“Le tre resurrezioni di Sisifo Re” è il primo romanzo di fantascienza di Cosimo Argentina. Che, su ilLibraio.it, parla della sua passione per questo genere e, soprattutto, per uno scrittore come Philip Dick…

Credo di aver letto quasi tutto ciò che è stato tradotto in italiano di Philip K. Dick. Racconti, romanzi e brani in cui lui, uno scrittore di fantascienza, parlava del suo rapporto con la narrativa. Ho anche letto articoli di critica sul web e in forma cartacea e libri di emuli o scrittori fan come Jonathan Lethem. Grazie a Dick mi sono innamorato del genere fantascientifico saccheggiando anche altri autori come Rick Matheson, Arthur Clarke, Robert Sheckley e Asimov. Da loro sono partito e non mi sono più fermato.

Quando di un autore leggi tutto o quasi ti vengono naturali alcune considerazioni.

Primo, Philip Dick è diventato uno di famiglia. Fin dai tempi di Scorrete lacrime (il primo che ho letto) ha pian piano soppiantato mio zio, mio nonno, i cugini e si è sistemato accanto a mio padre e mia madre. Sapevo di lui quello che il più delle volte ignoravo dei miei genitori. Gli volevo bene e gliene voglio tuttora perché mi ha portato con sé in mondi che mai avrei immaginato di visitare e nel suo oscuro scrutare la mente degli uomini è incappato anche nella mia. E il bello è che mi sono convinto che lui sapesse di me quello che gente con cui ho diviso il pane nei decenni ignora. Lettore scrittore, un legame potente e assoluto. Magico.

Secondo: la consapevolezza che se voglio scrivere di fantascienza devo allontanarmi da Lui, dal nume tutelare, altrimenti resto intrappolato e mi trasformo in una scimmia dickiana e non se ne esce più.

Tra i filoni di letteratura fantascientifica prediligo quello aderente a una ipotetica realtà futuribile. Quello che parte dalle cicatrici dell’oggi per farci approdare alle conseguenze metabolizzate dal domani. Mi interessano di meno le invasioni di mondi realizzate da astronavi di potentati cosmici. In fondo quella è una rivisitazione della guerra umana. Prendi la Seconda Guerra Mondiale e trasferiscila su Sirio, Andromeda o Giove. Bastano la grande Guerra e quella del ’40 per avere una limpida visione della violenza e della sete egoistica scatenata da teste coronate a caccia di potenza e gloria.


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Il potere, i buoni, i cattivi, le scorie, un universo in pezzi, una razza o l’umanità da salvare. Lo hanno già scritto i grandi carnivori, i pezzi grossi della fantascienza e del fantastico mondiale e quello è un terreno dove muoversi con una relativa autonomia è pura utopia. Ma Dick era in grado di parlare di rivenditori di dischi, astronauti tornati sulla terra inconsapevoli di essere stati infettati dagli alieni, di un commerciante che, come un novello mr. Kurtz, subiva una mutazione a causa del suo spingersi oltre i limiti consentiti, di gente che il mattino si appiccicava i peli sulla faccia invece di radersi. Dick ha ribaltato le sorti delle guerre, ha aperto scenari dove i malati di mente formavano clan e… e soprattutto Philip Dick  ha utilizzato i bambini come spettri di una luce di là da venire. Bambini focomelici, fanciulle disadattate, piccoli discoli trapiantati nel mondo dei coloni in terre aride e lontane dalla orbita terrestre.

Dick non amava la precisione degli scrittori scienziati, ma sapeva modellare l’umanità. Il senso delle cose e degli avvenimenti lo tirava fuori da quello che ci portiamo addosso come codice genetico. C’aveva le sue fisime, ovviamente. Donne dai capelli neri come le mogli e la gemella morta; scambi di personalità e messa in discussione della realtà vera e apparente; raggi rosa che venivano fuori da collanine e illuminavano l’eletto… ma le sue paranoie, come in Ellroy nel noir o Conrad per l’avventura, Dick le ha trasformate in punti di forza e marchi di fabbrica che hanno caratterizzato la sua arte. E a proposito di arte un punto su cui non mi trovo d’accordo con gli scrittori di fantascienza è la sovrapproduzione. Credo che alcuni grandi autori se avessero scritto meno e lavorato di più ai loro romanzi sarebbero entrati tra gli immortali. Capisco che ci mangiavano e avevano alcuni cliché che gli agevolavano la manovra, ma è pur vero che, come per Simenon nel genere giallo, a volte la quantità è andata a scapito della qualità. Anche Dick ha confessato in alcune interviste e brevi saggi che usava una sorta di canovaccio che prevedeva un personaggio iniziale e poi alcuni elementi di riferimento che si ripresentavano romanzo dopo romanzo. Ma, essendo un genio, nessuno se ne accorgeva e chi se ne accorgeva aveva ben ragione di andare oltre.


