Paola Mastrocola è da poco è tornata in libreria con “L’anno che non caddero le foglie”. L’autrice sarà a Torino giovedì 12 maggio, alle 18, per presentare la sua favola (con Noemi Cuffia). Domenica 15 maggio, alle 18, incontrerà i suoi lettori nella Sala Gialla, sempre al Salone del Libro. Sarà a Milano lunedì 16 maggio, alle 18.30, presso la libreria Mondadori in piazza Duomo (con lei Andrea Vitali e Andrea Kerbaker). Nell’attesa, su ilLibraio.it ricorda: “Nessuno mi ha mai raccontato favole, quand’ero piccola. (…) Me le raccontavo io. Me le inventavo…”

Io e le favole

Nessuno mi ha mai raccontato favole, quand’ero piccola. O, almeno, io non ne ho ricordi. Mia madre lavorava tanto, faceva la sarta e, mentre cuciva, mi parlava moltissimo: mi raccontava la sua vita, com’era lei bambina, come viveva ai tempi della guerra. E mio padre non so… Forse non era così comune che un genitore raccontasse favole ai figli, che si fermasse per mezzora o più la sera con loro, seduto sul letto, a raccontare storie per farli addormentare. Forse una volta ci addormentavamo così, da soli, noi figli, col bacio della buonanotte e basta. Non era di moda. O c’era un’altra maniera di essere genitori, meno al servizio, meno compagni di gioco.

Me le raccontavo io, le favole. Me le inventavo. Ricordo che mi sedevo in un angolo del balcone col mio orsacchiotto e gli parlavo. Non so cosa gli dicessi. La mia vicina di casa di allora mi disse di questi miei discorsi lunghi all’orso, altro non so. Forse ho parlato tanto al mio orsacchiotto proprio perché nessuno mi raccontava favole, chissà.

Così, i libri furono poi fondamentali. Le favole cominciai a leggermele io, appena imparai a leggere. Me ne stavo con un libro per delle ore. Mi piaceva La regina delle nevi, ma mi ricordo solo la copertina di quel libro, un gran cavallo alato in un cielo azzurrino con le nuvole bianche. Quella è stata per sempre la mia idea di favola: un’immagine.

Le favole che mi ricordo le ho lette quand’ero più grande. Pollicino, Cenerentola, Il soldatino di piombo, La piccola fiammiferaia. Mi facevano piangere, e mi piaceva molto piangere. Leggevo e piangevo. Per un po’ devo aver pensato che leggere e piangere fossero la stessa cosa.

Una delle favole che ho amato di più è Il brutto anatroccolo. Temo che fosse per un eccesso di identificazione. Mi sentivo come lui, brutta e incompresa. Mi pareva sempre che gli altri mi escludessero. Ho anche un cognome, che mi fu sempre storpiato d’accento, fin da piccola, e gli assomigliava in modo inequivocabile: Mastròccola. Insomma, ero io quel pulcino grigio e goffo, troppo grosso rispetto agli altri, sempre in disparte. Gli volevo bene, avrei dato non so cosa perché anche sua madre anatra e i suoi fratellini pulcini gialli gli volessero bene. Mi veniva da tenergli compagnia, leggendo e rileggendo la sua storia: mi sembrava di proteggerlo, leggendolo.

Poi, quando andavo avanti con la storia e lui, dopo l’inverno, trovava i cigni e scopriva di essere uno di loro, tiravo un bel sospiro. Era come quando ti tolgono un peso dall’anima. Ma non era felicità. Non sono mai riuscita a essere completamente felice per il fatto che il brutto anatroccolo fosse diventato un cigno, mi restava sempre un’ombra, una malinconia. Non ero sicurissima che la pena che lui aveva provato quando nessuno lo voleva si fosse davvero del tutto dissolta. Anche quando lo vedevo, bellissimo, elegante, volare in alto con i suoi simili, mi restava la preoccupazione che lui ormai conoscesse il dolore di sentirsi esclusi, e che anche con i cigni potesse non trovarsi bene, perché lui era stato anche un po’ anatra, e quindi ora non sapeva bene chi fosse. E comunque l’infanzia, il periodo più bello della vita, ormai se n’era andato e nessuno gli avrebbe mai restituito quella inconsapevole serenità che gli era stata preclusa.

Credo che questa favola mi abbia segnata, in qualche modo. Così come mi segnò, molti anni dopo, una poesia bellissima: Albatros, di Baudelaire. Anche lì, lo sapevo che gli albatros sono uccelli marini meravigliosi e che li ammiriamo molto quando volano; ma questo non toglie che a vederli camminare sulla tolda di una nave, ci paiano così sgraziati, e goffi, e ridicoli.

Sono molto grata al Brutto anatroccolo di Andersen, perché mi ha fatto trovare Baudelaire. E questi due testi insieme mi hanno regalato una punta di insoddisfazione perenne, una mancanza oscura, non so dire bene di cosa. Ma anche un amore particolare, tenerissimo, per coloro che camminano un po’ goffamente, nella vita, e hanno le piume grigie, invece che gialle come tutti gli altri.

paolamastrocola

L’AUTRICE E I DUE APPUNTAMENTI – Paola Mastrocola, autrice e insegnante, da poco è tornata in libreria con L’anno che non caddero le foglie (Guanda). L’autrice, in occasione del Salone del Libro, sarà a Torino giovedì 12 maggio alle 18.00 per presentare il romanzo, con la blogger Noemi Cuffia, presso il ristorante della sede Ikea di viale Svezia n.1 a Collegno. Domenica 15 maggio, ore 18, incontrerà i suoi lettori nella Sala Gialla, sempre al Salone del Libro. Sarà invece a Milano lunedì 16 maggio alle 18.30, alla libreria Mondadori in piazza Duomo con Andrea Vitali e Andrea Kerbaker.

IL SUO ULTIMO LIBRO – Questa è una storia di vento, di foglie e di scoiattoli. È una storia di timidezza e di coraggio, di ribellione e di saggezza. Di uno strano autunno in cui le foglie si rifiutano di cadere e tutti si domandano perché. Specialmente i bambini, che sanno guardare, e una scoiattola inquieta che ha bisogno di sapere. Ed è soprattutto una doppia storia d’amore: per un amore che non vorrebbe finire mai, ce n’è un altro che vorrebbe iniziare ma non osa. Mentre tutti – umani e animali – cercano di fronteggiare la nuova vita nel Paese in cui non cadono le foglie, la scoiattolina si avventura in un’indagine che finirà per sollevare interrogativi importanti sulla felicità e sulle leggi della natura. Intorno a queste domande soffia il vento, che conosce le storie di tutti, ed è il vento, in questa favola leggera come l’aria, a incrociare i destini, cambiare gli animi e decidere le sorti.