Con la raccolta di poesie “The Hollow of the hand” e l’album “Hope Six Demolition Project”, PJ Harvey vuole dare voce a chi non ce l’ha, o non ha possibilità di farsi sentire. Un concept un po’ vintage, che ricorda le canzoni di attivismo di John Lennon, ma che richiama anche l’anima “buona” del punk americano

PJ Harvey, artista inglese con alle spalle più di vent’anni di carriera musicale, ha da poco pubblicato il suo nono album, The Hope Six Demolition ProjectRecentemente è stata a Milano e a Genova per presentare il suo esordio letterario, la raccolta di poesie The Hollow of the Hand, ancora inedita in Italia. Anche la redazione de ilLibraio.it era presente all’incontro tenutosi sabato 16 maggio presso la Casa della Cultura di Milano, dove PJ Harvey ha letto alcune poesie tratte dalla raccolta al pubblico. Solo duecento persone, per volere della cantante, ma di ogni età: da chi ha seguito gli esordi di PJ negli anni Novanta, a chi allora era ancora troppo piccolo, ma l’ha scoperta con gli album successivi.

Che i musicisti si dedichino alla scrittura, non è una novità. Basti pensare ai memoir di Kim Gordon e Carrie Brownstein, per citare solo gli esempi più recenti, e alle poesie di Patti Smith (che ha anche scritto non uno, ma ben due opere autobiografiche). Ma PJ Harvey ha fatto qualcosa di diverso: della sua vita c’è poco e niente in The Hollow of the Hand. La raccolta di poesie, infatti, è ispirata sì alla vita vera, ma non a quella dell’artista.

Le composizioni sono nate dopo tre viaggi che la musicista inglese ha intrapreso, tra il 2011 e il 2014, con il fotografo irlandese Seamus Murphy. I due sono stati in Kosovo, Afghanistan e a Washington DC. Le prime due mete perché accomunate da un passato di guerra, la terza perché rappresenta il luogo in cui sono state decise le sorti delle prime due. Sia il Kosovo che l’Afghanistan, infatti, sono stati teatro di guerre in cui gli Stati Uniti d’America hanno avuto un ruolo predominante.

The Hollow of the Hand è un reportage del viaggio: una raccolta di poesie e di immagini sui tre paesi. I testi di PJ Harvey sono degli schizzi di piccoli momenti di umanità nei luoghi distrutti dalla guerra. L’artista vede i cani randagi di Kabul, i mendicanti ai lati della strada, le case abbandonate e distrutte dall’incuria in Kosovo. La donna che custodisce le chiavi delle abitazioni dei vicini, morti o emigrati durante la guerra.

La carriera da cantautrice ha di sicuro ha influito sulla composizione dei testi: le assonanze, la musicalità di alcuni passaggi riportano a una canzone, a una ninna nanna. Ma anche le doti di scultrice (PJ Harvey è una vera miniera di talenti) sono confluite nelle poesie: la minuzia dei particolari e l’attenzione alle descrizioni sono frutto di uno sguardo abituato a vedere le piccolezze (e anche le finezze).

Ascoltare Pj Harvey stessa leggere le sue poesie fa pensare a delle canzoni senza sottofondo musicale, solo parole. Non a caso, molti dei testi raccolti in The Hollow of the Hand sono anche diventati canzoni in The Hope Six Demolition Project. L’album stesso prende ispirazione al viaggio, in particolare molto spazio è dedicato all’ultima tappa, Washington DC.

Se già dalle poesie dedicate alla capitale americana traspare una critica per niente velata alle condizioni di degrado di alcuni quartieri della città, l’album porta la questione a un livello superiore. Alcuni dei quartieri più poveri della città stanno subendo un rinnovo promosso dal Governo e chiamato per l’appunto progetto Hope Six.

Il programma di rinnovo urbano si propone di rendere le città più vivibili, demolendo quartieri vecchi e decadenti per sostituirli con nuove costruzioni, spesso monofamiliari. Tuttavia, questo piano non tiene conto dei ceti più bassi, che perse le vecchie case, non potranno più permettersi di acquistare o anche solo affittare gli immobili nuovi costruiti nel loro quartiere. Molte sono le critiche rivolte al fenomeno. E anche PJ Harvey non si è tirata indietro dopo la visita a uno dei quartieri interessati, a Washington.

Con la raccolta di poesie e questo nuovo album, l’artista – che era tra le preferite della giovane e saggia Rori Gilmore della serie Una mamma per amica – vuole dare voce a chi non ce l’ha, o non ha possibilità di farsi sentire.

Un concept un po’ vintage, che ricorda le canzoni di attivismo di un altro artista inglese che ha criticato alcune scelte degli Usa, John Lennon; ma che richiama anche l’anima “buona” del punk americano, quello che critica le ingiustizie sociali.

 

 

 

 

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