Torna la rubrica #LettureIndimenticabili. Su ilLibraio.it lo scrittore Luciano Funetta racconta il suo incontro con il “Lenz” di Georg Büchner, scrittore e drammaturgo tedesco di inizio ‘800 morto giovanissimo: “Quella notte mi ritrovai a tremare di freddo, di terrore e di compassione…”

Bologna, una tetra aula del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere – più che un’aula, un ripostiglio in cui venivano relegate le classi dei corsi minori. Mi ero iscritto a Letteratura Tedesca perché sul programma avevo letto che avremmo parlato di Sebald, così come quattro anni prima mi ero iscritto a Lettertura Norvegese per portare a casa qualche esame leggendo Hamsun.

Era il periodo Sebald. Scoprire Sebald era stato un evento lontano galassie da tutto. Dopo aver scoperto Sebald avevo iniziato a camminare per chilometri ogni giorno, quasi sempre lungo la strada che dalla città porta all’eremo di Ronzano. Da lì, per tornare indietro, tagliavo per i campi, qualunque clima ci fosse; tagliavo per i campi fangosi, per i campi arsi, per i campi gelati e per i campi verde brillante, da cui si sollevavano migliaia di insetti appena nati. L’insignificante si trasforma in una vertigine, dopo Sebald. Avevo ventiquattro anni ed entravo in quell’aula con i libri di Sebald in borsa, pronto, come sempre, a non ascoltare niente.

Sebald

Un giorno però la professoressa, una signora minuscola la cui voce ci perforava il cervello come il rumore di unghie sull’intonaco, raccontò di come Veza Canetti avesse, per anni, tenuto lontano il marito Elias dai libri di Georg Büchner. Solo quando lui pubblicò Auto da fè gli mise davanti il Woyzeck. Canetti lo lesse e passò la notte insonne. Poi gli diede il Lenz, il colpo di grazia. La lettura lasciò lo scrittore in uno stato di profonda disperazione. Auto da fé, a cui aveva dedicato anni di lavoro e di cui andava orgoglioso, all’improvviso gli sembrava un’opera minore. È Canetti stesso a raccontare questo episodio, in La coscienza delle parole, per introdurre un racconto della vita raminga, rivoluzionaria e breve, spaventosamente breve, di Büchner. Dopo quell’esperienza, quella «notte che per intensità e capacità di illuminazione si distinse da tutte le altre», Canetti non scriverà più un solo rigo di letteratura di invenzione, e così facendo, chiarendo una volta per tutte che la letteratura tedesca aveva la sua stella irraggiungibile, fondò qualcosa.

Sarebbero passati anni prima che decidessi di leggere anch’io le quaranta pagine del Lenz. Lessi la sventurata stirpe dei Mann, lessi Walser, Trakl, Kubin, Jeremias Gotthelf, ma mi tenni lontano da Büchner. Poi arrivò il momento. Lenz, che affrontai una sera in cui in tutto il quartiere era saltata l’elettricità, è la storia del grande poeta romantico che diventa pazzo e si rifugia in montagna, presso la parrocchia di Waldbach. Lassù, in mezzo ai boschi e alle rocce, la sua follia non si acquieta, anzi lo porta a vagare nella natura selvaggia, sotto improvvisi temporali, a rifugiarsi nelle casette di contadine angeliche, donne moribonde e vecchi pastori. Le visioni di Lenz e i sogni di Lenz: la scrittura di Büchner li faceva apparire così vividi, e io mi ritrovai a tremare di freddo, di terrore e di compassione.

Lenz

Nel corso del tempo ho sempre preferito tenere per me il segreto di quella notte piena di stranezze. Ho riletto il Lenz innumerevoli volte, anche in tedesco – l’edizione italiana è provvista di testo a fronte – senza conoscere il tedesco, perché risuonasse nella mia testa la musica originale. Leggere Büchner in tedesco è come ascoltare il Kidertotenlieder di Mahler cantato da Kathleen Ferrier. Una falla nell’umano.
«Le immagini più belle, i suoni più ricchi e pieni si raggruppano, si sciolgono. Solo una cosa rimane: una infinita bellezza che da una forma trascorre in un’altra, in un eterno dischiudersi, in un eterno mutare […]». Questo scrisse Büchner prima di morire a ventiquattro anni, con la mente scardinata come quella del suo eroe, una mente che vedeva tutto.

LA RUBRICALetture impossibili da dimenticare, rivelatrici, appassionanti. Libri che giocano un ruolo importante nelle nostre vite, letti durante l’adolescenza, o da adulti. Romanzi, saggi, raccolte di poesie, classici, anche testi poco conosciuti, in cui ci si è imbattuti a un certo punto dell’esistenza, magari per caso. Letture che, perché no, ci hanno fatto scoprire un’autrice o un autore, di ieri o di oggi.
Ispirandoci a una rubrica estiva del Guardian, A book that changed me, rifacendosi anche al volume curato da Romano Montroni per Longanesi, I libri ti cambiano la vita. Cento scrittori raccontano cento capolavori, abbiamo pensato di proporre a scrittori, saggisti, editori, editor, traduttori, librai, bibliotecari, critici letterari, ma anche a personaggi della cultura, della scienza, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della scuola, di raccontare un libro a cui sono particolarmente legati. Un’occasione per condividere con altri lettori un momento speciale.

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore

L’AUTORE – Luciano Funetta, clesse 1986, vive a Roma. Fa parte del collettivo di scrittori “TerraNullius” e ha pubblicato racconti su WATT, Granta Italia, Costola e altre riviste. È inoltre tra gli autori di Dylan Skyline – dodici racconti per Bob Dylan (Nutrimenti, 2015). Il suo romanzo d’esordio – finalista al premio Strega e di cui si è molto parlato nei mesi scorsi – è Dalle rovine (Tunué): il diario noir e allucinato del protagonista Rivera, raccontato con una voce narrante insolita e straniante, il “noi”

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