Negli ultimi anni, influenzata dalla moda, anche nei libri si è affermata una corrente normcore, fatta di “vite da mediani” che non aspirano a niente più di quello che hanno già. O, almeno, sembrano non dare troppo peso alla mancanza di prospettive e possibilità di raggiungere il successo economico e sociale, come ci raccontano due libri usciti da poco…

Non bisogna essere speciali, ce lo insegna lo stile normcore, nella moda così come nei libri. Coniato nel 2013 dalla società di ricerche di tendenze K-Hole per definire lo stile poco ricercato, quotidiano, che si stava affermando per le vie di New York, nel giro di pochi mesi il termine è diventato uno degli hashtag più usati online, oltre che un neologismo dibattuto, anche dall’edizione nostrana di Wired.

Anche nei libri, negli ultimi anni, si è affermata una corrente che si può definire normcore, fatta di “vite da mediani” che non aspirano a niente più di quello che hanno già. O, almeno, sembrano non dare troppo peso alla mancanza di prospettive e possibilità di raggiungere il successo economico e sociale. Un po’ come le protagoniste di Girls, la serie ideata da Lena Dunham per HBO e giunta alla sua ultima serie. Tuttavia, nella serie così come nel suo libro memoir, l’autrice dimostra di sperare in qualcosa di più, nonostante la propria umana mediocrità fatta di appuntamenti andati male e disturbi dell’alimentazione.

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In realtà la vera America del normcore non è New York, ma le cittadine di provincia, fatte di supermercati e fabbriche colpite dalla crisi economica, ghetti e fucili riposti sotto il letto. Come quella raccontata in Brevi incontri con il nemico di Said Sayrafiezadeh (Codice), una serie di racconti sulla mediocrità. Dall’insegnante di storia ritornato dalla guerra privato dalla voglia di vivere, fino al commesso del supermercato che ruba sul posto di lavoro per rivende la merce. Un mondo di uomini che si sentono tali solo se si arruolano e partono per combattere una guerra dall’altra parte del globo, di feste di addio con una torta tricolore, barbecue in giardino e nottate insonni in angusti monolocali.

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Un ambiente asfissiante, statico, in cui si sopravvive solo nella mediocrità è anche quello raccontato nel romanzo d’esordio di Claudia Bruno, Fuori non c’è nessuno (Effequ). Una cittadina sorta durante il boom economico, fatta di cemento armato e mobili di compensato, e decaduta con la crisi economica da cui i giovani se ne vanno per non tornare più. Inclusa la protagonista che vi ritorna solo per il funerale di un’amica, la ragazza speciale che si era trasferita a Londra e sognava una vita diversa, più scintillante ed emozionante. Ma la città è così priva di storia che inghiotte chiunque aspiri a qualcosa di più della mediocrità e dell’anonimato.

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