Perché, ancora oggi, “L’Orlando Furioso” fa ridere? A 500 anni dalla pubblicazione del poema cavalleresco dell’Ariosto, ilLibraio.it ha intervistato Fabrizio Bondi, ricercatore della Normale di Pisa: “La macchina linguistica ariostesca funziona ancora e riesce a trasmettere uno degli innumerevoli aspetti del Furioso: l’umorismo…”

La seconda giornata del festival livornese “Il senso del ridicolo”, diretto da Stefano Bartezzaghi, ha avuto per protagonista un maestro dell’ironia, intramontabile e intramontato: Ludovico Ariosto. Si sono alternate letture, reinterpretazioni ad opera di Marco Ardemagni e una indimenticabile serata con Ottavia Piccolo, che ha raccontato il suo Orlando Furioso, quello che ha portato in scena con Ronconi e Sanguineti. Nel pomeriggio, Fabrizio Bondi, ricercatore della Normale di Pisa, si è cimentato con il compito davvero complesso di provare a spiegare perché, ancora oggi, l’Ariosto faccia ridere. Il risultato è stato verificato direttamente in sala: bastavano poche ottave, un po’ di contestualizzazione narrativa e di introduzione, magistralmente orchestrate da Bondi, e le risate si facevano contagiose. Vista la riuscita della giornata al festival toscano e il successo delle tante iniziative nell’anno ariostesco, ilLibraio.it ha intervistato Fabrizio Bondi, per capire la forza e la vitalità dell’ironia ariostesca.

L’incontro di oggi è stato veramente un successo: quali erano i pregiudizi e la sfida da vincere?
“La sfida era quella di creare un ponte tra il pubblico di oggi e un classico. Un classico, come diceva Calvino, è un libro che non ha mai smesso di dire quello che ha da dire; però è anche qualcosa che si pone in una dimensione di alterità, cioè in una dimensione che non è più quella in cui è nato. Quindi ci è necessario uno sforzo per entrare in rapporto col classico, così come si fa uno sforzo per entrare in comunicazione con un’altra persona. Certamente la critica può offrire strumenti per stabilire un primo contatto, ma poi si deve costruire un legame ad personam.
La cosa che mi ha piacevolmente stupito dell’esperienza del festival è che la lingua ariostesca arriva ancora e la gente rideva alle battute, si divertiva alle allusioni. Questo vuol dire che la macchina linguistica ariostesca, a distanza di cinquecento anni, pur con gli aiuti che ho cercato di dare, funziona ancora e riesce a trasmettere uno degli innumerevoli aspetti del Furioso: l’umorismo”.

Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino

Lei ha citato Calvino, che è stato autore di una rilettura indimenticabile dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino. Si può ritenere ancora attuale quest’opera?
“Calvino fa una lettura dell’Ariosto che è molto influenzata, oltre che dalla sua fortissima personalità di scrittore, anche dalla temperie dello strutturalismo. Quindi l’Ariosto di Calvino riflette questo approccio critico, in cui si privilegiavano le funzioni narrative; Calvino parlava del poema come di ‘una scacchiera grande come il mondo’. D’altro canto, il riferimento agli scacchi è tipico di Calvino, che pone al centro da un lato il gioco (la leggerezza), dall’altro l’esattezza, la razionalità. Ma circa nello stesso periodo abbiamo avuto anche un’altra indimenticabile reinterpretazione, che è quella di Ronconi e Sanguineti, attraverso la loro versione teatrale prima e televisiva poi, frutto pressapoco dello stesso clima culturale, ma che andava in una direzione diversa.
Insomma, certamente Calvino può influenzare anche oggi la scoperta dell’Ariosto, ma come tutte le traduzioni e le reinterpretazioni ha una data, non magari di scadenza, ma ha una data…”

A proposito di qualcosa che non ha una data: l’ottava. Non tanto nel suo reimpiego, ma nella sua rilettura, può continuare ad affascinarci, senza subire lo scossone della modernità?
“L’ottava è una rotella di un ingranaggio metrico; la poesia è fatta per essere letta ad alta voce, l’ottava andava sonorizzata dai cantastorie, dai cantanti che la intonavano, dai poeti che la recitavano… Anche quando oggi si legge l’ottava, dobbiamo sentire questo ritmo dei 6 endecasillabi a rima alternata e 2 a rima baciata. Il problema è che l’efficacia di questa poesia è dovuta al fatto che è profondamente autoconsapevole: il ritmo e il suono sono pienamente funzionali a trasportare significati”.

