Griff, reporter di cronaca nera, indaga sulla misteriosa scomparsa del piccolo Brian, avvenuta anni prima. La ricca famiglia non gradisce l’intrusione e l’unico alleato si rivela Pierce, legale dei familiari… Su ilLibraio.it un estratto da “Sulle note del tempo” di Josh Lanyo, che segna il debutto in libreria del genere M/M, in cui l’amore gay ha tutte le dinamiche di una qualsiasi relazione, e l’elemento sociale è assente – I particolari

Griff Hadley, reporter di cronaca nera, si ritrova a indagare sulla misteriosa scomparsa del piccolo Brian Arlingotn, avvenuta vent’anni prima. La ricca famiglia, però, non sembra gradire la sua intrusione e l’unico alleato si rivela Pierce Mather, legale dei familiari. Insieme verranno coinvolti in un’indagine dove nulla è come sembra, fino a scoprire un’assurda verità.

Con Sulle note del tempo di Josh Lanyon, Harper Collins debutta in libreria l’“M/M romance”. Le storie d’amore gay non sono certo una novità nella letteratura, ma molto spesso si collocano in un contesto “sociale” (la difficoltà di vivere apertamente la propria sessualità, il confronto con gli altri…). Nel caso del genere “M/M”, invece, la tematica della relazione amorosa ha tutte le dinamiche di una qualsiasi relazione. Il tema dell’accettazione non è centrale, l’elemento “sociale” è pressoché assente. L’amore, in questi casi, è parte di una trama suspense.

sulle-note-del-tempo

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto:

A Griff piaceva pensare che, come giornalista di cronaca nera, non era il tipo che si spaventava facilmente, ma non c’erano dubbi che, di notte, nel parco di Winden House regnasse un’atmosfera suggestiva.
Forse a causa di tutte quelle statue con lo sguardo fisso nel vuoto, di uomini e animali che sbirciavano da dietro i cespugli, o delle lunghissime ombre proiettate dagli alberi nodosi e dai rami simili alle zampe di un ragno, o delle piante ornamentali, l’effetto film dell’orrore era tangibile.
Via via che le luci della villa si facevano sempre più piccole dietro di lui, Griff si rese conto di quanto fosse distante il cottage degli ospiti dalla dimora principale. E di quanto fosse isolata la tenuta dai vicini sulla costa.
Di notte, in lontananza, si sentiva il rumore delle onde. Si sarebbero dovuti sentire anche altri suoni nell’aria – grilli? rane? gufi? – invece regnava un silenzio assoluto. Si udiva solo il rumore sordo delle sue scarpe sui mattoni umidi. Dalla terra, ora rinfrescata, sentiva salire un odore di erba bagnata e di foglie in decomposizione, poi lui si inoltrò nel lungo tunnel degli alberi di rododendro.
Camminava a passo svelto, con gli occhi puntati sulle ombre blu delle luci ai piedi degli alberi, formulando mentalmente le domande che aveva intenzione di fare a Jarrett l’indomani. O quantomeno provò a pensare alle domande che voleva fare. Il pensiero di Pierce Mather continuava a distrarlo.
Perché Mather era venuto nella villa? Solo per farsi un’idea di lui? Per conto di chi? A quale scopo? Oppure gli Arlington lo invitavano spesso a cena? Di sicuro sembrava totalmente a suo agio, quasi uno della famiglia. Non portava la fede. Poteva essere che gli interessasse Chloe?
Eppure lui non aveva avuto l’impressione che ci fosse un’attrazione sessuale – nessun tipo di feeling – tra quei due.
Se mai un’attrazione c’era stata, era tra Mather e lui. Un’attrazione negativa, un’antipatia naturale. Per qualsiasi motivo si fosse trovato lì quella sera, l’avvocato nutriva dei chiari sospetti nei confronti di Griff e riteneva che il libro fosse una pessima idea. Dopotutto c’era da aspettarselo da un avvocato. E pareva essere un’opinione universale: a eccezione di Jarrett, sembrava che tutti gli Arlington credessero che il libro fosse una pensata infausta.
Lui ne comprendeva i motivi, riusciva a mettersi nei loro panni. Il chiedere avrebbe disseppellito tantissimi ricordi spiacevoli per tutti.
Uscì dal tunnel alberato. L’aria notturna era dolce e fresca, rinvigorita dall’odore di salsedine proveniente dal mare. Nel cottage, le lampade che aveva lasciato accese al piano di sotto proiettavano ombre a forma di ogiva sul prato.
Percepì dei movimenti. Con lo sguardo, puntò la forma indistinta del ponte e il suo cuore sembrò fermarsi.
C’era qualcuno laggiù.
Una sagoma alta, scura e immobile si stagliava in mezzo al ponte.
Nonostante Griff cercasse di rassicurarsi convincendosi che l’ombra non era altro che un effetto provocato dal chiaro di luna, la figura si mosse e sventolò la mano per salutarlo.
«Sono Pierce» gridò con voce profonda per sovrastare la corrente del ruscello. «Volevo fare quattro chiacchiere.»
Griff si sentì cedere le ginocchia per il sollievo. Cosa diavolo si era immaginato? Il rapitore di Brian si nascondeva sotto casa ed era pronto a tutto pur di non fargli scrivere il libro? Ridicolo. L’immaginazione non era mai troppa.
«Un po’ tardino per una visita, non ti pare?» domandò Griff avvicinandosi al ponte, sperando che Mather non avesse notato che era rimasto paralizzato per la paura.
«No, a meno che non ti corichi alle nove di sera. In ogni caso, credo sia venuto il momento di parlare a quattr’occhi.»
«Di cosa?» Il rumore dei passi di Griff sulle assi di legno del ponte stava svegliando i cigni. Ci fu uno sbattere d’ali, un sibilo e un fruscio delle canne, anche se nessun uccello si librò in volo.
Pierce si appoggiò disinvolto sulla balaustra, con le braccia incrociate. Il suo viso illuminato dalla luna sembrava perfetto e freddo come quello di una delle statue dagli occhi vacui lungo il sentiero del giardino.
«Del perché tu non scriverai quel libro» fu la sua pacata replica.

