“Ho avuto una bella vita, sì, con alti e bassi”. Marisa Bruni Tedeschi ha scritto un divertente mémoire per raccontare la sua vita: il marito Alberto (l’unico), gli amori (tanti, folli e impossibili), i due rimpianti più grandi, il rapporto con le figlie, Carla e Valeria, la musica, la morte del figlio Virginio che spera prima o poi di incontrare di nuovo. Intervistata da ilLibraio.it rivela: “Ho aperto la mia casa di Parigi a quattro eritrei per dare l’esempio a chi può di ospitare questi disperati”. E riflette: “È molto meglio parlarsi, dire tutto, litigare e poi riconciliarsi che non parlare affatto. In tutte le famiglie ci sono segreti”

Pianista di talento, attrice sporadica, amante appassionata, trasgressiva per carattere, mamma di Carla Bruni, modella ed ex première dame di Francia, e Valeria Bruni Tedeschi, attrice e regista. Marisa Borini, 87 anni il 1° aprile, siede nella sua camera d’albergo con aria sbarazzina, le immancabili sigarette tra le dita lunghe e affusolate da musicista e un caffè che sorseggia piano. Sorride: “Ho avuto una bella vita, sì, con alti e bassi”. Ne è venuto fuori un mémoire, Care figlie vi scrivo, appena pubblicato da La nave di Teseo. Lo ha scritto in francese: “Strano, perché parlo con le mie figlie sempre in italiano”. Raccontare la diverte, senza reticenze. In fondo, non è più l’età per i segreti. E lei, si capisce, non è il tipo che ama tenerne molti. Di alta borghesia torinese, si è sempre divertita a distanziarsi da quel mondo e stupire. Il marito, Alberto Bruni Tedeschi, scomparso nel ’96, era l’erede della dinastia dei pneumatici Ceat, secondi solo ai Pirelli. Poi la passione dell’arte prese il sopravvento e finì a comporre (di notte) musica dodecafonica e dirigere il Teatro Regio di Torino prima di andare a vivere a Parigi. Nel libro Marisa rievoca la morte del padre a 13 anni e quella del figlio Virginio, l’infanzia sotto il fascismo, la guerra, il matrimonio con Alberto e, in mezzo, tanti amori folli e impossibili. Tra cui quello con il musicista diciannovenne Maurizio Remmert con il quale concepì Carla. Era il 1967, e gli scandali non erano esattamente cose da borghesi.

marisa bruni tedeschi

La guerra fu il dramma della vostra generazione. Quello del nostro tempo qual è?
“La grande crisi generale che disorienta tutti. L’immigrazione è un fenomeno imponente, epocale”.

Come lo stiamo affrontando?
“Nella mia casa di Parigi ho ospitato per quattro mesi quattro immigrati eritrei. Appena arrivati in Francia erano stremati, dormivano in strada. Me li ha presentati una signora e ho fatto tutti i documenti. Da me si sono riposati e li ho sfamati, dovevano andare a fare la coda alle quattro di mattina per poter avere il permesso di soggiorno”.

Perché l’ha fatto?
“Per dare l’esempio ad altri che possono ospitare queste persone. Certo, è molto difficile accoglierli tutti, mi rendo conto, è un dramma troppo grande”.

Come è nato questo libro?
“Ho cominciato a scriverlo quando mi sono accorta che le mie figlie non sapevano nulla della mia infanzia. Ho trascorso quindici anni sotto il fascismo, poi la guerra e la morte di mio padre. A un certo punto mi sono ripromessa di scrivere tutto. L’ho letto a Carla e Valeria e loro mi hanno detto di andare avanti”.

bruni tedeschi

Come definirebbe la sua vita?
“Una bella vita con alti e bassi. La morte di mio figlio Virginio (morto di Aids nel 2006, ndr) è stato il dolore più grande. E poi tante belle esperienze e incontri favoriti anche dal mio carattere allegro, espansivo, ciarliero”.

Il regime, la guerra, la fuga con la sua famiglia: che infanzia è stata la sua?
“Da bambina mi obbligavano a cantare, adoravo farlo, il sabato dovevo indossare la divisa da piccola italiana, mi facevano fare la danza ritmica e tanto sport. Mi piaceva. Per me non è stato spiacevole, non ho sofferto. A quell’età si è quasi inconsapevoli”.

Che clima c’era in casa sua?
“Sentivo i discorsi dei grandi: mio padre che non era iscritto al Partito fascista aveva l’obbligo come ingegnere di indossare la camicia nera in certe occasioni. Aveva due grandi amici antifascisti, il professore Greco, un avvocato napoletano, e l’avvocato Martorelli, morto torturato e al quale a Torino hanno dedicato una strada. Mia madre era francese. Se a cena qualcuno raccontava una barzelletta sul Duce e veniva denunciato, andava dritto in prigione. Non c’era nessuna libertà. Ricordo come fosse ieri la dichiarazione di guerra di Mussolini contro Francia e Gran Bretagna”.