Orlando Furioso

Leggendo ottave ariostesche in sala, non c’è stato bisogno di parafrasi. Crede che anche a scuola si possa evitare questo passaggio, ingrato ai più?
“La parafrasi è un male assoluto: ‘Nel mezzo del cammin di nostra vita’ non si può ridurre nella formula corriva ‘a trentacinque anni’. Oggi bisogna semmai abituare di nuovo all’ascolto e alla comprensione della lingua antica, con vari strumenti. Uno dei mali della scuola italiana è che il rapporto con la poesia si riduce a un contenutismo banale; la poesia deve tornare a risuonare: perché Benigni riempie le piazze quando legge Dante? Perché fa passare i versi attraverso il mezzo fonatorio che è la voce. Per capire la poesia bisogna leggerla ad alta voce: lo si è capito nei tanti festival letterari e poetici, in cui la performance è centrale. Questo dovrebbe anche arrivare nelle scuole. Dobbiamo reinsegnare a leggere la poesia, che vuol dire anche tornare ad ascoltarla nei suoi valori fonici e formali. Se fai passare la poesia attraverso il corpo, la capisci di più”.

Al di là del canto I, da sempre antologizzato, c’è un canto particolare da proporre a una scolaresca per stupire anche i più scettici?
“Non lo so, il canto XXXIV (la salita di Astolfo sulla Luna) rimane uno dei passi più affascinanti, ma non è importante scegliere un canto specifico. Il poema di Ariosto è un labirinto dalle molte entrate: vi si può entrare da diverse porte. Uno può avere le sue preferenze, ma se l’insegnante contestualizza la situazione narrativa e poi lascia che si inneschi questa macchina di allusioni, di giochi di retorica e di intelligenza, anche l’ascoltatore più disarmato non può che esserne preso. La follia d’Orlando, altro passo antologizzato da sempre, è e resta qualcosa di commoventissimo, ma uno dei poteri dell’Ariosto è quello di creare uniformità nella varietà e viceversa. Che gli studenti lo sperimentino da soli, entrando e uscendo dai canti!”

Escher - Castello

Ha or ora citato il labirinto, che è simboleggiato dal castello del Mago Atlante, dove i paladini si perdono inseguendo il loro oggetto del desiderio, che si rivela essere continuamente un’allucinazione. Il castello d’Atlante è una metafora sempre viva del caos atavico dell’uomo?
“Il castello di Atlante è stato considerato da molti critici una sorta di modello ‘in miniatura’ dell’intero poema. È vero che i personaggi vi si aggirano alla ricerca di oggetti del desiderio illusori, ma senza desiderio non ci sarebbe nessun movimento nel poema (e così nella vita). Dal palazzo di Atlante si può anche uscire, se arriva la Bradamante o l’Angelica di turno che ti liberano. Poi forse si entra in un altro palazzo, ma può anche trattarsi di un palazzo interessante…”

Quest’anno è in corso e sta per concludersi il cinquecentenario del poema. Ci sono altri progetti in atto?
“Questa domanda mi fa molto piacere e segnalo innanzitutto il sito di Furioso 16 per restare aggiornati su convegni, incontri, letture nell’anno dell’anniversario.
Alla Normale di Pisa, sotto la guida della professoressa Lina Bolzoni, io e altri studiosi stiamo portando avanti da alcuni anni un progetto finanziato dalla Comunità Europea (Erc) sul rapporto tra testo e immagini nei poemi cavallereschi del Cinque e del Seicento. Lavorando in stretta collaborazione con storici dell’arte, stiamo creando congiuntamente un archivio digitale, dove si potrà entrare come in un castello di Atlante, interagendo, facendo ricerche e navigando queste splendide immagini, o anche solo perdendosi nel fascino del repertorio. Al momento si può visitare, all’indirizzo Orlandofurioso, una sorta di prototipo dell’archivio che stiamo costruendo, risultato di progetti precedenti. Vi sono contenute cinque edizioni illustrate dell’Orlando Furioso. Il nuovo archivio (che sarà visitabile tra circa un anno, forse prima) ospiterà la “galassia Ariosto”, ovvero quell’universo di testi e immagini generato dal format delle prime edizioni del Furioso. Si troveranno edizioni illustrate di Tasso, Pulci, Ovidio e molti altri, edite entro il 1617. A mio parere, è una bella prova di come si possano varcare anche un po’ spericolatamente i confini delle singole discipline, se c’è una stretta collaborazione”.

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