4

«Perché non scriverò il libro?» domandò Griff fermandosi a un paio di metri di distanza da Pierce. Non che avesse paura, ma non negava che l’avvocato l’avesse messo in guardia.
«Tre motivi.»
«E cioè?» chiese cercando di emulare lo stesso tono asciutto del suo interlocutore.
«Primo, sarebbe irresponsabile e immorale scrivere un libro del genere.»
«Non sono d’accordo. Secondo?»
«Nessun editore che si rispetti pubblicherà un libro di quel tipo.»
«Ovviamente tu non sai niente del mondo dell’editoria.»
Il sorriso di Pierce era bianco e gelido come l’argento della luna. «Non mi serve a niente. So tutto su come redigere una diffida. Terzo, e questo è l’aspetto che ti interessa di più, ti pagherò per non pubblicare il libro. Una somma molto superiore a quanto ti frutterebbe il libro, anche se riuscissi a pubblicarlo. La chiameremo una penale di cancellazione.»
Penale di cancellazione. Pierce si era preparato a dovere. Griff si era dimenticato di apparire altrettanto posato e pratico. «Perché? Che fastidio ti dà questo libro? Temi che possa scoprire qualcosa?»
«Non credo che scoprirai niente. Sono convinto che causerà solo tanto dolore a persone che mi stanno particolarmente a cuore.»
«Non sai niente di me. Non puoi sapere come sarà il libro che scriverò.»
«So quanto basta.»
Quella certezza assoluta fece quasi balbettare Griff per l’indignazione. «Ah, è così? Dev’essere fantastico sapere tutto, suppongo che ci si debba sentire onnipotenti. Peccato che qui ti sbagli. Non accetto la tua penale di cancellazione e scriverò quel libro. Cercherò di farlo nella maniera più rispettosa e sensibile possibile, ma lo farò. Se hai ancora intenzione di fermarmi, ti consiglio di parlarne con Mr. Arlington.» Quando Pierce non rispose, aggiunse secco: «Sì, proprio come pensavo».
«Stai commettendo un errore.»
Rabbrividì nell’udire la pacatezza della voce. Aggiunse: «Senti, di errori ne faccio tanti, ma non credo che scrivere questo libro sia uno di quelli. Qualcuno lo scriverà questo libro, quindi perché non io?».
«I motivi potrebbero essere più d’uno, a cominciare dal fatto che non hai i requisiti necessari.»
Non aveva menato il can per l’aia, questo Griff doveva riconoscerglielo.
«Okay. Apprezzo la tua onestà, ma permettimi di dissentire. E se non ti dispiace, è stata una giornata molto lunga.»
Dovette farsi coraggio per raggiungere – e superare – Pierce. Era sicuro che l’avvocato, in tutta la sua sofisticata bellezza, non lo avrebbe mai aggredito o spinto giù dal ponte, anche se non negava che emanava tensione e ostilità, come un campo di forze. O almeno, così gli sembrava, tensione e ostilità invece erano reali. Gli passò accanto, avvertendo un senso di disagio dopo aver odorato il dopobarba sexy e speziato e consapevole dello sguardo ostile e severo che lo teneva inchiodato.
Pierce non proferì parola e Griff continuò a camminare. Le assi di legno cigolarono sotto i suoi piedi.
«Sai perché hai ricevuto l’autorizzazione a scrivere questo libro?» domandò Pierce all’improvviso.
Griff si fermò e voltandosi disse: «No».
Il volto di Pierce era in ombra. Nient’altro che una macchia scura sul ponte dietro Griff. «Abbiamo avuto tantissime proposte, e da autori con credenziali molto più autorevoli delle tue.»
«Posso immaginare.»
«Perché dunque credi che Jarrett abbia deciso di spalancare le porte a un giornalista sconosciuto, un pivello di Milwaukee?»
Pivello? Giornalista sconosciuto? Era sempre più difficile mantenere la pazienza con quello sbruffone prepotente, tanto più che Pierce stava palesemente cercando di provocarlo, ma Griff tenne duro. «No, non lo so, perché non me lo dici tu?»
«Perché assomigli a Matthew quando aveva la tua età.» Quando Griff non reagì – non gli vennero le parole giuste – Pierce continuò: «Già. Ti ha affidato l’incarico perché a quel vecchio uomo dilaniato dal dolore ricordi il suo povero figlio. Come chiedete sempre voi avvoltoi: come ti senti adesso, Mr. Hadley?».
Una cosa che Griff aveva imparato come giornalista era di non considerare l’avversione per il lavoro che si doveva svolgere come un attacco personale. Alcuni casi erano più facili di altri. Poi finalmente riuscì a rispondere. «Sento tutta la responsabilità nei confronti di Mr. Arlington, so di poterlo aiutare a superare il dolore, dato che è stato così gentile da darmi una possibilità. Buonanotte, Mr. Mather.» Si voltò e attraversò il resto del ponte. Si impose di non voltarsi e, quando ebbe finito di armeggiare con la serratura del cottage, entrò in casa sbattendo la porta.