Che sensazione provò?
“Ero ai giardini pubblici, salii in casa e trovai mia madre che ascoltava la radio e piangeva perché aveva tutti i suoi parenti in Francia. Subito dopo la dichiarazione ci fu il primo bombardamento su Torino. Diventammo una famiglia di sfollati, sempre in giro da una parte all’altra. Io continuavo a cambiare scuola, ma paradossalmente tutto questo un bambino lo accetta molto più facilmente di un adulto”.

Nella sua carriera ha incontrato tanti grandi, da Pablo Neruda a Gérard Depardieu, da Rudolf Nureyev a John Travolta, da Elisabetta II a Herbert von Karajan, da Luchino Visconti a Raf Vallone. Quale incontro le ha lasciato un ricordo particolare?
“Sono tutte persone che ho incontrato per motivi di lavoro, la musica o i viaggi di mio marito. Con nessuno di loro sono entrata davvero in intimità. Ho adorato parlare con Pablo Neruda che ho visto due volte. A Parigi ho conosciuto molti artisti, con Depardieu siamo molto amici. Dopo i concerti al Teatro Regio, quando mio marito era direttore, invitavamo a casa gli artisti come il maestro Karajan. Però, sa, con le celebrità è difficile entrare in una conversazione intima, in genere sono un po’ narcisi, parlano sempre di se stessi”.

C’è qualche personaggio celebre che avrebbe voluto conoscere?
“Sì, Dante Alighieri (ride, ndr). Ogni tanto leggo un po’ della Divina Commedia. Gli avrei fatto i complimenti per come ha descritto la passione di Paolo e Francesca”.

Uno dei suoi grandi amori è stato Arturo Benedetti Michelangeli, l’Arcangelo, come lo ha soprannominato, che descrive come un uomo meraviglioso ma anche dispotico e duro. Rifarebbe anche i sedici chilometri a piedi, di notte, nella foresta, per fuggire da casa sua, dopo averlo lasciato per sempre?
“Rifarei tutto. Non a caso ho messo in esergo al capitolo la frase di Dante: ‘amor, ch’a nullo amato amar perdona’. Quando penso alla passione amorosa penso subito a Paolo e Francesca. Tutte le passioni impossibili sono destinate inesorabilmente a finire e di solito finiscono sempre male”.

E Maurizio Remmert?
“È stata un’altra grande passione della mia vita”.

Hanno scritto che d’estate a Cap Negre, in Costa Azzurra, lei faceva di tutto perché i suoi figli frequentassero i giovani Grimaldi, i bambini di Grace Kelly: Caroline, Alberto e Stephanie.
“Ma va, è un’invenzione (ride, ndr)”.

Esiste ancora la borghesia in Italia?
“Credo di sì, anche se è cambiata molto. La mia famiglia era super borghese, nel nostro ambiente non ho mai visto un divorzio o una separazione, era tutto ritmato da abitudini regolari”.

Qual è la differenza tra italiani e francesi?
“Siamo molto diversi. In Francia alla mia epoca le ragazze dovevano fidanzarsi e sposarsi. Adesso non si sposano più, quando sono stufi si separano, gli ex vivono con altri partner e poi, a loro volta, hanno dei figli con nuovi partner. I miei nipotini hanno una massa di sorellastre e fratellastri, sono le famiglie composé. Alla mia epoca non era così, in Italia poi non c’era neanche il divorzio”.

Quanto è importante la fedeltà per la durata di un matrimonio?
“Può essere importante. Ci sono quelli che si sposano e per cinquant’anni stanno bene insieme. Ogni caso è a sé. Per me e Alberto è stato diverso anche perché io avevo perso il padre a 13 anni, lui la madre. Insieme, avevamo compensato questi vuoti”.

Lo amava suo marito?
“Ricomincerei il matrimonio con lui subito, c’era una complicità fantastica, e poi c’era la musica, lui era più anziano di me e mi ha insegnato molte cose sull’arte e la finanza. Era un uomo straordinario, ma a un certo punto, è mancata la scintilla che fa continuare l’amore. Io ero giovane, un’artista, viaggiavo molto, avevo l’occasione di fare tanti incontri. Però tutto questo non ha rovinato la nostra unione”.

Ha dei rimpianti?
“Due. Mi dispiace di non aver detto a mio marito di avere avuto mia figlia Carla da un altro uomo”.

