“Come tessere di un domino” di Zigmunds Skujiņš è uno dei primi romanzi lettoni tradotto in Italia da Margherita Carbonaro, traduttrice germanista che con la Lettonia ha un legame familiare, che parte dal 1944 e arriva ai giorni nostri. Ne ha parlato con ilLibraio.it, offrendo tra l’altro alcuni consigli di lettura legati alla letteratura del Paese lettone

“Il lettone per me è la lingua perduta – o addirittura negata – e poi ritrovata. L’ho ascoltata, percepita, in qualche modo assimilata da qualche parte dentro di me, nella mia prima infanzia. Era lettone, per esempio, la lingua che accompagnava gli incontri con i miei nonni materni, dovevano essere lettoni le prime parole con cui mi si rivolgeva mia madre, che quando sono nata aveva iniziato da poco a imparare l’italiano. Poi quel che c’era è scomparso”. A parlare è Margherita Carbonaro, nota germanista e traduttrice, tra gli altri, di Herta Müller che, come racconta a ilLibraio.it, si è cimentata per la prima volta nella traduzione dalla lingua di sua madre.

E l’ha fatto traducendo il capolavoro di Zigmunds Skujiņš, Come tessere di un domino, scritto nel 1999 e pubblicato in Italia solo quest’anno, da una casa editrice che di letteratura nord europea se ne intende: Iperborea. Come tessere di un domino è annoverato, nella letteratura baltica, a classico moderno, e potrebbe accostarsi a nomi quali Ibsen, Andersen o Blixen.

Il libro alterna due storie ambientate nel territorio lettone, ma in spazi temporali diversi. Nella periferia di Riga, in una vecchia tenuta, vive una famiglia molto particolare: c’è il figlio di un’artista circense giramondo e il suo fratellastro giapponese, il nonno che gestisce un noleggio di carrozze – immancabilmente in cilindro e frac -, un misterioso Aviatore e la proprietaria del maniero, una Baronessa malinconica discendente da una casata tedesca del Baltico. I destini individuali si intrecciano con la storia della Lettonia, tra l’alternarsi delle dominazioni nazista e sovietica, la questione ebraica, l’impossibilità di creare una nazione unita in quel potpourri di culture e popoli. A fare da contraltare alle vicende della famiglia c’è Waltraute von Brüggen, una nobildonna lettone del Settecento di origini tedesche di calviniana memoria: dopo aver perso “la parte di sopra” del marito in guerra, cuce la sua “parte di sotto” alla parte superiore di un seducente soldato lettone. Le due storie si richiamano in un gioco affabulatorio, che dà voce a un racconto d’amore, di perdita e di desiderio, in un’allegoria del vero significato del temine identità.

Un libro che quasi sfiora la storia della madre di Margherita Carbonaro, lettone d’origini, che fuggì dalla sua terra nel 1944, in piena Seconda Guerra Mondiale, e fu accolta dal governo svedese insieme a moltissimi altri profughi: “Durante la mia infanzia e adolescenza la Lettonia sovietica era per me un paese totalmente irreale, irraggiungibile”, spiega Carbonaro, e prosegue: “Era escluso poterci andare, o avere normali contatti con i parenti rimasti là. In qualche modo esisteva, però, proprio come mondo assente”.

L’avvicinamento alla lingua è stato graduale, frammentario, come se fosse un’incombenza con cui la traduttrice avrebbe dovuto fare i conti, prima o poi, ma che era più facile mettere da parte, tant’è che ha cominciato la sua carriera come germanista: “Sapevo che prima o poi avrei dovuto confrontarmi con il lettone e la Lettonia. Era qualcosa che bisognava fare, ma evidentemente non ero ancora pronta a investire tutte le energie necessarie. A un certo punto ho sentito che un cerchio andava chiuso, e che non si doveva più rimandare”.

E, complice l’età diversa, Carbonaro ha cominciato a studiare, leggere, ma soprattutto riprendere i contatti con Riga e i suoi abitanti. Ha iniziato a viaggiare, a stare sempre un po’ più a lungo in Lettonia, a farsi contagiare dagli stimoli del mondo baltico. E, ovviamente, dalla sua letteratura, in Italia poco conosciuta.

A tal proposito, data la scarsissima conoscenza di autori e opere lettoni, abbiamo approfittato della sua preparazione per farci consigliare qualche autore e qualche opera: “Per Iperborea tradurrò l’anno prossimo il romanzo Il pozzo di Regīna Ezera, scrittrice di grande intensità e raffinatezza stilistica. Un capolavoro sconosciuto, a mio parere”.

La traduttrice cita poi un altro libro che uscirà per Voland: Il latte della madre di Nora Ikstena. Termina infine con un consiglio per tutti i lettori che masticano il tedesco: “Per chi volesse leggerlo, segnalo un grande romanzo di Anšlavs Eglītis, autore che terminò i suoi giorni in esilio negli Stati Uniti: Homo novus, vivace affresco di Riga negli anni Trenta e del suo mondo artistico, all’epoca della prima repubblica lettone indipendente”.

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