Due autori molti diversi, il regista inglese Ken Loach e lo scrittore italiano Antonio Manzini, nelle loro ultime opere (il film “Io, Daniel Blake” e il romanzo “Orfano bianchi”) non fanno sconti, non concedono nessun lieto fine, e ci fanno riscoprire un sentimento come la tenerezza di fronte a una realtà denudata, cruda, che spesso è solo fotografata attraverso le statistiche

È successa una cosa strana, una strana concomitanza, un film e un romanzo usciti insieme per caso e che si parlano e rimandano uno all’altro. Mi riferisco al film di Ken Loach, Io Daniel Blake, che racconta le vicende di un uomo malato e povero alle prese con la burocrazia statale inglese e al libro di Antonio Manzini, Orfani bianchi, che racconta la storia di una donna che lascia la sua famiglia in Moldavia e va in Italia dedicando il suo affetto a persone anziane che non conosce.


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Due autori molti diversi, uno inglese, da sempre impegnato a fare vedere le contraddizioni della società inglese e soprattutto la sofferenza di chi è ai margini, l’altro, romano, conosciuto per i libri che hanno come protagonista Rocco Schiavone, un vice questore molto originale. E che questa volta, con Orfani bianchi, ha cambiato direzione e sguardo, sbattendoci in faccia la storia di una donna, di una madre che abbandona il figlio pur di sopravvivere: stiamo parlando delle migliaia di badanti che accudiscono i nostri vecchi fino alla morte e che ci sostituiscono in questo ultimo viaggio.


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In Manzini non c’è nessun giudizio morale, soltanto una presa a d’atto di quello che siamo. E di quello che sono gli altri, che soffrono a causa nostra per l’immenso sacrificio che sono disposti a fare e al posto nostro perché ci sostituiscono negli affetti più privati e cari, nei legami di una vita e nella morte, che ci fa troppa paura riconoscere nel volto dei nostri familiari.

Allo stesso modo Loach racconta della cattiveria di una burocrazia che si è dimenticata la persona, il suo vissuto, e che dietro una facciata di efficientismo fine a se stesso smonta i rapporti sociali e la fiducia dei cittadini nello stato. Meno male che invece ci sono uomini come Daniel e altri che come lui hanno ancora un’anima, una speranza anche, e non smettono di coltivare gli affetti, nonostante tutto. Il film è un inno alla solidarietà tra poveri e sofferenti e una denuncia spietata di quello che lo stato è diventato.

Entrambe le opere non fanno sconti, nessun lieto fine, ma tanta umanità nonostante tutto. Ambedue gli autori raccontando con stili diversi cos’è l’umano sentire, ci riportano a riconsiderare il cinema e la letteratura come mezzi per esprimere innanzitutto ciò che siamo e a riscoprire un sentimento come la tenerezza di fronte a una realtà denudata, cruda, che spesso è solo fotografata attraverso le statistiche perché i numeri fanno meno male delle parole e delle immagini.
Grazie Loach, grazie Manzini.

* L’autore – Lorenzo Fazio è il direttore editoriale di Chiarelettere, e ha pubblicato il nuovo romanzo di Manzini

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