Perché ha taciuto?
“Ho riflettuto a lungo, non lo so, non ne sentivo la necessità, la bimba era felice, lui la amava. L’altro rimpianto è non aver rivelato a mio marito la malattia di Virginio, lui aveva proibito a me e alle sue sorelle di dirlo al padre. Questo è stato uno sbaglio, il rapporto tra padre e figlio era piuttosto difficile e la malattia forse li avrebbe potuti riavvicinare. Virginio era molto chiuso, Alberto un estroverso, faticavano a dialogare, io cercavo di smussare gli angoli per evitare conflitti e questo è uno sbaglio, è molto meglio parlarsi, dire tutto, litigare e poi riconciliarsi che non parlare affatto. In tutte le famiglie ci sono segreti. Però non me ne faccio una colpa, in genere sono una che non ha troppi rimorsi”.

Tra Valeria e Carla chi le somiglia di più?
“Nessuna delle due. Forse ci assomigliamo nella passione per l’arte, nell’accanimento a fare le cose che vogliamo, ma non nel carattere. Entrambe sono due lavoratrici straordinarie come me che ho sempre studiato e fatto tante cose. Carla è piuttosto introversa, nonostante la vita che ha avuto e la gente che ha incontrato ama stare da sola. Valeria è apparentemente confusionaria, sembra sempre in ritardo però si occupa molto bene dei figli e del suo lavoro, ma è difficile convivere con lei”.

Sua figlia Valeria l’ha voluta in tutte e tre i suoi film da regista.
“Lei è una molto vulcanica, mi spinge sempre a fare tante cose, nonostante l’età. Mi dice che lo fa per incoraggiarmi a invecchiare bene”.

bruni tedeschi

Com’è suo genero Nicolas Sarkozy in privato?
“Lo adoro, è un uomo pieno di attenzioni, (il 7 marzo scorso, ndr) è venuto a Torino per la presentazione del mio libro. È molto familiare”.

Le manca l’Italia?
“Sì, molto. Ci vengo sempre volentieri. Era da un pezzo che non venivo a Torino e a Milano. Due volte l’anno vado a Venezia. L’Italia mi piace più della Francia”.

Di Torino cosa le manca in maniera particolare?
“La facilità di incontrarsi per caso se uno va a fare una commissione. A Parigi non esiste, se vuoi vedere qualcuno devi telefonare, guardare l’agenda e prendere appuntamento. A Torino c’era più facilità di fare incontri, mi piaceva andare a zonzo per la città, vedere le strade piene di gente”.

È vero che suo marito quando era sovrintendente al Teatro Regio mandò via Pavarotti?
“Sì. Quando glielo proposero disse perentorio: ‘non voglio conoscerlo, con quel cognome così non farà carriera’. Quando lo raccontava si vergognava molto”.

Se dovesse andare su un’isola deserta da sola quale opera musicale si porterebbe?
“La Nona Sinfonia di Beethoven, perché ogni volta che la ascolto mi commuove. Nel tempo dell’adagio riesce a esprimere tutto il dolore e tutta la consolazione del mondo, è l’ultima cosa che ha scritto Beethoven, non ha potuto neanche ascoltarla tanto era sordo. E poi il Requiem di Verdi perché è diverso dagli altri, ha un ritmo quasi furioso. Finisce con quel grido: Libera me, Domine, de morte aeterna. Sa, invecchiando si pensa alla morte più di prima”.

Lei crede in Dio?
“Non so se credo in Dio, penso che qualcos’altro dopo ci sia altrimenti la nostra vita sarebbe una grande stupidaggine”.

Ci sarà lo spazio in questo qualcos’altro per incontrare di nuovo suo figlio?
“Penso di sì, quando vado in terrazzo e guardo le stelle, la luna, il creato penso che forse da qualche parte ci sono queste anime, è come un presentimento che in qualche angolo magari lo rivedrò”.

Qual è il suo scrittore preferito?
“Ho letto tutto di Thomas Mann, in lui ci sono sempre la musica e la malattia, mi si addice molto. Adoro Se questo è un uomo e La Tregua di Primo Levi. Non sono una grande lettrice. Mi annoia a morte Proust e sono in lite continua con i parenti di Carla che sono dei proustiani scatenati, mi hanno mandato la Recherche anche in audiolibro ma io non sono mai riuscita a leggerla figuriamoci ad ascoltarla”.

Cosa c’è nel suo futuro?
“La cosa più importante a cui mi dedico adesso è quella di educare i miei nipoti alla musica. Ogni tanto li porto a teatro oppure gli faccio ascoltare le opere in tv. Aurélien (che sua figlia Carla ha avuto con Raphaël Enthoven, ndr) ha smesso, ha 16 anni e frequenta una scuola molto impegnativa, è appassionato di cose scientifiche, è uno Youtuber e io spesso lo accompagno ai congressi. Gli altri sono piccoli, ma cerco comunque di farli appassionare alla musica. Sono super impegnati, devo infilarmi nei loro buchi”.

Qual è il pensiero che fa la sera prima di andare a dormire?
“Ringrazio il buon Dio o chi per lui perché ho una famiglia in buona salute e incantevole”.

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