“Dopotutto, i libri sono strumenti di piacere, come la droga, l’alcol, il sesso, non il fine ultimo della vita…”. Spogliandosi di ogni accademismo, ne “Il manifesto del libero lettore” lo scrittore romano parla di autori come Tolstoj, Flaubert, Stendhal, Jane Austen, Dickens, Proust, Svevo e Nabokov, e offre la sua chiave d’accesso al “magico paese della narrativa” – L’approndimento

C’è uno scrittore che parla di lettori. Non dei suoi, nella fattispecie, ma della categoria in quanto tale; destinatari dell’antica arte della narrazione, rappresentano un pubblico solitario ma libero, che gode di diritti inalienabili (e il richiamo è subito al decalogo stilato da Daniel Pennac in Come un romanzo): il libero lettore è “colui che si lascia guidare dal capriccio, dalla sete e dalla necessità. Il libero lettore è un dilettante, e come tale aspira al diletto”. La sua libertà deriva da un assunto fondamentale: “Dopotutto, i libri sono strumenti di piacere, come la droga, l’alcol, il sesso, non il fine ultimo della vita”. Una consapevolezza solo apparentemente frutto del modo moderno di fruire la letteratura, se già un maestro come Montaigne nel lontano 1500 professava il primato del piacere nell’atto della lettura.

alessandro piperno

C’è quindi uno scrittore che parla di lettori ai suoi lettori. L’unico modo per poterlo fare con cognizione di causa è, ça va sans dire, partire da ciò che accomuna i due interlocutori, ovvero il romanzo stesso. “Dotata di un pantheon variegato e intercambiabile, la narrativa è una delle poche fedi pagane ancora in voga“: il lettore è in effetti il prototipo del fedele; nel suo rapportarsi per una vita intera con la medesima capricciosa divinità vive un’esperienza religiosa completa, dalla cieca e fiduciosa apertura iniziale all’“apostasia” disincantata della maturità. Il diritto alla rilettura (anche questo ricordato da Pennac) diventa strumento per sondare l’evoluzione nel tempo dei gusti e della personalità.

Un romanzo dice parecchio di chi l’ha scritto. Ma anche di chi l’ha letto, di chi si accinge a farlo e persino di chi non lo leggerà mai. Ce ne sono alcuni di cui non ricordiamo niente se non quando e dove li abbiamo divorati; di altri sappiamo solo che non ci piacquero, ma abbiamo scordato il perché; per non dire di quelli di cui parliamo senza averli mai neppure aperti, o di quegli altri ancora che ci vergogniamo di aver troppo amato o di non aver capito.»

C’è dunque uno scrittore che parla ai suoi lettori dei lettori e dei romanzi. E ogni romanzo, per quanto dominato da personaggi-seduttori, esiste solo grazie al genio di chi l’ha scritto. L’autore finisce quindi per parlare ai lettori di altri scrittori. Ed è così che Alessandro Piperno nel suo ultimo volume Il manifesto del libero lettore (Mondadori) – che integra parte degli articoli comparsi su La Lettura – consacra al genere narrativo un atto d’amore attraverso le opere di “otto scrittori di cui non so fare a meno”, come recita il sottotitolo.

Il richiamo, in questo caso, è al Calvino di Perché leggere i classici. Nel prologo, infatti, la definizione “un romanzo è davvero un classico se ha apportato una rivoluzione tecnica rispetto ai romanzi scritti prima del suo avvento sulla scena letteraria” si accosta alla presa di coscienza del fatto che l’unico criterio in grado di ascrivere un’opera nel cerchio della grande letteratura è la longevità: “I romanzieri di cui ho scelto di occuparmi hanno in comune questa sfacciata astoricità. In un certo senso è come se fossero tutti contemporanei”.

Piperno ci conduce per mano attraverso mondi letterari diversi e a tratti complementari: da Tolstoj e  l’inarrivabile arte dell’introdurre i personaggi, a Flaubert, cui va riconosciuta la modestia di aver compreso l’essenzialità del ruolo del lettore; da Stendhal, che con il suo “scrivere male” ha dimostrato come ogni testo letterario risponda a esigenze stilistiche diverse, a Jane Austen, moralista alla ricerca di un “compromesso tra la morale aristocratica e l’etica delle favole”; da Dickens e i suoi incipit accattivanti ed esibizionisti, a Proust con il sapiente e a volte spietato uso dei tempi verbali come espressione dell’ossessione per il tempo; da Svevo, ovvero dalla centralità della vendetta quale motore dell’ispirazione artistica, a Nabokov, assertore del carattere arbitrario della moralità nel complesso gioco della creazione artistica.

Una parabola che attraversa l’opera di otto maestri indiscussi spogliandosi di ogni accademismo, con il solo scopo di dimostrare quanto il romanzo sia “un genere sporco, compromesso con la vita” e in quanto tale esposto alla soggettività propria del libero lettore: è quindi non in veste di nota penna del panorama letterario italiano attuale, bensì in quella di fruitore mai dimentico del puro piacere che lo ha iniziato al “magico paese della narrativa” che Piperno ci restituisce un pezzo di letteratura.

La sezione finale, dedicata alle biografie di alcuni dei principali personaggi della grande narrativa, si configura come un puro divertissement letterario. Tuttavia, nel suo standardizzare secondo tratti convenzionali eroi ed eroine che in qualche misura hanno accompagnato la formazione di ogni lettore che si rispetti sembra quasi lanciare una sfida: in primis a se stesso, mettendo alla prova la sua capacità di trattare con flaubertiano distacco figure che hanno suscitato in chiunque vi si sia imbattuto sentimenti tutt’altro che neutrali; e poi, inevitabilmente, al suo interlocutore (noi), collocandosi nella stessa posizione di quei registi che turbano, con le loro trasposizioni romanzesche sul grande schermo, per aver osato tradire l’immaginario individuale e sacro di ogni lettore. Perché, ammettiamolo: se la descrizione di Clarissa Dalloway come “una signora ragionevolmente frivola e snob che esprime al meglio lo spirito del suo tempo” non ha nulla di contestabile o opinabile, è difficile pensare che un’indole woolfiana possa non storcere il muso percependola, nella migliore delle ipotesi, come riduttiva.

Ma forse, in realtà, anche quello di scrivere dei romanzi letti con ironia e un tocco di orgogliosa leggerezza è un diritto imprescindibile del libero lettore; che, Piperno sembra ribadire tra le righe, rappresenta l’essenza intima e imprescindibile di ogni autore degno di tale titolo.

 

 

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