa neanche quanti denti le sono spuntati. Sente di non riuscire ad amarla con il cuore. Non può più essere una madre.

Ian McEwan, Bambini nel tempo

Ian McEwan, Bambini nel tempo

Una bambina scompare nelle prime pagine del libro. Non viene mai ritrovata, nessuno sa che fine abbia fatto. Per me questo è sempre stato un libro vertiginoso: l’assenza crea un abisso per chi rimane, un pozzo dove si affaccia tutto quello che succede di capitolo in capitolo al padre della bambina. Il tempo ovviamente è il protagonista, il tempo che prende a fluire avanti e indietro. Il passato fa irruzione nel presente: ci sono adulti che tornano bambini e ci sono ricordi prenatali, come se il senso di tutta un’esistenza non fosse che una continua riscrittura di quello che è stato e di quello che sarà.

Jane Urquhart, Sanctuary line –  Vasco Pratolini, Cronaca familiare

Sembra strano fare un parallelismo tra due libri così lontani e diversi. Ma tant’è. Nel libro della canadese Jane Urquhart, uscito l’anno scorso, una donna torna nella casa avita dopo molti anni. Della famiglia è l’unica superstite e in quella casa piena di riflessi lo scorrere di immagini in superficie ne mette in moto uno più profondo. La narrazione si rivolge a un tu, suona come una confessione piena di nostalgia, una specie di indagine che cerca di descrivere il punto esatto in cui l’intera vita di una famiglia ha iniziato a inclinarsi. Tornano frammentati i ritratti, gli aneddoti, i misteri, le questioni irrisolte. La memoria serve a salvare la propria origine, a darle un senso, prima che il tempo si porti via tutto.

La memoria come creazione di un territorio di appartenenza – l’unico modo per scoprire chi siamo davvero – c’era anche in un libro che mi piacque tantissimo in terza media. Cronaca famigliare, di Vasco Pratolini, del 1947. Un libro dimenticato, di cui non si parla quasi mai. Anche in questo caso la voce narrante si rivolge a un tu immaginario: il fratello morto ormai da qualche tempo. Il libro di Pratolini è, dall’inizio alla fine, un’operazione della memoria come obbligo di testimonianza, ricostruzione e riparazione di un’identità famigliare. I due fratelli hanno vissuto l’infanzia separati come due estranei – anche qui la famiglia si rivela come luogo pieno di segreti e misteri. Le parti più belle sono quelle nelle quali i due fratelli si incontrano e parlano. Annodano i fili di un passato comune tutto da inventare e da lì ricostruiscono una famiglia zoppicante, sghemba, con la povera nonna rimasta all’ospizio, con i ricordi di un padre quasi dimenticato e di una madre morta di parto: una donna da immaginare da capo per il fratello che non l’ha conosciuta mai.

simpson

I Simpson

I Simpson non sono un romanzo, ma non sono neanche solo una serie televisiva. Sono un tono di voce. Un modo giallo e itterico di guardare e descrivere la realtà, con l’antenna dello spirito critico ben alzata. I Simpson sono l’anima dissacratoria che vorremmo avere sempre per scappare dalla retorica. E poi soprattutto sono una famiglia. Con il suo lessico famigliare: “Non farti infartare”, “Ciucciati il calzino!”. I suoi lati oscuri: il mistero di un padre degenere e minus habens, e di una madre di un conformismo fastidioso ma sempre efficace. I suoi misteri, come il fatto che l’intelligenza della famiglia sia tutta nella piccola Maggie ancora poppante ma con un QI fantasmagorico. I Simpson hanno desideri banali e guizzi di originalità, sono una famiglia disfunzionale ma anche piena d’amore, sono più sfigati che campioni nati. Ci raccontano la vita di tutti noi. Come si fa a non guardare I Simpson?

Gaia Manzini - foto di Pasquale di Blasio
Gaia Manzini – foto di Pasquale di Blasio

L’AUTRICE E IL SUO NUOVO ROMANZO – Gaia Manzini ha esordito nel 2009 con la raccolta di racconti Nudo di famiglia (Fandango, finalista premio Chiara). Nel 2012 ha pubblicato il romanzo La scomparsa di Lauren Armstrong (Fandango, selezione premio Strega e finalista premio Rieti) e nel 2014 Diario di una mamma in pappa (Laterza), un viaggio sentimentale tra le rocambolesche avventure della maternità. Ora torna in libreria con Ultima la luce, edito da Mondadori.

Ultima la luce

Nel nuovo romanzo la scrittrice racconta le illusioni intorno alle quali creiamo la nostra felicità e dà voce a una generazione che negli anni del Boom si è costruita un’idea luminosa di futuro a costo di rifiutare le proprie radici, lasciando dei conti in sospeso. Ma Ultima la luce è anche la storia di un tempo di mezzo, dell’attesa di un nuovo ordine delle cose: una famiglia si è disgregata, una nuova famiglia sta per nascere

Per l’occasione Gaia Manzini ha selezionato per ilLibraio.it alcuni libri di oggi e di ieri, con al centro il tema della famiglia, che l’hanno colpita. Come scrittrice, ma prima ancora come lettrice.

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