Di solito, dopo una discussione così ostile sarebbe rimasto sveglio a rimuginare su ogni singola parola, ripensando a tutto quello che avrebbe dovuto dire, giudicando con il senno di poi quali parole avrebbe dovuto usare, ma la stanchezza del lungo viaggio lo aveva esaurito e il letto era molto comodo. La luce che filtrava dal paralume dell’abat-jour era di un rosa tenue rigenerante, le lenzuola avevano un buon odore di pulito, come se fossero state stese al sole, asciugate dalla brezza marina, e le stelle facevano capolino dalla finestra della camera da letto. Una miriade di stelle.
Era la sua immaginazione o in quell’angolo di firmamento le stelle erano più brillanti e luminose del solito, come se le domestiche avessero appena finito di tirarle a lucido?
Era lì. Ce l’aveva fatta. Sarebbe andato tutto a buon fine. Avrebbe scritto per davvero il libro. Griff sorrise mentre le palpebre si facevano sempre più pesanti…
Si svegliò con l’eco della musica in testa. Rizzò le orecchie, ma ora non c’era nulla da ascoltare. Solo i soliti suoni della notte, i classici scricchiolii di ogni casa.
Forse l’aveva sognato. La melodia era chiara nella sua mente, così nitida che avrebbe potuto canticchiarla, ma non la riconobbe. Forse non era affatto una melodia e l’indomani mattina l’avrebbe comunque dimenticata…
E così fu. Il mattino seguente non ricordò neppure una nota. Se la musica era arrivata dalla casa principale, qualcuno doveva aver acceso lo stereo a tutto volume con le finestre aperte nel cuore della notte, ma era difficile da credere. Però la musica non poteva essere giunta da nessuna altra parte. Quindi se l’era immaginata.
Malgrado l’invito di Jarrett ad andare a mangiare alla villa, Griff preferì un bicchiere di succo di arancia e una scodella di cereali nel cottage. Visto che qualcuno si era preso la briga di rifornire la dispensa, sarebbe stato uno spreco non fare uso di quelle provviste. Inoltre, voleva organizzare il suo piano di attacco. Doveva sfruttare al massimo quella settimana. Non voleva lasciarsi distrarre da conversazioni frivole sul salmone affumicato e sull’Earl Grey. O qualsiasi cosa gli Arlington mangiassero a colazione. Probabilmente non cereali.
Quel giorno pensò a dare un’occhiata attorno per orientarsi un pochino. Avrebbe dovuto esaminare delle fotografie e altri documenti che gli Arlington gli avevano fornito. Il giorno dopo aveva un appuntamento con la polizia di Nassau, dopo l’incontro con Benjamin Copper, che aveva scritto un articolo sulla vicenda per l’Oyster Bay Runner. Mercoledì aveva in programma di intervistare Odell Johnson nella prigione di Sing Sing. Quello era un colpo grosso. Nessuno, a parte le forze dell’ordine e l’avvocato, aveva mai intervistato Johnson prima di allora e Griff sperava che dopo tutto quel tempo Johnson gli concedesse un colloquio. Vent’anni erano lunghi per tenere un segreto.
Dopo mercoledì, il resto del suo soggiorno era dedicato ad approfondire le interviste e a perseguire nuove piste. Sarebbe stata una settimana molto intensa, proprio come piaceva a lui.
Quando ebbe finito di fare colazione, prese il bloc-notes e la macchina fotografica, attraversò il ponte e salì sul pendio erboso. Lasciandosi alle spalle il tunnel alberato, decise di dare un’occhiata al giardino nascosto dove si era svolta la festa la notte del rapimento di Brian.
Il giardino nascosto di Winden House si ispirava al giardino all’italiana di Hever Castle in Inghilterra, a sua volta direttamente influenzato dai giardini all’italiana dell’epoca del Rinascimento e del Romanticismo. Per caso, il committente di Hever era stato un americano; William Waldorf Astor, il proprietario precedente, aveva richiesto una galleria all’aria aperta per tutte le sue sculture italiane.
