Matteo Righetto torna in libreria “L’anima della frontiera”, una storia ambientata al confine tra l’Austria e il Veneto, in un luogo chiamato Nevada… – Su ilLibraio.it un capitolo del romanzo

Arriva in libreria il nuovo western letterario di Matteo Righetto, intitolato L’anima della frontiera (Mondadori), romanzo ambientato in Veneto, ma vicino alla frontiera con l’Austria, in un luogo chiamato Nevada.

Lo scrittore padovano, classe 1972 e insegnante di lettere, è autore, tra gli altri, di Savana Padana (Tea), La pelle dell’orso (Guanda, da cui è stato tratto il film di Marco Segato con Marco Paolini), Ultimo giro di giostra (Guanda), Apri gli occhi (Tea) e Dove porta la neve (Tea);

Il nuovo romanzo di Righetto è ambientato il suo nuovo libro alla fine del XIX secolo in alta val Brenta, dove la famiglia De Boer coltiva tabacco in una terra inospitale, sapendo che la loro unica possibilità di salvezza e sostentamento dipende dall’alleanza tra l’uomo e quei boschi selvaggi. Un giorno Augusto, il capofamiglia, sperando di vendere il raccolto avanzato, decide di recarsi oltre la frontiera austriaca, un viaggio pericoloso che comincia a intraprendere regolarmente, per poter mantenere la famiglia con dignità, e col tempo porta con sé anche la figlia, Jole.

Jole impara i sentieri della foresta, impara a riconoscere le montagne e a seguire il padre, ma la loro quotidianità di duro lavoro si interrompe quando Augusto scompare e la giovane deve intraprendere da sola il pericoloso viaggio tra i boschi inospitali e e i torrenti di montagna, nel tentativo di tenere al sicuro il suo prezioso carico e di scoprire cosa è successo a suo padre. Jole, instancabile lavoratrice e donna coraggiosa, dovrà raccogliere tutta la sua forza per affrontare quel viaggio da sola.

matteo righetto l'anima della frontiera copertina

Per gentile concessione dell’editore su ilLibraio.it pubblichiamo un capitolo del romanzo:

Quando si riprese, si sentì la testa intorpidita e i suoi occhi, ancora socchiusi, non distinguevano bene i contorni.

Le parve di vedere a distanza ravvicinata il muso di Sansone, poi si sentì la pelle del viso umida e insieme ruvida. Era una strana sensazione. Spalancò gli occhi e capì che era tutto vero: il cavallo la stava leccando per rianimarla.

Si passò una manica della camicia sulla faccia e si tirò su a fatica, prima sollevando il busto e poi rimettendosi in piedi. Una decina di corvi imperiali si staccò dai rami dei tigli circostanti e si sollevò in volo gracchiando mestamente. Il cavallo nitrì e portò il muso sulla spalla destra della ragazza. Lei lo accarezzò. Le sembrava di aver dormito per giorni, aveva un terribile mal di testa. Alzò lo sguardo al cielo e notò che il sole era dove l’aveva visto l’ultima volta: sopra la sua testa. Doveva aver perso i sensi solo per pochi secondi.

Gli venne in mente suo padre. Chissà quando era morto, e dove, e perché. Anche se non c’era, lo sentiva sempre al suo fianco, coi suoi silenzi, i suoi sguardi ammonitori ma anche capaci di esprimere tanto calore. Allontanò il pensiero.

Alleggerì il suo Haflinger di tutto il carico posandolo al riparo dal pulviscolo d’acqua e dagli spruzzi che continuavano a sollevarsi vicino alla cascata, e, quando ebbe finito, con una pacca sulla coscia invitò il cavallo a entrare in un punto del torrente dove la corrente era meno forte.

Sansone poté così liberarsi dalla terra, dal fango, dalla polvere e dal sudore stantio, ma anche dalle decine di insetti che gli ronzavano sempre intorno.

In quel momento della giornata e in quel punto del canyon, totalmente riparato dai venti e ferocemente battuto dal sole che riverberava sulle alte rocce delle due pareti, faceva molto caldo nonostante fosse autunno. La ragazza si portò sulla riva del fiume pochi passi più a valle, dove nei secoli la corrente aveva creato una piccola ansa che terminava in un cadino naturale di granito, una pozza blu profonda almeno un metro. Si lavò il viso e poi, cominciando dagli stivali, indumento dopo indumento si spogliò completamente e assaporò con piacere il tepore del sole sulla pelle liscia. Fece un passo in avanti e sfiorò con le dita il seducente pelo d’acqua nel cadino. Tutta la pelle del suo corpo, a eccezione del viso e delle mani, era chiara come un’alba lunare, e si accapponò per i brividi.

Chiuse gli occhi, contò mentalmente fino a quattro e al cinque si buttò nell’acqua, che sembrava neve appena disciolta.

Vi si immerse tutta intera sparendovi, senza pensarci, con il fiato mozzato in gola e la pelle d’oca. I suoi muscoli si risvegliarono improvvisamente. Riemerse e aprì gli occhi. Si sentì rinascere, fu come se la stanchezza, il dolore, le contusioni, le vesciche ai piedi, ogni graffio e perfino ogni cattivo pensiero e ogni paura fossero stati inghiottiti da quell’acqua miracolosa e in essa svaniti per sempre.

Allungò le gambe, l’acqua le arrivava allo sterno. Rimase ferma così per un po’ e si passò le mani tra i capelli bagnati. Poi si sfiorò il volto con i palmi, si accarezzò le guance, le labbra, il collo. Si toccò con delicatezza le cosce e il fondoschiena, e poi, a salire, il ventre e il seno: duro come il marmo, sodo, coi capezzoli inturgiditi, duri come i proiettili del suo fucile. Continuò a toccarsi in quell’acqua benedetta, e più percepiva il suo corpo di donna sotto le mani e i polpastrelli, più si sentiva bene.

Le tornò in mente un ragazzo che aveva visto qualche mese prima alle cave di marmo giù a Sasso. Per un istante pensò di averlo davanti a sé e si immaginò che le mani con le quali si stava sfiorando fossero proprio quelle del ragazzo. Bello, alto, moro. Scacciò subito dalla testa quel pensiero.

Quando uscì dall’acqua tremava come in dicembre può tremare l’ultima foglia di betulla rimasta attaccata all’albero, e i suoi capelli bagnati erano così lunghi che le scendevano fino alle fossette che aveva sopra le natiche. Balzò velocemente verso le sue cose, prese una coperta di canapa e si asciugò come poté. Fece un fischio al cavallo, che uscì a sua volta dal torrente e si portò vicino a lei.
«Sembri più giovane di almeno due anni» gli disse la ragazza ridendo.

Si rivestì, stese a ventaglio i capelli su un masso esposto al sole e aspettò che si asciugassero almeno un po’, quindi bagnò e strizzò nel torrente il fazzoletto rosso, se lo rimise al collo, caricò nuovamente Sansone di tutto punto, si mise il cappello in testa, zaino e fucile in spalla, e ripartì.

(Continua in libreria…)

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