Simbolo dell’azienda aperta, con poca gerarchia, gli open space come soluzione per l’architettura degli uffici sono stati un mantra per molti anni. Ora, però, finiscono sotto accusa: tolgono la concentrazione. Ma non ci distraggono forse di più whatsapp e smartphone? – Su ilLibraio.it il commento di Lorenzo Cavalieri

L‘open space non va più di moda. Addirittura, in Danimarca hanno inventato dei veri e propri semafori da piazzare sulla scrivania per impedire ai colleghi molesti di avvicinarsi e togliervi la concentrazione: “Se c’è la luce rossa caro collega non ti avvicinare”.

Al di là di queste iniziative, che spesso appaiono più folcloristiche che funzionali, negli ultimi anni qualcosa è veramente cambiato nel modo di concepire il design degli spazi nei luoghi di lavoro.


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Gli open space come soluzione per l’architettura degli uffici sono stati un mantra per molti anni.

Rappresentavano una buona soluzione per 3 problemi delle organizzazioni: controllare e controllarsi mentre si lavora; condividere facilmente informazioni; offrire continui stimoli alle persone.

Last but not least, l’open space ha rappresentato per gli architetti un’occasione importante di razionalizzazione degli spazi.

Soprattutto l’open space è stato il simbolo dell’azienda aperta, dell’azienda piatta, con poca gerarchia, in cui tutto avviene alla luce del sole, in cui tutti possono liberamente e facilmente parlare con tutti, senza porte chiuse e senza fare anticamera al cospetto del “potere”.

Questa visione dello spazio e della vita in ufficio ha senz’altro prodotto ottimi risultati, anche se il mito dell’organizzazione aperta si è rivelata spesso più uno slogan che una realtà effettiva.


Basta con la pretesa del posto fisso. Piuttosto… – Il commento di Lorenzo Cavalieri

Oggi però il modello di ufficio open space viene messo in discussione per un motivo molto semplice. Ci stiamo accorgendo che lavorare con tutti i nostri colleghi in un grande ambiente senza filtri fisici amplifica il vero problema della performance lavorativa nel terzo millennio: la concentrazione.

Gli studiosi della University of California hanno dimostrato che la produttività cala del 15% lavorando senza pareti. E hanno anche dimostrato che se un collega ci interrompe per 3 minuti, impieghiamo 23 minuti per ritrovare la concentrazione perduta.

Purtroppo la tecnologia e l’information overload stanno determinando una perdita strutturale di capacità di attenzione e concentrazione. Lo si vede nei banchi di scuola, lo si vede negli uffici. Se al nostro smartphone aggiungiamo lo stress visivo e acustico dei colleghi si crea un mix pericolosissimo per la nostra produttività.

È probabile quindi che gli architetti lavoreranno alla creazione di isole di lavoro più intime e riservate. Per il momento, in tanti provano a difendersi con le cuffie o sgattaiolando negli angoli più riservati delle sale riunioni.

Il grande nemico della concentrazione comunque resta lo smartphone. In fin dei conti, oggi non c’è bisogno di avvicinarsi a un collega per disturbarlo, basta un whatsapp. Negli uffici cominciano a vedersi “cestini porta smartphone” dove parcheggiare il proprio “mondo digitale” mentre si lavora o si discute in riunione: disconnettiamoci e lavoriamo.

L’AUTORE – Lorenzo Cavalieri è laureato in Scienze Politiche e ha conseguito l’MBA presso il Politecnico di Milano. Dopo aver ricoperto il ruolo di responsabile commerciale in due prestigiose multinazionali, si occupa dal 2008 di selezione, formazione e sviluppo delle risorse umane. Attualmente dirige Sparring, società di formazione manageriale e consulenza organizzativa.
www.lorenzocavalieri.it è il blog in cui raccoglie i suoi articoli e interventi.
È in libreria per Vallardi  Il lavoro non è un posto.