I circa venti ettari di giardino all’italiana di Winden House, nulla a confronto, comprendevano alte siepi che formavano dei labirinti elaborati, un boschetto di susini selvatici conosciuto come Bosco delle Fate, terrazze di roseti, stagni eleganti e fontane, statue degne di un museo e montagnole rigogliose di piante esotiche.
In poche parole, ridicolo.
Ridicolo, però bellissimo. Il profumo di erba tagliata si mescolava all’aroma intenso delle rose e di altri fiori. Le urne classiche e gli elementi architettonici ricordavano a Griff il Forest Home Cemetery a Milwaukee, con la differenza che uno apparteneva a un’unica famiglia, l’altro era condiviso e apprezzato da tutti.
Griff estrasse la macchina fotografica e scattò qualche foto di Nels Newland sul livello inferiore della terrazza del giardino, intento a potare le rose. C’erano senz’altro foto migliori del giardino, però lui pensò che l’immagine dell’uomo chino, intento a lavorare in quell’immenso labirinto vuoto, fosse eloquente.
Ripose la macchina fotografica e scese giù per i gradini ricoperti di muschio.
«Giorno!» esclamò a voce alta.
Newland borbottò senza voltare la testa.
Griff non si lasciava scoraggiare facilmente. «Che bel giardino!»
Newland annuì, per nulla impressionato da quell’approccio cordiale.
Griff contemplò le dépendance intercomunicanti. Su una cosa si era sbagliato. Da lì non era possibile vedere il vialetto che dalla casa collegava al tunnel alberato. Le siepi e i muri di pietra erano troppo alti. Quindi quella sera qualcuno avrebbe potuto portare via Brian in fretta e furia attraverso il sentiero. L’unico pericolo di essere scoperti era quello di essere visti dagli ospiti che andavano e venivano dalla villa al giardino. Ospiti e domestici. Una volta raggiunta l’oscurità del tunnel alberato, le possibilità di essere scorti erano nulle.
Poiché tutti erano in giardino – o andavano avanti e indietro dalla cucina al giardino – la casa era essenzialmente vuota. La polizia era propensa a pensare che Brian fosse stato portato via dalla porta d’ingresso verso una macchina che li attendeva per fuggire. Quella notte c’era stato un viavai tremendo di auto, parcheggiate lungo il vialetto e nel cortile, una in più sarebbe sicuramente passata inosservata. Ci sarebbero voluti nervi d’acciaio per portare il bambino fuori dalla porta d’ingresso in quel modo, però era un tragitto più breve rispetto a passare dal retro della casa attraverso tutta la proprietà fino al mare.
Se Griff avesse pianificato quel tipo di crimine, avrebbe scelto l’uscita posteriore perché gli avrebbe offerto più vie di fuga, se qualcosa fosse andato storto. In qualsiasi modo fossero andate le cose, il reato era stato compiuto con audacia, quindi preoccuparsi di vie di fuga alternative non era rientrato nella pianificazione del rapitore.
Scattò un paio di foto della barriera di vegetazione e tornò da Newland, che lo ignorò bellamente. «Amo le rose. Sono anni che non ne vedo di così belle.»
L’uomo rimase muto come un pesce.
«Quella bianca è un’Alba-Semi-Plena?» domandò indicando una rampicante alta circa due metri e mezzo con fiori bianco latte e stami dorati.
Newland lo guardò in tralice e si lasciò scappare un: «Rosa bianca di York, esatto. Fiorisce una volta l’anno».
«In primavera o in estate» confermò Griff. «Mia madre coltivava rose. Le rose tradizionali erano le sue preferite.»
Newland lo squadrò da capo a piedi.
Griff si voltò lento, ammirando i dislivelli di fiori e di vegetazione verde del giardino. «Ci vogliono molte persone per mantenere i giardini di una tenuta di queste dimensioni.»
Newland si raddrizzò. O, se non altro, si tirò su fino a dove la schiena ricurva glielo permise. «Una volta avevamo un piccolo esercito. Ora sono rimasto solo io e un paio di giovanotti del posto nei fine settimana.»
«Come mai?»
Lo scrutò torvo. «Gli Arlington non hanno avuto un rovescio di fortuna, se è quello che sta pensando.»
Griff fece una smorfia. «Non volevo insinuare nulla. A quanto pare il giardinaggio sta sviluppando nuove tendenze, proprio come il movimento alimentare di Miss Arlington.»