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Un’altra considerazione è che davanti alla narrativa fantascientifica bisognerebbe avere rispetto. Massimo rispetto. Voglio dire, scrivere di fantascienza è maledettamente difficile. Devi essere un uomo di fantasia, genio, ma anche un tecnico, un competente, un meticoloso analizzatore di ogni eventuale contraddizione, insomma, un principiante può mettersi a scrivere la storia della sua vita, ma non dovrebbe cimentarsi nella fantascienza (e invece vedo in giro che accade esattamente il contrario). Come ha detto più volte Stephen King, ci sono delle regole non scritte che non si possono disattendere, nella scrittura fantastica. Io credo che siccome a volte le spari grosse devi sempre sapere che quello che scrivi deve risultare ipoteticamente verosimile. Puoi esagerare sì, ma con coerenza. La coerenza narrativa ci dovrebbe essere sempre, in qualunque ambito, ma soprattutto nel fantasy, nella fantascienza, nell’horror e nei comics. Questo perché, a parer mio, primo hai di fronte un pubblico magari non vastissimo, ma competente. Secondo perché basta una sbavatura e tutto crolla.

Leggendo Matheson mi sono reso conto che il talento è tenerti incollato alla pagina anche se una voce dentro di te ti sta dicendo ehi, questa cosa che ha scritto è una cazzata. Sei talmente compenetrato nella storia e nel come te la sta raccontando che il gioco è fatto, la magia innescata e tu entri in uno spazio gravitazionale dove il fulcro è rappresentato dal rigo successivo che devi leggere.

Il fantastico presuppone un’indagine spinta all’ennesima potenza. E da un certo punto di vista i grandi della letteratura mondiale cosiddetta alta hanno esplorato il mondo e i mondi e di conseguenza possono essere annoverati anche loro tra gli scrittori del fantastico e della fantascienza.

George Orwell, J. Conrad, il Cormac McCarthy di La strada, il Faulkner di L’urlo e il furore, Calvino (ma io non amo Calvino, vi prego, non fatemi a pezzi), il Bukowski di molti racconti, Buzzati, Coetzee, secondo me anche Louis Ferdinand Céline, almeno nei romanzi minori tipo Il ponte di Londra e Guignol’s band, i racconti di Sam Beckett, Kafka, Agota Kristof, Bill Burroughs, Henry Miller, Garcia Màrquez, Paul Bowles, secondo me anche molte parti del Finnegans e dell’Ulisse di quel matto geniale di Joyce, Dante Alighieri, Cortázar, Vargas Llosa, anche Murakami, a modo suo, Omero e soprattutto Pessoa. Pessoa dovrebbe trovarsi sempre negli scaffali della letteratura fantastica. Pessoa era un alieno lui stesso, un grande splendido alieno lusitano che fantasticava di mondi paralleli a quello degli umani. Ma la lista sarebbe infinita.

Philip Dick, dunque, mi ha aperto un passaggio spazio temporale verso una narrativa ai margini del conosciuto, anche se, a essere sincero fino in fondo, il mio amore verso il fantastico ha radici ancora più remote, precedenti al mio incontro con Lui. Risale alla lettura dei fumetti (come diavolo era possibile lasciarsi trascinare dalle avventure dei Fantastici 4 o dai cupi scenari dell’Eternauta? Sì, era possibile, lo è tuttora), ai racconti di Edgar Allan Poe, Lovecraft e soprattutto grazie alla lettura delle opere di Robert Howard. Penso che se non si fosse fatto saltare le cervella in quel deserto, Howard avrebbe scritto ancora tanta roba geniale edificando la sua definitiva consacrazione. Penso che avrebbe potuto ricoprire un ruolo di primo piano nella letteratura mondiale, stare accanto a signori dell’Olimpo della narrativa. Accanto a quelli che non dimenticheremo mai.

cosimo argentina

L’AUTORE E IL SUO PRIMO ROMANZO DI FANTASCIENZA – Siamo all’inizio del XXIII secolo, in una megalopoli di quasi 19.000 km2 e 40 milioni di persone. Il tiranno è stato deposto, giustiziato tramite impiccagione, e nella città si scatena una guerra civile di tutti contro tutti, con a capo delle fazioni i figli dell’ex dittatore. In uno scenario di guerra condotta strada per strada si muovono personaggi di ogni risma. Tra tutti spicca Sisifo, un detective folle vestito e truccato in modo improbabile, schiavo della malattia del sonno e della depressione e imbrigliato in uno stile di vita bizzarro. Con lui il suo assistente Oscar Orano detto Oh-Oh – parziale voce narrante – radiato dalla società civile. I due, ingaggiati dalla bellissima Selina Corbeves, devono investigare sull’omicidio del marito della donna. Un assassinio ancora di là da venire. Sisifo si affida ai consigli del professor Zoro, anziano alienista che vive blindato all’interno dell’università con un assistente gobbo, un molosso e un pericoloso anaconda… Ogni tanto una macchina spazio-temporale permette a Oscar di sperimentare un fatale sdoppiamento: il mondo folle nel quale vive si ribalta in una pseudorealtà dove ogni personaggio ha il proprio ruolo invertito rispetto alla vicenda. Tutto è destinato a concludersi nell’Isola, la zona storica della megalopoli. Là, tra crocifissioni e verità svelate, accadrà qualcosa di inimmaginabile…

cosimo argentina

Le tre resurrezioni di Sisifo Re (Meridiano Zero) è il primo romanzo di fantascienza di Cosimo Argentina, autore di grandi libri come Il cadetto (Marsilio 1999, premio Kihlgren opera prima e Oplonti opera prima), Cuore di cuoio (Sironi 2004), Maschio adulto solitario (Manni 2008) e Vicolo dell’acciaio (Fandango 2010).

 

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