Newland contorse il volto pesante come se si sentisse male, poi sbuffò e Griff capì che stava cercando di nascondere un’espressione divertita. «Ho detto a Miss Muriel che, se desidera coltivare rape e carote, dovrà assumere altro personale.»
Griff annuì. «Suppongo che in generale lei non abbia grandi contatti con la famiglia, vero?»
«Il giusto.» Newland continuò a potare le rose con tagli netti e precisi.
Griff esaminò il muro di siepi alte che costituivano sia una barriera acustica che visiva. «Qui è dove si tenne la festa la sera del rapimento di Brian, vero? Avevano allestito una pista da ballo al centro del prato laggiù?»
«Esatto.»
«Il tema era Sogno di una notte di mezza estate, dal titolo della famosa commedia.»
«Non saprei. Non vado a teatro.»
«Nemmeno io. Però quella l’ho vista a scuola. Il giardino era uguale a ora?»
«Sì.»
«Le siepi erano alte come quelle di oggi?»
«Più o meno, sì. Un paio di rose a cespuglio in più laggiù vicino all’obelisco» disse Newland indicando un paio di rose tea color rosa e corallo che avrebbero ricoperto una struttura in ferro battuto alta oltre tre metri.
«Ha una buona memoria. Conosceva Odell Johnson?» domandò Griff.
«Sì, lo conoscevo.»
«Che cosa ne pensava?»
«Niente di particolare.»
«Lei si meravigliò quando Johnson fu arrestato con l’accusa di aver rapito Brian?»
«Meravigliato?» domandò Newland indignato. «Certo che mi stupì. Chiunque si sarebbe meravigliato. Gli Arlington non avrebbero mai assunto di proposito una persona capace di compiere un atto del genere.»
«Le balenò mai l’idea che Johnson potesse non essere colpevole?»
Newland diede un’altra sforbiciata al cespuglio di rose gialle. «No.»
«È al corrente che Johnson continua ancora a sostenere di essere innocente?»
«Be’, i criminali lo fanno tutti.»
«Sì, suppongo di sì.» Esaminò l’espressione imperscrutabile dell’uomo. «Chi l’aveva assunto?»
La testa pesante di Newland si voltò per fissare Griff senza comprendere.
«Chi si occupò della sua assunzione? Non Jarrett Arlington, presumo. Fu Miss Arlington?»
«Gli Arlington non si occupano di assunzioni e licenziamenti.» Newland trovava ridicolo il solo pensiero. «All’epoca il maggiordomo era Mr. Tuppalo. Fu lui ad assumere Johnson quando il vecchio autista se ne andò. Quando Tuppalo andò in pensione, gli Arlington decisero che non avevano più bisogno di un maggiordomo. Non era più come ai vecchi tempi quando la casa era sempre piena di ospiti. Adesso è tutto molto tranquillo. Sono quasi tutti della famiglia. Niente che non possa essere gestito da Mrs. Truscott.»
Griff si ricordava vagamente di Mr. Tuppalo dai vecchi notiziari. Era uno di quei domestici storici della famiglia e non era mai rientrato tra i sospettati durante le indagini della polizia. O almeno non era stato divulgato dai giornali. «Che tipo di rapporto c’era tra Mr. Tuppalo e Johnson?»
«Non si conoscevano affatto. Johnson non era di qui.»
Forse Tuppalo non aveva conosciuto Johnson o forse sì. Solo perché Johnson non era del posto non significava che non potessero conoscersi. «Di dov’era?»
«Non ricordo.»
«Mr. Tuppalo è ancora vivo?»
«No. È morto…» Newland ci dovette riflettere. «Una quindicina di anni fa, o forse anche più.»
Un vero peccato. Sarebbe stato interessante intervistare Tuppalo. «Sa se Mr. Tuppalo ha dei familiari che vivono da queste parti?»
«Sua figlia May abita ancora a Syosset» disse Newland, non senza qualche reticenza.
«È sposata? Per caso sa come fa di cognome?»
«Chung. Ma è tempo sprecato. La polizia ha già svolto delle indagini in merito. Mr. Tuppalo non conosceva Johnson. Presupporre che Tuppalo fosse coinvolto in un atto criminale, in modo particolare un rapimento, è folle.»
«Certo che sì» concordò Griff disinvolto. «Ma fa parte del mio lavoro riesaminare tutto. Non farà certo male ricontrollare tutto nei minimi particolari, no?»
«Non ne sarei così sicuro» asserì Newland.

Quando Griff arrivò alla villa, Mrs. Truscott lo informò che era in ritardo per la colazione.
«Non importa, ho già mangiato» la informò.
Una tale indifferenza sembrò infastidire Mrs. Truscott che rincarò la dose informandolo che Mr. Arlington era troppo impegnato per parlargli e che doveva scendere direttamente in biblioteca dove i documenti e gli album di famiglia erano stati tirati fuori per lui.
Griff era pressoché sicuro che Jarrett Arlington non aveva usato il giro di frase troppo impegnato per parlare, ma fu oltremodo contento di sapere che aveva accesso a questi preziosi materiali di ricerca senza doversi preoccupare di urtare la sensibilità di qualcuno.
Non sapeva esattamente in cosa consistessero i documenti di famiglia. Si ricordò che Jarrett aveva accennato al fatto che Gemma Arlington teneva un diario. Era difficile non tracciare un parallelo con i diari che aveva tenuto Ann Morrow Lindbergh – che risorsa straordinaria sarebbe stata. Esistevano delle evidenti correlazioni dolorose tra il famigerato rapimento di Lindbergh e la tragedia della famiglia Arlington. Però non c’era garanzia che il diario di Gemma sarebbe stato qualcosa di più di una lista degli appuntamenti giornalieri o degli alimenti che consumava quando era a dieta, ammesso che le donne ricche condividessero le stesse complicate abitudini alimentari delle colleghe di Griff al Banner Chronicle.
Mrs. Truscott gli fece strada verso la biblioteca, chiara dimostrazione che non si fidava a lasciarlo scorrazzare da solo per la casa. Non gli rivolse la parola, si sentiva solo rimbombare il ticchettio di tacchi lungo il corridoio.
La biblioteca era un salone su due livelli decorato con marmi e foglie d’oro. Migliaia di libri, forse più di tutti quelli contenuti nella biblioteca pubblica di Janesville, erano stipati su scaffali intagliati in noce che occupavano tutta la parete, dal soffitto al pavimento. Un arazzo verde e blu grande come un tendone da circo ornava un lato della stanza. Su di esso era rappresentato un giovane con un unico pomo d’oro e tre donne dall’aria compiaciuta. Sull’altro lato della stanza c’era un camino incorniciato da una splendida mensola in marmo nero. L’imboccatura era più alta di Griff. Davanti al focolare c’erano due sedie e un esile tavolo da gioco con sopra una preziosa scacchiera in ebano e avorio.
«Mamma mia!» mormorò, ammirando la mensola finemente decorata in marmo. Pareva un monumento funebre.
Mrs. Truscott gli lanciò un’altra occhiata di disapprovazione.
Griff soffocò il resto del pensiero, cioè che fosse assurdo che una famiglia potesse possedere qualcosa del genere quando interi paesi, città e Stati non potevano permettersi di mantenere i propri musei e pinacoteche aperte. Era evidente che Mrs. Truscott era una schiava proletaria spontaneamente sottomessa alla volontà dei padroni capitalisti. Domandò: «C’è qualcosa di Fitzgerald o di Hemingway?». In parte scherzava e in parte no. Tenere in mano la prima edizione de Il grande Gatsby sarebbe stato meraviglioso.
«La collezione al piano inferiore consiste in libri di letteratura, storia, religione, arte, filosofia e vela.»
«Vela?»
«Libri sulle tecniche di navigazione.»
«Capisco.» Forse la combinazione vela, religione e filosofia aveva un senso per gli Arlington.
«Alcuni di questi libri hanno oltre cent’anni.» Mrs. Truscott lo diceva con un tale orgoglio da sembrare la proprietaria della biblioteca.
«Ci credo.» Griff si diresse verso un enorme tavolo di mogano dove erano stati accatastati alcuni album di fotografie rilegati in pelle, tutti con le loro etichette. Ne aprì uno datato 1975. Le facce giovani e altamente fotogeniche dei figli degli Arlington sfoggiavano un sorriso smagliante, fotografati su barche, pony e puledri purosangue. «Non mi aspettavo nulla di così ben organizzato. Impressionante.» L’intera collezione delle sue fotografie di famiglia stava in una busta di Manila. Anzi, a quanto gli risultava, Levi aveva portato via la busta con sé, assieme a tutto il resto, quando se ne era andato.
Le Mrs. Truscott del mondo non alzavano gli occhi al cielo, ma accennando un guizzo di un muscolo facciale la donna riuscì a trasmettere quanto poco fosse meravigliata che Griff fosse così ignorante riguardo al mondo degli Arlington.
«È responsabile anche di questo?» domandò Griff. «Deve essere un lavoraccio tenere in ordine tutti i ritagli della stampa.»
«Assolutamente no.» Poi si addolcì. «Mrs. Arlington – la moglie di Matthew – si occupava di questi album. Raccolse tutte quelle foto sparse che risalgono a quando la casa fu costruita, le mise in ordine e le catalogò.» Il suo tono più pacato era in onore di Mrs. Arlington, morta tanti anni prima, non per Griff. Poi Mrs. Truscott tornò acida. «Le maneggi con cura. Sono fragili.»
«Farò attenzione.» Griff aveva parlato distrattamente perché aveva notato il libro rigonfio color lavanda in fondo al tavolo. Ebbe un tuffo al cuore. Una copertina color lavanda? Doveva essere una specie di libro mastro o di diario. Il diario di Gemma?
«Non è autorizzato a portare via nessun libro da questa stanza» lo avvertì Mrs. Truscott, con un tono di cui sarebbe andato fiero qualsiasi curatore di museo.
«Non si preoccupi.»
Anche distratto com’era, sapeva che quella donna voleva continuare ad ammonirlo, ma non aveva molte cose a cui appigliarsi. Le sorrise per rassicurarla. Corrugando la fronte, finalmente lei si dileguò, con il rapido ticchettio dei tacchi che si affievoliva sempre di più, via via che raggiungeva il fondo della stanza. Alla fine calò un silenzio assoluto.
Griff afferrò il diario. La copertina in pelle di talpa era morbida e sorprendentemente viva al tatto. Lo aprì. In caso di ritrovamento si prega di restituirlo a: Gemma Macy Arlington, recitava il messaggio scritto con una grafia femminile all’interno della copertina.
Ma Gemma era morta da più di dieci anni e i segreti dei defunti erano un bersaglio lecito di studiosi e giornalisti.
Il diario iniziava nel 1992 e terminava nel 1994. Tre anni di cui il 1993 era stato l’anno clou. Griff ringraziò mentalmente Jarrett e voltò la prima pagina. 1 gennaio 1992.

Quando vivevo a New York, quel costante frastuono mi infastidiva. Aerei, treni e automobili. Cani che abbaiavano, gatti miagolanti. Matti e vagabondi che imprecavano sulle strade. Le tubature intasate nel palazzo del mio appartamento, il boato della televisione a tutto volume dei vicini, accesa a tutte le ore. Invece qui, in inverno, il silenzio è così assoluto che talvolta spero che suoni una sirena.
Persino la neve è più silenziosa qui.

Puntuale come un orologio, Gemma chiacchierava con la disinvoltura di una diarista consumata.
Griff diede una scorsa rapida al manoscritto e sì, c’era un racconto per ogni giorno. Alcuni di svariate pagine, altri di un paio di righe. Per fortuna, nessuno parlava dell’apporto calorico giornaliero o degli appuntamenti dal parrucchiere.
Non seppe resistere. Andò al 26 giugno, ma rimase deluso vedendo solo qualche appunto sul vestito – un abito azzurro di chiffon con un busto bordato di perline – e sulle lanterne cinesi per la festa.
Lanterne cinesi?
Una grande delusione, ma il rapimento era avvenuto solo in tarda serata, quindi non venne menzionato. Griff voltò pagina.
Niente.
Pagina vuota.
Per qualche strano motivo, il susseguirsi di pagine ingiallite vuote dopo fiumi di pensieri sognanti a voce alta e commenti loquaci parve essere più eloquente di qualsiasi parola.
Sfogliò diverse pagine bianche, poi la cronaca di Gemma riprese il 4 luglio.

Continuo a pensare a quanto Brian abbia amato i fuochi d’artificio l’anno scorso. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire la sua risata fragorosa e vedo la sua mano alzarsi verso il cielo, fingendo di afferrare la pioggia viola, verde e d’oro che cadeva dall’alto.

Griff non era uno sdolcinato e l’immagine mentale che aveva di Gemma Arlington era di una donna viziata e coccolata, la quale, fino a quando non le avevano portato via il figlio, aveva creduto che il significato di tragedia fosse trovare una donna che indossava il suo stesso vestito, a una festa. Ma qualcosa nella semplicità di quel ricordo gli fece schiarire la gola.
La cronaca successiva risaliva a due giorni dopo. Un passaggio più lungo, di due o tre pagine.

Mi ritrovo a dire certe stupidaggini. È impossibile, è sbagliato, non è giusto…

Griff si accomodò sulla sedia più vicina e cominciò a leggere. Dopo un po’ fu distratto dal suono che proveniva dal fondo del corridoio. Sembrò che fosse arrivata una mandria di gnu con tanto di valigie e servitù. Si udirono i guaiti di un paio di cagnolini e si sollevò un vocio generale.
Alzò il capo per ascoltare.
Si avvicinarono dei passi. Si sentì una donna che con voce stentorea disse: «Non me ne frega un fico secco di cosa dice papà. Voglio vedere questo sedicente giornalista con i miei occhi».

Proprietà letteraria riservata
© 2016 Harper Collins Italia

(continua in libreria…)

Libri consigliati